Il Mio Blog non vuole essere un monologo, ma un invito all'incontro: pertanto sono graditi i commenti e il succedersi degli scambi che ne conseguono.
Buona lettura!

mercoledì 9 dicembre 2015

Dream



 Conosco una persona che si occupa di sogni. Li legge, li  esplicita, li usa.  E si impegna a trasmettere questa arte perché la conoscenza, soprattutto questa, è il fondamentale preludio del fare, e quindi del Vivere.
 Vivacchiare è un’altra cosa..Lo sappiamo villanamente fare tutti…

Questa persona è un amico, un amico di vita, della propria e di chiunque voglia davvero viverla. Ed io lo amo e lo rispetto. A volte lo faccio impazzire con le mie domande ottuse…
Francamente conosco solo alcuni dei miei limiti, però mi impegno a convertirli in punti di forza. Non è facile per mille motivi, o forse per uno soltanto: siamo programmabili. Questo ce lo insegnano molte scuole, ce lo ripetono pensatori e scienziati, lo vediamo costantemente nello specchio della realtà quotidiana… Ma sono coriandoli di informazione, che arrivano con folate di vento e volano via, un attimo dopo. 

 Prima di esser capito, un messaggio ha bisogno di essere accettato e letto; le coscienze programmabili e programmate (…) dovrebbero essere messe da parte: fare epochè, assenza di giudizio, assenza di coscienza” – così scrive l’Amico nel suo Blog.

Nasciamo informati, continuiamo ad essere informati, e informiamo a nostra volta…  Acquisiamo parole abitate da piccoli sistemi di vita, confezioniamo concetti, architettando una visione del mondo già pronta, diffondendo modi di concepire il nostro passaggio sulla terra. Facciamo uso di gesti che rimandano a giudizi, ed esprimiamo idee generate da convinzioni acquisite. 
I pensieri, poi, volteggiano elastici in uno spazio illimitato dentro e fuori di noi ... Ma quanto ci appartengono davvero?

Siamo programmabili. Siamo programmati. Molto spesso inganniamo sostanzialmente noi stessi, indotti a cercare cose di nessun interesse, a combattere battaglie di scarso valore, a rifiutare ciò che invece è di vitale importanza. Viviamo emozioni confuse e arraffate, in un gomitolo scomposto di cui non cogliamo il principio.

E poi arriva un sogno.

Una immagine, semplice, evanescente, veloce. In una sola immagine che mi sfiora leggera arriva la dritta sulla verità di questa grande tela che ogni giorno costruiamo e disfiamo, tinta da umori ed emozioni non sempre sinceri. Non sempre reali.

Quando l’inconscio vuole farti sapere qualcosa di solito ti invia un sogno”, scrive il dott. Bernabei…Ed è così! Con le immagini parliamo a noi stessi..Non ha senso ignorarle! 
Eppure, distrattamente…Le trascuriamo. Filtri, tappi e distrazioni: ascoltiamo insegnamenti di altri e ignoriamo quelli che diamo a noi stessi. Perché non li capiamo, perché non siamo addestrati ad accoglierli… Tutto ciò che è altro sembra avere importanza e priorità assoluta…Ma per una volta…Ma non ho tempo…Ma poi chissà che succede…Ma poi mi si complica tutto!!

Paura, dubbio, vergogna…

Si, si complica tutto ciò che è in un equilibrio tirato, ma che non è in equilibrio con te! Lasciamo cadere le carte, sovrapposte a costruire pagode. Son labili e inutili, ostruiscono la via del possibile. Provare..un passo..Un altro…Una piccola azione..

Partire da un sogno per scoprirlo (e scoprirsi) reale.


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giovedì 19 novembre 2015

Story Telling



 Watzlavich diceva che non e' possibile non comunicare, e che comunicare e' inevitabilmente agire.

Da sempre, la forma privilegiata della comunicazione e' il raccontare...

 Cosa sottende un racconto? Quali immagini usa e quali produce?
 Perche' ci interessa, e in che modo lo fa?

In quale misura, raccontar storie non e' solo "raccontar storie"?

Un piccolo saggio composto da me....






Buona lettura!

venerdì 25 settembre 2015

RIMBALZO



Piove, e si nutre la terra vestita di verde in un respiro frizzante di vita.

     Annuso il vento che porta notizie, e le osservo, già attese, arrivare.

Il telefono squilla, l'acuta voce femminea di chi sai che mi piace esibisce un saluto impacciato, e  lo scroscio vibrante di un'ansiosa euforia. Ed eccolo,  l'invito nervoso allo scontro, sparato con foga e mischiato ad elogi e gratitudine vana.
  Impertinente aggressione che si addice ai tuoi modi di astuzia fasulla.

Hai sbagliato l'azione, ed ora, sul palco, sei nudo.

E brucia quel faro sul volto, che ti mostra così come sei. E ti espone, oramai, nei tuoi falsi solfeggi.
   Colpire, bisogna, rispondere a tono e distorcere ancora il pensiero...Raccontare buglie!

    Continui ad usare chiunque tra te e la persona che neghi a te stesso. Disdegni chi usi, non pesi la nebbia che produci d'intorno, perchè è quella che hai dentro di te.
    La tua voce risuona arrochita nella confusione di chi la riporta senza nemmeno capirlo. Un messaggio che è sempre lo stesso: l'infantile vagito dei molti dai quali ti dici distante.

   Tu prendi e non dai, la risatina fasulla e i vuoti commenti che riempiono il tempo. Ha riflesso il mio sguardo la tua falsità, condanno la rapina maldestra; tu giochi la vita degli altri, mostrando di te ciò che non ti appartiene.

   Per te odioso chi ti lascia per strada, chi non plaude quel re,  soltanto un giullare di corte, che imita male tutto ciò che non vive.
     Emani tristezza e accendi con la tua villania il disprezzo che, solo, produci a te stesso.

Sei rimasto laggiù, non ti vedo nemmeno.

Perchè insisti ad urlare con la voce di altri?

La vita ha un suono migliore e vince ancora sul mondo, mentre pulisce la terra con l'acqua che scende, veemente, dal cielo.


  Hai detto che ti piace il mio canto...Allora gioisci, perchè questo è composto per te!





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lunedì 14 settembre 2015

L'Autenticità




Esistono i Falsi d'autore, imitazioni dell’arte, eseguite con tale maestria da ottenere esse stesse grande valore. La bravura di chi esegue codesti lavori è distante pero' da quella dei veri Maestri.
“Esistono diversi modi per indicare questi artisti, che sembrano dimostrare abilita' 'copiando' oggetti, figure, colori, scene, tempi addirittura remoti e poco attuali. Copista è anche soprannome di artista, che esercita arte 'non nuova', ma di 'tema' classificato e riferito alla storia. Sono opere ripetute, dei falsi che ripetono in tutto o in parte 'modelli e schizzi figurativi' prestabiliti, e osservanti canoni affermati.”: da Wikipedia la definizione veloce, che allude al valore che l'opera assume grazie all'abilita' dell'artista, sia pure egli stesso imitatore di un altro. Ripetitori di talento, insomma, i Copisti.
Diverso va per i Copioni, ripetitori ignoranti di qualcosa prodotto da altri, che non sanno nemmeno gestire. Quante volte, sui banchi di scuola, e' accaduto che lo studente scadente abbia trascritto, dopo averlo abilmente spiato, il lavoro di chi gli sedeva accanto, al fine di spacciarlo per proprio e vantarsi di competenze realmente mai acquisite. O per nascondere il fatto, per lo piu' imbarazzante, di non averne acquisita proprio nessuna.
Il copione, in gergo teatrale, e' anche quel foglio che espone le frasi e i sospiri che l'attore dovra' recitare. Battute scritte da altri, che egli deve imparare e far sue perche' ciò che espone possa suonare decente. Si tratta pero' qui di un lavoro prodotto per altri, proprio per loro. Non si da' ruberia. Non avviene scorretto sopruso. Per quanto anche qui poco sia originale, l'attore fa questo: rappresenta qualcosa coi modi piu' propri. Un po' come il Falso d'autore.
Ci son poi i roditori: viventi capaci di rosicchiare quanto interviene nel loro cammino. Ma qui l'arte non c'entra. Diremo piuttosto che l'evocazione di topi affamati produce in chi osserva un senso sgradito di repulsione. I ratti muovono in ambienti fognari, pieni di sporco e di orribili odori, e nessun individuo sano di mente vorrebbe trovarsene accanto.
I filosofi hanno evocato l’Autenticita'. L'etimo manda a chi e' se stesso all'interno di se' (autos enton), colui che non mente nel proporre all'esterno qualcosa che dissimula o cela il suo modo interiore.
E qui la questione.
Diciamo di qualcuno che e' “falso”, ossia che si pone in modo scorretto, ma non indaghiamo rispetto a chi stia esercitando la sua falsita'. Colui che si fa adulatorio verso chi mostra il proprio prestigio, potrebbe esser falso con l'altro, ma non nei confronti della propria persona. S'egli, infatti, ha la particolare tendenza a mentire per ottenere risultati nascosti, nel momento in cui esercita le sue qualita' rappresenta onestamente se stesso. 

Egli e' autentico rispetto al suo modo. Un modo che bello non è.

  Cosi' il frutto col nome di pigna. Una volta assaggiato penserete di avere ingollato la dolcissima polpa di quel frutto goloso dal colore rubizzo: la fragola, appunto. Ma il frutto mangiato e' piu' grosso, dalla buccia piu' dura e dal colore diverso. Non e' il frutto che mente, ma l'immagine evocata dal gusto che e' entrato in contatto con noi.
Viviamo in un mondo di piccole storie, ognuno ha la propria illusione. Un'immagine in corsa che evolve e si smonta, e che per noi e' totalmente reale. Per ognuno di noi un sogno diverso, nel quale e dal quale riemergo dimentica, a volte, di fare attenzione.
Che cosa ci orienta? Cosa filtra i nostri pensieri? Cosa induce le nostre emozioni? Chi è che guida, infine, le nostre movenze?
Un sospiro, uno strillo… Un senso di gioia o di umiliazione cocente. L'idea soffocante di un mondo finito in contrasto contro l'ampio respiro di una giornata brillante. Questo il fenomeno.
Emozioni dirigono il fare. Azioni orientano il mondo. Diciamo semplicemente "individui". Ma quanti in ognuno? Quanto è tradito e tradisce; quanto è appreso e sorprende? Livelli diversi. Piani d'esistenza coevi in contrasto: si annullano insieme, scambiandosi il luogo. E basta spostare lo sguardo, una semplice mossa di ciglia e poi sfuma. Lo cogli, ti sposti e c'è altro. Come non fosse mai davvero esistito, eppure permane. Ma tu non cogli quell’ombra…La distrazione. Non esiste perdono.
La mossa sbagliata rende matto il tuo re. Un passo più in qua, un conto sbagliato, l’informazione che manca...Ignoranza. Non esiste perdono.
Fuori tempo il mio gesto, fuori luogo il mio verbo…L'errore. Non esiste perdono.
Se cloni la scheda e rubi l'altrui, uccidi il suo tempo e gli accorci la vita…Malversazione.

Nel dolo patente non esiste perdono e la vita ti uccide.

Uno spazio racchiuso composto da quadri alternati: uno bianco, uno nero. Un esercito intero che si crede nemico a se stesso, divorandosi piano e con arte sottile.
Pupazzi.
Ogni pezzo va giù, qualcosa sembra cambiare, nella lenta avanzata. Rimane ben poco. Soltanto un gioco di morte in uno spazio ristretto.

   Ma ho colto nel rovo una piccola mora: lucido insieme di chicchi perfetti e minuti, dal limpido aroma di un turgore vitale. E il succo violaceo che scorre nel palmo della mia mano, col sole che inebria come il suo delicato profumo.
L'arietta gentile su me, invisibile e fresca: il saluto della stagione che cambia nella luce diversa, e l'odore dell'erba bagnata di pioggia.
Cammino tra i sassi lavati dall'acqua, e tendo le braccia tra i rovi. Tra le spine il tesoro, succoso e odoroso…Un cuore di linfa e di sole, piccolo premio per aver sorriso alla vita. 



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martedì 25 agosto 2015

ONIROCRITICA



Inserisco nel blog questo breve saggio che ho composto di recente. Si tratta di una storia dell'interpretazione dei sogni, un breve excursus di come si sia avvicendato l'interesse dell'umanita' nei confronti dell'onirocritica, fino al tempo della cosiddetta "moderna psicologia": dai babilonesi a Jung, in sostanza.
Mi sono impegnata  nella realizzazione di questo trattatello per una serie di motivi. Il primo in assoluto e' legato alla domanda che mi sono posta spesso: perche' tutti parlano dei sogni che fanno, tutti vogliono comprenderne il significato...Ma poi, ogni volta che si espongono, lo fanno con un senso di imbarazzo e di vergogna? Si, come se parlare di questo interesse denunciasse una stupidita' infantile.
    Ero gia' informata del fatto che in passato la lettura dei sogni veniva svolta da figure professionali ritenute di grande valore. E tra chi ha saputo leggere i sogni c'e' stato anche chi ha ottenuto importanti onorificenze dai potenti di turno, tanto era il vantaggio dovuto alle informazioni trasmesse...
Dunque cosa e' successo? Perche' si e' smesso di parlarne? Eppure tutti noi produciamo sogni di continuo, di notte e di giorno, ad occhi chiusi ma anche ad occhi aperti, in certe situazioni..
Mi sono messa a cercare, a frugare nell'antichita', a spulciare documenti e testi, ad interrogare filosofi e scienziati di un tempo passato, il nostro tempo passato...E ho trovato una risposta. C'e' stato un momento storico durante il quale conveniva impedire la circolazione e la diffusione di certe informazioni, e di certe attivita'. Un tempo in cui non era conveniente al potere del momento che alcuni strumenti rimanessero disponibili, e che certe convinzioni permanessero radicate nelle abitudini della popolazione.
   Un tempo in cui e' stato piu' opportuno far sintonizzare l'attenzione delle genti su canali diversi, ben organizzati e ben presentati...
  E questa, in realta', e' la storia di sempre. Nei secoli sono stati utilizzati contenuti, forme e tempi differenti, ma il processo di condizionamento e di ipnosi e' sempre passato attraverso l'informazione. E la contro-informazione.  Cosi' alcune immagini vengono sovrapposte ad altre, l'intuizione e la razionalita' son divenute due nemici che si contendono il dono della conoscenza (anziche' esser riconosciute ed apprezzate nella loro complementarita'), i sogni personali vengono soverchiati da quelli di altri, appositamente confezionati in funzione di un preciso obbiettivo. E sapientemente inoculati, fino a che non vengono accolti in modo inconsapevole ed ingenuo...(in modo addirittura entusiastico, direbbe Z. Bauman).

 L'informazione e' uno strumento potente, e c'e' chi questo lo ha capito, e sa come avvalersene.
 E c'e' chi permette che questo strumento venga utilizzato a proprio discapito.

Con il lavoro qui presentato mi propongo di offrire un sintetico sguardo a cio' che la tradizione riporta sul tema: tanta umanita' ha riconosciuto l'utilita' e l'importanza di quanto il sogno comunica a chi lo produce. E' affiorata una storia interessante, e sono felice di condividerla, perche' riflette la mia stessa convinzione, che alimento nel quotidiano attraverso sperimentazione continua.
 E a differenza di molti, ne parlo senza imbarazzo, perche' il rispetto e l'ascolto delle suddette personalissime rappresentazioni ha cambiato la mia vita.
E continua a farlo ogni giorno, con crescente personale soddisfazione.

Vi auguro pertanto una felice lettura!


Riflessioni sull'onirocritica



sabato 1 agosto 2015

Cicale


Domina un suono serrato e compatto, che sa di vibrante e corale euforia: potente ovazione alla vita! 

Apro gli occhi al mattino, sospinta da un'onda vitale, un chiasso vivente di fresca armonia.
Cicale, che cantano insieme, con forza crescente. Che scandiscono il tempo dell'azione diurna. Sfondo vivace ai monotoni gesti continui, alle parole esternate, alle espressioni facciali.

Io transito, estranea, nell'aria e nel mondo.
 Cammino da sola in un flusso di storia, abitato da altri. Vicini, diversi, un pò strani...Mi sorridono o no, mi rivolgono maschere più o meno gradite. E come in un sogno, io avanzo. Ed osservo, ascoltando tutto ciò che m'impatta. Come nel lento fluire di un film, continuo e ovattato, latore di un senso che a volte mi sfugge, e cela se stesso  in momenti diversi.

E scivola il filo infinito di giochi e rumori, di mosse e pensieri, nel quale io viaggio, guardandomi intorno. E sgrano i miei occhi, spalanco gli orecchi isolandomi, alfine, ogni giorno di più.
Sorprendo me stessa che osservo, sgomenta, chiedendomi infine che cosa ne penso.

Familiare, distante e confuso si espone ogni giorno l'ambiente  nel quale anche gli altri si muovono, seri e divisi, spingendosi sempre, e toccando in se stessi gli umori degli altri. E si scambiano suoni, raccontano sogni, attendono eventi ma non ascoltano nulla. 

Procedono lenti, con ritmi dettati, obbedienti e arrabbiati...A volte un pò spenti, tra slogan convulsi e immagini estranee.
L'atmosfera é un pò grave, il vento non corre, una bolla impudente protegge l'acquario, ed occhi non visti trafiggono il vetro. 
Noi dentro, osservati, eppur ciechi. Noi soli, ma insieme ammucchiati, in un gioco di intrecci e situazioni confuse: il groviglio di azioni che ordisce un tessuto di brutta ma fine fattura, dai colori sgargianti.

Cicale, la' fuori, ci gridano contro, immerse nell'aria e nel caldo, tra i campi e le foglie di una vita che si vuole reale. Colonna sonora di un sogno complesso che tutti viviamo, ognuno a suo modo. 

Qualcuno domanda, qualcuno si guarda...Io vado e cammino, ispirata dal canto della stagione dorata. Ma parlo coi volti e sfioro le dita, respiro la stasi di chi si accontenta, e scrollo l'offesa di chi ha già ceduto. 

Le cicale, che piccoli insetti! Più minuti di noi. Rimangono in vita una sola stagione, e invadono l'aria col loro frinire.. Esistono insieme, ognuna per se', e accendono il giorno con forza verace. 
Le ascolto e sorrido, perché risvegliano in me una gran voglia di fare.

mercoledì 22 luglio 2015

La sfida


Raccolgo l'invito di Mauro e rispondo alla sfida. 

...Entrando nell'inconscio negativo femminile...


 C'era una vecchia, che stanca nel corpo,
voleva pur vivere antichi piaceri.
Quei giochi e quei lazzi, che spesso osservava, ben poco viveva, e molto soffriva!
Di giovani donne un pò si serviva per mettere in moto l'esigenza lasciva.
E donne e fanciulle, ignare del modo, a sé avvicinava e poi se le usava.
Uomini e donne, in miope furore, l'un l'altro scambiavano sensualissime ore.
Ma dopo una volta e poi un'altra ancora
Il corpo mollava la triste signora.
Scavata nel volto, svuotata nel corpo, tra lacrime tante,  mai piu' lei riusciva a sentire l'amante...
Lui pure non ride, ma solo si siede, e triste nel cuore non sente più amore.
La vecchia ha mangiato ma senza godere, e dondola lento il suo grosso sedere,
che parla e che chiama le povere genti a perder se stesse tra i molti viventi.
La bimba all'amica, guardando il diario risponde all'invito che crea il suo divario.
A dir, prima, mi piace tra foto ed inviti, ella spinge quel fuoco che accende la brace.
La gara abbia inizio, dalla vecchia col vizio, a chi tra le tante sembrera' la più aitante!
E lungo è il serpente che striscia rasente, vicino allo sguardo di chi é indifferente.
La mela rifiuta, ed il sacco di juta, chi veglia la notte nel suo immantinente.  Denuncia la vecchia, poi spezza la scopa. E sfuma la gara infelice
che in vita assai poco si addice.

domenica 12 luglio 2015

Prendere un granchio


Diciamo di prendere un granchio per dire, piuttosto, di aver commesso un errore. Con questa espressione, nel gergo normale, si allude a una certezza tradita, e alla delusa emozione che  tosto ne segue. 

Ma il granchio, perché?

È un animale piccino, che si muove al riparo e corre veloce davanti alle insidie. Si sposta slittando di notte, quando il sole e' lontano e i nemici non posson vederlo. Si traveste dei colori del suolo sul quale saltella, che sia l'oro graffiato del lido o la scura tintura rocciosa, e ha occhietti talmente in allerta che sporgono fuori dal suo corpicino.
Per fuggire e' munito di zampette sottili, che un poco da un lato e un poco dall'altro, rendono obliqua l'andatura veloce.
E' armato soltanto di piccole pinze che, a guisa di manine robuste, trattengono il cibo vicino alla bocca. Si difende con quelle da chi vuole affrontarlo, ma se preso da dietro rimane indifeso.

Insomma? Que pasa?

Tutto inizio' in una barca, così si racconta. Quando butti la lenza nel fondo del mare, se senti tirare, ti aspetti un bel pesce. E quindi ti aggrappi al tuo mulinello e cominci, eccitato, a girare. E la preda combatte, cercando la fuga e spingendoti quindi a provare manovre ...Fin quando non esce dall'acqua, a mostrarsi, il bottino. Ma a volte, a dispetto di chi resta in attesa, sul fondo del mare si aggancia un granchietto. Ha fame anche lui, e l'esca piovuta é un invito per tutti!
Scatta il segnale ed il filo va su. Lui muove e s'agita tutto, e tira e si torce cercando di uscirne. Chi é sopra si aspetta un bel pesce, ma a gioco concluso rimane un pò male.

Questo s'intende con tale espressione: confidare in qualcosa che tale non era!
La storia è carina, ma da me mai vissuta quando ero nel mare..Eh si, che ci vado a pescare!

Ahi, ma di granchi ne ho preso in cuor mio!
E la rabbia poi dopo, e che delusione!

Una volta pensavo di avere un'amica. Era un'allegra ragazza, dallo spirito arguto. Un po' appiccicosa, sia pure, e molto loquace. Però a me piaceva, non so bene perché. Aveva cadenza un pò greve, in netto contrasto con la figura stuccata che spesso esibiva: acconciatura perfetta su un trucco studiato, e accessori adeguati. Ma dentro era allegra, e sparava battute inattese.
Purtroppo il suo corpo era gonfio, di cose non dette e di scelte non fatte. E il peso la  schiacciava per terra. Temeva il potere e l'autorità...E, subendo a tal guisa, perdeva se stessa, ogni giorno un tantino. Chiedeva in silenzio il mio aiuto, e io ci ho provato. Le ho dato un battello per sé, e poi l'ho affiancata. Ma le onde le davano noia e gli scogli le incutevan timore...
Io mi accorgevo e fingevo di no, e con me la portavo nel mare agitato. Guidavo il battello da sola mentre lei, lentamente, ritraeva se stessa.
Così le ho parlato, ma con stupido orgoglio ha mentito. All'amica di fuori, che voleva aiutarla, e a quella di dentro, che perdeva ogni giorno il respiro. Lo specchio ridava un'immagine brutta, di chi dice e non fa. Che teme e che trema, con stupidi freni, ma non vuole lasciarlo vedere. Come il trucco ben fatto su un viso che é pallido e smunto.
E lì l'ho perduta.
 Maggiore la tema e scarso il coraggio, é scesa turbata e davvero confusa, rimasta sul greto a guardare, accusando chi invece la voleva con se'.
L'amico è mutato in nemico, parole di odio a demolire chi resta, assoldando alleati a sminuire il valore di chi muove e vuol fare. Di chi, dopotutto, sa fare, rendendo cocente, pur senza intenzione, il fallimento dell'altro.

Un bel granchio, signori, tirato su con la forza dopo tanto provare: la goccia vivace che avevo intravisto s'é spenta, seccata dal corpo pesante di chi non dice e non fa.
E ieri guardavo quel volto pittato, i capelli piegati nel modo più giusto, e lo sguardo umiliato di chi già lo sa: il granchio è un animale piccino, che si muove al riparo e scappa veloce davanti alle insidie; è armato soltanto di piccole pinze che, a guisa di manine robuste, trattengono il cibo vicino alla bocca.

Coraggio non ha.

Rimane sul fondo del mare o su rocce roventi. A volte ci muore, essiccato dal sole. O viene pescato per sbaglio da chi invece si sforza di prendere un pesce. 







mercoledì 8 luglio 2015

Commiato

E' arrivata la sera col cielo grigio e la schiuma nel mare.  Osservo un pesce vivace che scoda a fior d'acqua, tra la roccia e la sabbia. La superficie increspata di bianco e di azzurro.
Saluto il bel mare che assiste la nota del mio malumore. Che romba e che tuona tra le rocce che ammiro, inoltrandosi svelto in ogni pertugio. Seduta sulle tiepide pietre, respiro il profumo dell'aria, tra i massi e le onde, e contemplo bruniti granchietti sorvolare il terreno con le zampe sottili.
Saluto il tramonto che si cela nell'umore dell'aria, tra le nubi corpose del cielo. E questo vento leggero, che soffia sull'acqua e sul mondo.
Ringrazio i bambini dai capelli arruffati, che mi hanno dato allegria per un pò, giocando coi legni e col nulla, dividendo dolcetti e ceffoni. Sorrisi e risate tra occhiate furtive, occhioni vivaci e  folti riccioli scuri, raccolti in nuvolosi ciuffetti.
Ringrazio la terra dal colore brunito e dal sapore del sale, sferzata dal sole e dal vento, assediata dal mare. Austera nella sua solitudine e nuda nella sua povertà. Primitiva ed estrema. La terra che quasi mi ha ucciso e che mi ha reso la vita.
Mi congedo dai piccoli uccelli, che contrastano il vento violento con veloci saltelli, e balzano in basso senza aprire le ali.
Saluto la gente del posto, indolente e puerile,  che stenta e sorride, vivendo di pesca e di strenuo lavoro. O che vaga nel nulla, a consumare il suo tempo.
Saluto l'incontro casuale che mi ha stretto la mano, ascoltando i miei suoni e offrendomi i suoi. 
Abbraccio  infine l'amico di sempre, che mi sospinge nel mondo con amore gentile.
E mi congedo dal Monte Leone, disteso sul lungo orizzonte, l'arcano custode del tempo.

lunedì 6 luglio 2015

Confine?

Oggi ho volato nell'acqua. Era caldo e il sole splendeva. Travestita da pesce, son scesa veloce nell'altra realtà. Ho abbracciato la vita diversa, dove ogni mossa é più lenta. E più dolce. Scivolando tra correnti robuste, ho osservato le piccole dune e i crepacci, contemplando piccoli pesci che cercavano cibo.

 Dimore dai muri rugosi, di mille colori, e tetti rigonfi, macchiati di giallo e di arancio. Bottoni fioriti tra i ciuffi spostati dall'acqua.  Lentezza e la calma in quel mondo ordinato! 

Lanciavo il mio corpo e osservavo la vita. Sul fondo piccoli sassi lastricavano tutto fino alle strisce ondulate di sabbia, e poi qualche stella marina. Le forme sottili e allungate. Pinne velate e corpose vagavano ovunque. Io non facevo paura, appartenevo all'ambiente.  Un passante tra i tanti, nello spazio comune. Ognuno per sé, a cercare qualcosa. Chi sosta e chi va.
Gomitoli d'erba qua e là, mi venivano incontro. Frammenti di roccia e piccoli gusci... La vita dovunque.
Ho girato sul dorso per guardare all'in su: uno strato vitreo tra il bisbiglio del mare e il frastuono dell'aria. Ho lasciato che il corpo salisse da sé..Ho visto ciò che vedono loro? Un orizzonte più chiaro fino al dolore che la luce accecante mi impone, oltre il confine. Un uomo, a distanza, si allunga sull'acqua. Si tiene alla roccia. Veste di rosso e dirige una canna sul mare.  

E se io fossi un pesce? 

Mi volto e riscendo nella pace silente. I miei piedi assecondano l'acqua, corposa, nell' amica penombra. E volo a vari livelli, mi aggrappo alle pietre porose e mi spingo più in là. Sorvolo gli spacchi e le tane, sorprendo eleganti viventi che si voltano sincroni e fuggono via. Una scia di colore in uno sfondo lunare. Io salgo e poi scendo, forzando i polmoni e le orecchie. Gioco con l'acqua che carezza il mio corpo, e proseguo il mio viaggio da sola, nel mondo diverso, così familiare. 

 E poi mi appare davanti: é grosso e arancione, la bocca potente. Nuota tranquillo e non si cura di me. Cerca le prede scrutando le rocce, si sposta e poi va. Bellissimo e solo.

Immersa nell'intimo mondo contemplo, ammirata, quel traffico lento, che scorre percosso dall'onda e diretto da correnti continue.

Uomini e pesci: universo comune, separato dall'acqua e dai modi. Io nuoto con loro e cammino con gli altri. Mi tuffo e riemergo...Col corpo che fila veloce spostando via l'acqua. Il calore del sole mi brucia le spalle, al di là del confine. Mi culla la voce del mare che viaggia con me, respirando. 

Il pescatore si china sull'acqua, ha intravisto qualcosa e la cerca. Sorrido carezzando l'idea di essere un pesce, che guizza e che salta nell'aria e nel mondo di giu'. Se fosse questo il mio mondo? Ma in fondo lo é...

Mi rovescio ancora sul dorso, e guardo il sole che splende mentre il mio volto riemerge al confine.

domenica 5 luglio 2015

La (non)Dotta Ignoranza.



«Pape Satàn, pape Satàn aleppe!»,
cominciò Pluto con la voce chioccia;
e quel savio gentil, che tutto seppe,
disse per confortarmi: «Non ti noccia
la tua paura; ché, poder ch'elli abbia,
non ci torrà lo scender questa roccia.»


(Dante Alighieri, Divina Commedia - Inferno, VII)


Nel IV cerchio dell'Inferno, il maestro Dante punisce scenograficamente, presentandoli, due gravi peccati dell'umanità': l'avarizia e la prodigalità.

L'una intesa come arida carenza-esigente, egoistica sete disperata e agognante desiderio di potere; l'altra, all'opposto, e' la caratteristica di chi spreca, di chi sperpera.

Entrambe le categorie condividono una assoluta incapacità gestionale, il peccato di non saper fruire i propri talenti, e la colpa di lasciarsene prevaricare in una spinta ritorsiva, che toglie il senso e uccide il piacere.
Rimane, pronta, la violenta ritorsione sugli altri attraverso l'offesa. In un triste inutile cammino che nella sua infinita', non dona forza, ma ruba vita.

L' inarrestabile faticosa marcia che spingendo, trascina nell'inutile.
La punizione descritta consiste nel forzoso reiterarsi del reciproco insulto tra rei dannati, che percorrono simmetricamente strade analoghe - un gruppo da un lato, un gruppo da un altro - fino a reincontrarsi a fine percorso, gravati da inutili pesi sul petto. 
  Strade che raggiungono il loro apice solo nel punto di riinizio verso la direzione opposta.

Una estensione del mito di Sisifo: non si espone più soltanto l'individuo che, per conseguire il proprio falso valore e' costretto ad attuare un cammino faticoso e inutile, al prezzo di infiniti sforzi inappagabili. 
   Emerge la dimensione sociale: i peccatori, divisi in due schiere, nell'illusione di seguire percorsi diversi (addirittura diametralmente opposti) finiscono per incontrarsi e poi scontrarsi: si offendono, e si accusano vicendevolmente. Per poi ripartire, in un inizio che non ha mai subito davvero interruzione.

..Pape satan..

Osservo l'incarnazione del Contrappasso.  
 Accade, inesorabile, e preciso. E si abbatte su chi, subendo, non coglie, e logorando se stesso inveisce contro il Fato, e contro l'umanità tutta. 
Lacrime di stupore e grida di incomprensione. 
 Vagiti infernali dell'eterno infantile.

Accadimento esatto in situazione!


La mancanza verso se stessi genera l'errore, la sua ulteriore ricaduta nel sociale definisce il reato.

La mancata evoluzione personale, l'Ignoranza, produce la violenta eruzione infantile su chi sta d'intorno, danneggiandolo.

Così la donna che non sviluppa le proprie attitudini, lasciando in letargo il proprio potenziale. Una pigrizia che non giova a se stessa ne' ad alcun altro. Assume piuttosto il ruolo di mamma senza averne davvero il piacere. 

Le voci, quante voci le hanno Trasmesso la utilità di quel ruolo. La sua eternità, la sua inviolabilità.  E bisogna sbrigarsi, sennò poi si sfiorisce.... E si perde l'occasione... Pensa alle donne che non possono averne! Così la madre prima di lei, e la nonna prima ancora. E l'amica, e la società tutta.. Beh, quasi tutta.
Ella svilisce la propria persona rinunciando al suo modo per ottenere un riconoscimento facile, gratuito, garantito dalla società.

 Non proprio gratuito.

Col tempo, però, il bambino vuole incontrare il mondo, fare scoperte, toccare con i suoi occhi  ciò che fa nuovo, crescere e diventare adulto. Se questo, però, gli viene concesso... La "Mamma" che fa? Il suo ruolo finisce,  e si ritrova costretta a cambiare.
 Ma come? 
Non ha curato se stessa e non ha sviluppato strumenti... Iniziare ora, noooo... E' troppo tardi, eh!!! ... The show must go on: si può forzare la mano, e congelare quel tipo di rappresentazione in modo perverso e alienante... Finché morte, che così li unisce, non li separi: la mamma (l'errore) con il suo bambino, stupidamente compiacente (il reato).

 Magistralmente M.R. descrive la madre antibiotica. Suggerisco un serissimo approfondimento a chi, tra donne e uomini, vuole incontrare Persone. Almeno la finiamo di parlare di "quote rosa" e di altre menate filo e antifemministe!!

Un figlio cresciuto da una madre bambina (l'errore) come potrà divenire persona (il reato)? Cercherà a sua volta la rozza scorciatoia illusoria con devastanti ricadute nel sociale...

O la collaboratrice del capo, che prostituisce (non sempre in senso metaforico) la propria persona per ottenere una posizione, un ruolo di prestigio. E mantenerlo. Mancando pero' le competenze necessarie, quelle aziendali, di li' in poi le scelte adottate dal capo voglioso (persona evoluta?) condurranno a piani sbagliati. E a conseguenze fallimentari.
 Per il capo, certo; per la collaboratrice (l'errore e l'errore); ma anche per tutti coloro che lavorano nell'azienda (il reato).


Milan Kundera definisce l'agire degli uomini la leggerezza dell'essere per il suo accadere "spontaneo", non programmabile. E tale immediatezza assume, nei suoi romanzi, le tinte di una pesantezza estrema, insostenibile, a causa delle conseguenze provocate.
 Accadere ritenuto necessario (grosso, grossissimo errore. Reato esso stesso!!)

Questa storia, in realtà, ha un titolo diverso che la rimanda all'intollerabile gravame dell'essere ignorante.
 Una sana evoluzione contrasta la necessità del divenire, aprendo alla fluidità SOSTENIBILISSIMA dell'essere. Ci vuole pazienza e molta attenzione, la volontà e l'umiltà di accogliere e saper leggere - ovvio, ma né facile né scontato - le immagini che formuliamo costantemente in noi, momento dopo momento... Semprissimo (M.R., certo, chi altri?) ! Immagini di monito e di supporto che, naturalmente, guidano il nostro cammino.

Il buio, il dolore, la claustrofobica agonia della minorità denunciano non l'essere ma un suo modo distorto, declinazione perversa. 

Aristotele, con cipiglio, punta contro il suo dito indice.*
 Dell'essere si parla in tanti modi, è vero, ma son pochi quelli di attuarlo: in sintonia con la natura, o contro di essa. Nel fiume della vita, tra le sue correnti, nel flusso dinamico del possibile, o contro di essa, nel prestabilito, nel già detto.
 La Trasmissione che fa dolore. 

Avari e prodighi: peccatori contro la propria persona e contro gli altri. Violenti. Nello sfondo un'aria conosciuta: "a chi ha sara' dato e a chi non ha sara' tolto quel poco che ha". 

La parabola dei talenti ripropone l'importanza della disponibilità a fare, dell'impegno personale. Il padrone punisce colui che, per paura, non ha agito e non ha prodotto, quindi, valore. 
Quel poco che aveva, quella virtù, quel potenziale, quelle capacita' non investite finiscono per sfumare, vengono tolte, sono perse. Se tu hai (le capacita') e non fai (valore), non hai più diritto di avere, quindi ti vien tolto, perdi tutto, ti spendi nell'inutile vagheggio generale, perdendo te stesso e chi ti circonda.

Avari e prodighi. Dante li colloca tra gli incontinenti, tra coloro che non sanno dosare il valore di ciò che hanno e che potrebbero fare. 
Essi accumulano senza dare, e sperperano senza realizzare.

 Alla stanchezza dell'azione non consegue la soddisfazione del risultato raggiunto, ma la sofferenza della ripetizione infinita. Nulla ha più senso... Ci si affanna, si percorre tutta la strada, ma poi si ricomincia, sia pure nella direzione opposta. 
Quando finalmente si incontra l'altro, che vive, in fondo, la stessa condizione, gli si sputano contro sentenze. 
Immagini orribili. Un sogno di morte.

La violenza dell'ignoranza, di chi non sa e non può capire.

Niccolo' Cusano, nel De Docta Ignoranza, ripercorre la via socratica del sapere di non sapere, intesa come la più alta forma di conoscenza: solo colui che e' conscio della propria ignoranza, dei propri limiti, e' poi in grado di tendere verso il loro superamento. E magari si adopera per farlo.
 Con umiltà e pazienza.
 Tanta umiltà e tanta pazienza.
 Scivolando sui sassi, ferendosi anche, ma deciso a proseguire verso un cambiamento vitale.

 Colui che, invece, e' assolutamente ignorante non può farlo, perché non ne coglie il senso.

 Per lui, in fondo, un sogno è solo un sogno...Perché dare importanza a quelle immagini? Esse vengono, un pò incuriosiscono, ma poi svaniscono. In tanti neanche le vedono più...
 E continuerà a imprecare contro gli altri mentre percorre arrancando quel percorso vano.





* Aristotele, nella Metafisica, distingue l'individuabilita' dell'essere in quanto tale rispetto alle sue modalita' fenomeniche, ai suoi modi di apparire. Così, ad esempio, dire che una rosa é bella non esaurisce l'essenza stessa della rosa.


venerdì 3 luglio 2015

Serra Negra


Grani di sabbia sulla pelle ambrata e riflessi di luce nell'aria. Non posso guardare oltre quel mare, una distesa viva che muove con forza verso di me. Mi avvolge  da fuori ed entra, invadendomi. Liquida vita su me, sui miei piedi, e che il suolo lentamente assorbe in un amplesso tiepido fatto di grana sottile.
L'oro in terra e il turchese ovunque.. Acqua e aria nel fragore del vento e del mare. Solo io, davanti a quel cielo e dentro a quel mare. Che non finisce. Va oltre lo sguardo e supera tutto. È dentro di me in un orgasmo infinito di sole e di amore. Fatto solo di luce. È mio, è me.. In lenta avanzata mi avvolge, limpido e vasto. Poi si ritrae per gonfiare ancora e incontrarmi di nuovo. Carezza interiore, abbraccio totale.
Distese di sabbia e di vento. E una luce che non troverò altrove.


mercoledì 1 luglio 2015

Il viaggio.

Vorremmo, ma non siamo padroni del nostro universo. Non lo siamo davvero.
Schiudere gli occhi al mattino e tornare alla luce diurna tra le cose che abbiamo, in un luogo da sempre già noto non basta.

Risalendo dal sonno, rivesto di nuovo il mio corpo ed arriva, impetuosa, la fiumana di sangue che abbraccia il mio cuore, e ne incendia l'azione. Lo sento partire, lì dentro. È come una spinta, un richiamo. Mi invade.
Infine i pensieri, rumorosi e sgraditi, a dettare il menù della giornata che inizia. 

Li fermo, raccolgo la penna e riunisco i miei sogni, forzando il languore che spinge a richiudere gli occhi e la mente.
I miei sogni. A volte affiorano netti e permangono interi. A volte restano solo frammenti. In altre carezzano l'anima come piuma gentile.
 Mi sfiorano e via, dileguano al chiarore del giorno. Lasciandomi lì, a lambiccare la mente.

Viviamo in un sogno continuo ma non lo vediamo.  Viviamo avventure che poco capiamo, ogni giorno e ogni notte. Ma nel sonno é più strano.

Cosa dicono i sogni?

Nel parlarne chiediamo conforto, cerchiamo il possibile senso, riflettendo sui nessi della nostra esistenza.
Ma é un argomento tabù.
Nei tempi passati le immagini sacre hanno avuto l'attenzione di molti. A loro hanno dato la voce e ufficiale maesta': in essi la guida al cammino. Uomini di tutte le razze e di tante culture li hanno evocati, indotti e osservati.

Nel tempo in cui vivo, però, tutto qsto è perduto. Chi nomina i sogni e' un bambino oppure uno strano, uno dei tanti venditori di storie.
Chi viene a narrarti il suo sogno lo fa col sorriso, quasi a scusarsi per la sua ingenuità. Ma non vi rinuncia: racconta comunque. Il sogno ci turba, ed è esperienza comune... Come ignorarlo?
Percepiamo continue varianze: la fame, la forza, la gioia...A volte figuriamo qualcosa, in intimità con noi stessi. 

Oggi viviamo di immagini, ma la nostra cultura distorce il passato. Non le cerchiamo in noi stessi, subiamo piuttosto dei falsi prodotti: immagini indotte, immagini imposte. Sogni non nostri artificialmente acquisiti.  Ci piovono addosso con veemenza incompresa e agiscono in noi attivando emozioni, e provocando reazioni. 
Ci spingono a fare secondo una urgenza che non ci appartiene. E oscurano il radar che la natura ci ha dato. Interessi di altri che non vedono l'uomo.
  Non é l'individuo la meta finale.

Ma qualcuno si oppone, si alza al mattino e scandaglia il suo viaggio. E insiste finché non c'è tutto. E pensa e ragiona...Che sto dicendo a me stesso?
 
Finché non decide di studiarne il linguaggio. Allora va a scuola, incontra maestri, si confronta con loro finquando il discorso comincia a tornare. Si apre un pò il cielo, ed esce spontaneo il sorriso.

Non siamo padroni del nostro universo: cogliamo i bisogni degli altri e li scambiamo coi nostri. Non ascoltiamo i messaggi che inviamo a noi stessi. Non siamo addestrati a capirli.

Se sbaglio io cado. Se cado io soffro. 

Nel corpo io pago la disobbedienza a me stessa. Il corpo é parola, messaggio di vita che attua se stesso. Si nutre e si espande del proprio accadere, o uccide se stesso se manca l'azione. Parola di vita e rifiuto di morte che la natura sostanzia in un sogno concreto. Ci orienta e ci aiuta in un cammino curato. Ci lascia laddove da noi é tradita.

Non cerchiamo risposte nei luoghi sbagliati, distratti da sogni di altri che oscurano i nostri! Sveliamo il tabù, ascoltiamo la vita che parla e ci guida. Acquisiamo nel mondo il compenso all'azione: altri sogni verranno da quelli attuati.
 Ogni mossa azzeccata ne apre di nuove ed accresce il possibile fare. Il vantaggio è di tutti, ed accresce risorse per essere in più.

Un passo alla volta percorriamo sentieri che tolgono ombre alla nostra visione. 

Il viaggio di ognuno é dentro di noi.

domenica 28 giugno 2015

Cuore di donna



Simone De Beauvoir, nel 1949, raggiunse notorieta' pubblicando "Il secondo sesso", un testo voluminoso in cui spiccava una corposa analisi del modo in cui la donna è relegata e definita nella cultura sociale. 
Alla luce di un approfondito excursus culturale, financo nei passaggi storici e mitologici, l'autrice criticava l'effettiva inferiorita' imputata a colei che appunto e' latrice del sesso "secondo", ossia di seconda importanza.

 Se gli uomini avessero concesso maggior spazio ed opportunità alle donne di operare nella realtà sociale  - dichiarava l'autrice - queste si sarebbero occupate meno di loro e più di sé stesse, con grande vantaggio per tutti. 
Probabilmente, mi permetto di aggiungere, sarebbero state meno asfissianti e davvero più ricche di fascino. 
 Una persona (sia pure di sesso femminile) che vede l'attuazione sociale di chi le sta intorno mentre a lei é proibito ...Che umore potra' mai vivere? E cosa potrà trasmettere a chi le è vicino? Felicità e soddisfazione? Gratitudine? Secondo me nemmeno un pò di allegria...Piuttosto un certo rancore e una sorta di invidia..

"Donne non si nasce, lo si diventa",  scriveva Simone: la donna é un essere diverso dall'uomo ma essa stessa, giocando il mito dello "eterno femminino", prostituisce il suo potenziale e rinuncia ad una esistenza dignitosa.

"L'eterno femminino", le caratteristiche propriamente indicate come femminili, diventa spesso l'unica dote trasmessa dalla madre alla figlia. Li' dove il mondo sociale é divenuto terreno maschile, in che modo affermarsi? Moine, vezzi e capricci, occhiate maliarde e mossette studiate...Blandire per poi dominare chi domina il mondo. 

Il vero guadagno? Scusate se sembro noiosa...Ma "la persona" dov'é? E darsi da fare, invece, per conquistarlo, quel mondo? E viverlo al meglio con chi ci e' arrivato? E provarne magari finalmente piacere??

Simone De Beauvoir fu molto apprezzata e molto discussa. Tacciata, tra l'altro, di anti-femminismo per un motivo preciso: la sua condanna primaria era rivolta alle donne, le prime, vere e imbarazzanti responsabili della propria umiliazione.

Tempo fa mi trovavo in Egitto, camminavo per le strade di El Quesir, un ex villaggio di beduini, popolato da imbonitori locali, turisti, e gruppetti di uomini seduti ai caffè, a fumare sinuose pipe ad acqua. 

Ricordo le donne, riunite tra loro con tanti bambini. Ricordo gli occhi curiosi su di me, sbucare dai veli scuri che coprivano il corpo. La mia figura, coperta da indumenti diversi (pantaloncini e canottiera dai colori sgargianti), attirava la loro attenzione. Rispondevo all'esame con ampi sorrisi, cosi' che anche loro, alla fine, sorridevano...
Fin quando, timidamente, una ragazza si e' accostata per toccarmi. 

Ero il diverso, una donna anch'io, ma libera di conversare e scherzare con le amicizie maschili con cui mi accompagnavo. Libera di indossare i colori e di poter vedere e mostrare il mio corpo. E sorridevo, non sembravo certo dannata! Erano lì, coperte da scuro tessuto, a guardare i bambini davanti alla porta di casa. Il sole estivo bruciava e i nostri occhi si conoscevano, rispettosi.

La guida locale spiegò che le donne, in onore alla loro cultura, non guidano e non lavorano. Rimangono in casa: "devono pensare a farsi belle, in modo tale che la sera, quando il marito  rientra, son pronte per fare l'amore". 

L'amore??? 

Ma se poi non lavorano, nemmeno producono, e mantenerle e' un costo per la società intera...!?

È giusto così.

Sicuro???

Allora il mio amico, umanista di nascita e provocatore di professione, gli chiese se il cuore di un essere umano, poggiato sul piatto di una bilancia, potesse pesare meno di quello di  un altro essere umano, ma di quella cultura.

 Non pote' dire di no, ma in pochi minuti si svincolo' dalla nostra presenza.