Il Mio Blog non vuole essere un monologo, ma un invito all'incontro: pertanto sono graditi i commenti e il succedersi degli scambi che ne conseguono.
Buona lettura!

sabato 13 marzo 2021

Architettura viva.

 

Sabato 13 marzo, un mese dopo il mio 48° compleanno, mi trovo vis a vis con un uomo simpatico, un professionista dell’architettura e del sorriso. Non è un comico, ma una persona che il sorriso te lo chiama gentilmente, con naturalezza, per la piacevolezza dei suoi modi e, soprattutto, con la bellezza delle sue idee.

 Sono accaduti eventi significativi, nell’ultimo mese, e questo incontro ne arricchisce le riflessioni conseguite. Una vocina dentro insiste a ricordarmi che nulla avviene mai per caso…

Paolo Stella è un uomo che ha capito che con il buon umore si lavora meglio: il buon umore di chi fa e quello di chi riceve il servizio. La fruizione del bene, pertanto, si arricchisce di un valore più ampio: ciò che serve mi lascia anche sorridere, e mi fa star bene.

 Professione: architetto… giocoso.

Ma in che senso, vi starete chiedendo?

La risposta è veloce: se metto su la facciata di una scuola posso anche colorarla con i disegni dei bambini che la frequentano (non è la loro scuola?); se progetto un parcheggio, posso anche trasformarlo in parco giochi, da far vivere nelle ore in cui non svolge tale funzione; se realizzo una classe scolastica, perché non inserirvi sul pavimento le caselle del gioco dell’oca? Se vissute come un gioco a premi, le interrogazioni smetteranno la veste dell’orrida tortura! Se devo tenere una brutta porta sovradimensionata in un ambiente per bambini, non è meglio ricavarne all’interno una più piccola? Una porta nella porta, per aprire la magia di una realtà ristrutturata

Tutto, insomma, può essere progettato in maniera allegra e donare così un sorriso a chi ne fruisce: anche una rampa di accesso per disabili può presentarsi come un grande e accogliente tappeto floreale.

Pensiamoci: un sorriso in più può rendere migliore l’ambiente!

Stella ha iniziato a sperimentare con i bambini, ma poi si è accorto che anche i genitori e gli insegnanti sorridevano, e così ha deciso di seguire quella via. Ora stringe accordi con privati e con i comuni di varie città, che gli commissionano lavori belli, perché il sorriso rende belli i luoghi e le persone che li vivono.

Osare, ci dice, premia. Il primo tentativo è stato un azzardo: doveva ristrutturare gli spogliatoi di una piscina nel comune di Thiene. L’idea di metter su un sottomarino che sembra emergere dall’acqua della vasca ha preso forma nella mente e nelle mani, fino a diventare realtà. E che realtà!

Ma perché i bambini? Le sue parole ricordano il pensiero di Gianni Rodari, quando nella Grammatica della fantasia lamentava il fatto che nella scuola italiana si bada solo all’esercizio, trascurandone gli effetti d’allegria: “(…) nelle nostre scuole, generalmente parlando, si ride troppo poco. L’idea che l’educazione della mente debba essere una cosa tetra è tra le più difficili da combattere”.

E se le strutture scolastiche, in primis, perdendo di vista il senso estetico nello sviluppo esistenziale finiscono col costringere la creatività umana, è bene ravvivare quelle braci, farlo con le forme ed i colori, illustrando storie, popolando con la fantasia gli spazi aperti finanche negli attraversamenti pedonali, dove marinai, fari, grossi piedi, gattoni e zebre a strisce colorate conquistano l’attenzione delle persone – stimolandone la curiosità e l‘auspicato buon umore. Che poi si sa, il sorriso è contagioso…

Dalle scuole alle strade, alla vita comune… E allora perché no, parliamo della morte.

 Ho incontrato Stella tra le righe di un suo articolo, nel quale presentava un fenomeno che sta prendendo piede anche in Italia: quello dei “boschi sacri”. Piano piano le regioni stanno attrezzando aree boschive ad accogliere le spoglie di persone che ci hanno lasciato, così da consentire a chi resta di vivere il distacco in maniera più naturale. 

La cenere dei cari che nutre la vita nel bosco, intanto che la natura torna alla natura.

La domanda è venuta da sé: l’architetto giocoso, un cimitero, come lo progetterebbe?

Mi dice di sé, che desidera esser sepolto sotto un albero, semplicemente; un albero da frutto, magari, che rechi piacere a chi si avvicina. Sorride con fare bonario: se poi fosse un fico, la gente potrebbe sorridere pensando a chi vi è sepolto.

 Giocoso, il nostro architetto.

Comunque un progetto in tal senso è stato richiesto, senza ridare però la risposta sperata. La proposta mostrava uno spazio verde in cui inserire le salme, con un ampio anello di marmo bianco a tenerle vicine in un confortevole abbraccio. 

Ma l’intento poetico è stato oscurato dall’esigenza, che è propria di molti, di vedere una lapide e di conoscere lo spazio specifico in cui risiede chi cercano. Staccarci dalla fisicità è una impresa davvero difficile, e i simboli hanno la loro importanza.

Ma una tomba giocosa sarà mai possibile? 

Ragiono su eventi personali recenti, ostentando un po’ di sconcerto: i luoghi di sepoltura restituiscono spesso una malinconia che alimenta solo il dolore, rendendo più vivo quel senso di vuoto. Mi viene da dire che invece quei luoghi, istituiti per aiutare le persone a ritrovare la pace, dovrebbero evocare la gioia che è stata vissuta nel tempo trascorso con chi ora non c’è; dovrebbero stimolare il ricordo della bellezza dovuta all’incontro avvenuto, e far sì che quella gioia compensi – per quanto si può – il brutto senso di vuoto che spinge là dentro.

Con fare benevolo Stella mi dice che a me, una tomba così, la può progettare, ma che mettere insieme dolore e piacere è una impresa per pochi. 

Ha ragione: il contrasto provocherebbe sicuramente lo sdegno. Lo ascolto parlare, dice cose che so, eppure oggi mi entrano dentro in maniera diversa.

 Noi, oggi, abbiamo rimosso la morte, la teniamo nascosta, non ne parliamo nemmeno. La morte è un fatto privato molto più di quando la gente viveva vicina, in famiglie allargate e in comunità, condividendo le ore. Allora i bambini imparavano a vedere la morte come un fatto di tutti, che accade, e che appartiene alla nostra e alla altrui natura. 

Ma oggi, che viviamo isolati, non abbiamo più quella scuola, e quando accade l’evento, ci sovrasta del tutto. Noi non sappiamo gestirlo, non sappiamo incontrarlo. E nel desiderio che non fosse avvenuto, cerchiamo le spoglie in oggetti che ci ricordino ancora qualcosa che possa essere visto e toccato, come un surrogato del corpo che fu.

Grazie, Architetto, per questo scambio gentile, gioioso e profondo.






 

 

 

 

 

 

venerdì 12 marzo 2021

Essere Comunità


 

Petr Alekseevic Kropotkin, noto per le sue manifeste tendenze anarchiche, fu principe russo alla corte dello Zar Alessandro II, prigioniero politico e rivoluzionario in fuga, ma soprattutto fu un grande scienziato (nominato segretario della sezione geofisica della Società russa di geografia) e filosofo etico 

Gli studi sul naturalismo nei quale si era immerso lo portarono a definire una visione etica dell’esistenza che oggi sembra impossibile ignorare.

Essendo al contempo un attento osservatore della vita animale e un appassionato studioso di storia, Krapotkin arrivò e definire una sua visione dinamica dell’esistenza, caratterizzata dalla condizione di interconnessione continua, concausa di crescita evolutiva costante: tutto muta costantemente in qualcos’altro.

In Petr le osservazioni dei fatti della natura trovarono facile riscontro nel contesto delle società umane e, qui come lì, in sintonia con Darwin – e in contrasto furibondo con certi suoi epigoni – si convinse del fatto che la vita umana ed animale poggia sui fondamentali principi di solidarietà e cooperazione: una visione in netto contrasto con la tendenza del momento, che predicava la lotta e la prevaricazione del più forte sul più debole.

In natura, sosteneva K., non esistono leggi prestabilite, ma fenomeni indeterminati, e l’armonia è sempre il risultato di un lungo processo di acquisizione e trasformazione.

Dalla natura all’etica, dunque, attraverso lunghi anni di osservazione dell’ambiente: flora, fauna, individui e società: in tutti è presente, per natura, la disposizione a ciò che poi egli definì il mutuo appoggio, uno strumento determinante ai fini stessi dell’evoluzione.

In quest’ottica, il processo evolutivo non poggia sulla prevaricazione ad opera dei più forti, ma sulla capacità di imparare ad unirsi, che è la condizione essenziale per il sostenersi reciproco in direzione del prosperare della comunità.

Se Darwin sosteneva che l’evoluzione graduale delle specie rende più evidenti e forti gli istinti sociali, Krapoktin andava oltre, fino a definire il senso di giustizia come sentimento profondo, ben radicato persino nelle società più primitive, superato in modo “eroico” solo dalla morale, che consta nell’abnegazione o sacrificio di sé stessi a beneficio degli altri. Non più dunque lotta per la sopravvivenza, secondo il canto della sirena hobbesiana, ma mutuo soccorso.

A questo concetto l’autore ha dedicato un bellissimo libro dal medesimo nome (Il Mutuo soccorso, 1902), frutto dell’aggregazione di sezioni composte nell’arco di sei anni di lavoro (1890-96).

Nel suo lungo percorso di studioso e scrittore, K. ha illustrato chiaramente, attraverso numerosi esempi, la naturale tendenza umana ed animale alla solidarietà, quale risultante della dinamica di due istinti difficilmente separabili: egoismo e reciprocità.

 La solidarietà germoglia in seno all’istinto di sopravvivenza - mi unisco per sopravvivere – ed evolve in senso volontario-intellettivo nei popoli più progrediti (la dimensione etica).

La storia ha dimostrato – sono numerosi gli esempi pratici descritti nel libro - quanto la legge del reciproco aiuto sia più importante di quella per la via del singolo: l‘egoismo individuale può esser raggiunto solo in quello collettivo, e trova il limite naturale in quella solidarietà di fondo che è comune da sempre alla specie umana e a quella animale. 

La vita sociale promette agevolazioni, protezione e piaceri che il singolo, di per sé potrebbe faticare a raggiungere, seppure fosse mai in grado di arrivarvi a tal modo.

Se “la lotta risponde all’esigenza di nutrizione (competizione) e l’associazione invece al bisogno di prolungare l’esistenza della specie”, l'aiuto reciproco si fa regola nelle comunità dei viventi, tanto che pure “Le formiche e le termiti hanno ripudiato la «legge di Hobbes» sulla guerra, e se ne trovano più che bene” (cit.). Le specie che, volontariamente o no, abbandonano quest'istinto di associazione, sono condannate a sparire rinunciando per sempre alla probabilità di evoluzione e di sviluppo dell’intelligenza, a dispetto di un gran dispendio di energia. Coloro che si adattano alle condizioni ambientali rendono possibile la conservazione dei loro geni nel tempo e nello spazio, favorendo quell’interessante lento e variegato processo che è l’evoluzione.

Dalle prime comunità alle società organizzate si è passati attraverso la comprensione della necessità di unire le forze, tanto più ove la lotta per la vita si mostra più cruda: “indivise o no, raggruppate o sparse nei boschi, le famiglie dimorano unite in villaggi comuni; parecchi villaggi si raggruppano in tribù e le tribù in federazioni. Tale fu l'organizzazione che si svolse fra i pretesi «barbari», quando essi incominciarono a stabilirsi in un modo più o meno duraturo in Europa”.

Dalla famiglia alle comunità rurali fino alle società moderne: si ripete lo schema. Le stesse città del Medioevo costituirono lo sforzo, su ben più vasta scala di quella del comune rurale, di organizzare una forte unione di aiuto e mutuo appoggio per il consumo, la produzione e la vita sociale nel suo insieme, consentendo libertà di espressione al genio creatore di ciascun gruppo nelle arti, nei mestieri, nelle scienze, come nel commercio e nella politica. La città era un organismo completo perché rappresentava un insieme di funzioni vitali: solo questo permise di arrivare all’età del Rinascimento.

L’aiuto reciproco, descritto al pari di una legge di natura, viene identificato dal filosofo come fattore essenzialmente evolutivo, tanto da rimanere attivo anche nella società moderna declinata sulla china dell’individualismo deresponsabilizzante che fa rottura con la comunità, discostandosene. L’accumulo di ricchezze da parte di alcuni (la classe borghese) rispetto ad altri ritenuti quindi non degni (i contadini) ha sciolto i legami sacri, annullando il senso di comunità e condannando i singoli all’uscita dall’Eden.

 L’allontanamento dalla società rurale per la predilezione manifestata verso l’industria estraniarono l’uomo dalla sua natura.

Vennero ad organizzarsi i potenti Stati, che si imposero come unici rappresentanti legittimi dei rapporti tra i soggetti: “Il federalismo ed il «particolarismo» erano i nemici del progresso di cui lo Stato era il solo iniziatore, la sola vera guida”. 

Tra il 18° e il 19° secolo l’Europa cadde in una disgregazione dispotica che annullava l’individuo come membro di comunità, come “ente sociale”, e lo riduceva ad entità deresponsabilizzata verso il simile, e obbediente all’autorità dispotica del potente accentratore. 

Una tendenza che, nella società attuale, traspare nella propensione diffusa al forte individualismo e all’isolamento del singolo, in forte contrasto con le comunità rurali di cui parlava K. E ancora, gli ultimissimi eventi legati alla situazione pandemica in corso, ci restituiscono una umanità disgregata, impaurita e confusa, che guarda con sospetto il simile ed è invitata ad attuare - per motivi di sicurezza, certo -  la sgradevole pratica del “distanziamento sociale”. 

Eppure, al di là della paura, delle regole e del sospetto, sono numerosi gli esempi di solidarietà e vicinanza che questo essere uomo esprime e pone in atto costantemente: dagli atti spontanei di aiuto reciproco nei quartieri agli scioperi collettivi degli affitti, alle ceste sospese degli alimenti, ai cori di solidarietà morale dai balconi; le persone si sono unite e hanno manifestato reciproca vicinanza e solidarietà.

Ecco che il mutuo appoggio si rivela per quello che k. ci ha descritto: non un fenomeno meramente culturale, ma un istinto vitale universale, un motore di sopravvivenza decisivo per la specie, una legge della vita

Petr sosteneva che proprio la capacità di unirsi e cooperare distingue le specie più evolute, non la loro tendenza a opporsi e competere individualisticamente.

Per chiudere con l’autore: “quali si siano le nostre opinioni sulla prima origine del sentimento o dell'istinto del mutuo appoggio, che gli si assegni una causa biologica o soprannaturale, è forza il riconoscerne la esistenza fin nei più bassi gradini del mondo animale; e da essi possiamo seguire la sua ininterrotta evoluzione”.







 

 

 

 

 


martedì 9 marzo 2021

Dove Andiamo Oggi?

 

Un tributo ad un Amico che, osservando la natura, si interrogava sull’Eternità. Questo dialogo lo ha scritto lui prima di lasciarci.

Ciao Daniele.

 


 

F- Papà, oggi dove andiamo?

P- Scegli tu oggi, è domenica e il calcio è stato sospeso.

F- Papà per te la partita è la cosa più importante?

P- Beh...No! Insomma… Un pochino importante.

F- Andiamo nel bosco?

P- Nel bosco? A fare che?

F- Ti posso fare una domanda, pà?

P- Si certo.

F- Ci sono o sono mai esistiti alberi che non muoiono mai?

P- Ma che domande fai? Tutti gli esseri viventi, ad un certo punto muoiono, alberi compresi.

F- Sei sicuro pà? Nell’Eden Dio creò l’Albero della Vita; non solo, “fece crescere ogni albero desiderabile alla vista e buono come il cibo”. Sembra che Dio non abbia “seminato o piantato” questi alberi speciali ma li abbia fatti nascere così.

P- E allora?

f- pà, mi domando se questi alberi, specie quello della vita, che sono parola di Dio, e quindi eterni, non possono morire.

P- Forse è meglio cambiare discorso…

F- No pà, pensa un po’ ai semi di un albero eterno; cosa nascerà da questi semi? Un altro albero eterno?

P- Non saprei, forse sì.

F- Sai che guaio: ad un certo punto non ci sarà più posto per un albero e i semi, che germinano alberi immortali, non avranno più spazio e cominceranno ad ammucchiarsi fino a coprire tutto l’Eden.

P- Che vuoi dire?

F- Pensa: se Adamo non avesse mangiato il frutto dell’albero del bene e del male noi vivremmo ancora del Eden che sarebbe, dopo tanti millenni, sovrappopolato di esseri immortali, alberi immortali… anche animali? Come potresti farti una costoletta alla brace di un maialetto immortale? Pare che nell’Eden tutti fossero vegetariani, potendo solo mangiare i frutti degli alberi. Una bella palla, pà.

P- Mi sa che tu ti crei dei ragionamenti paradossali.

F- Dimostramelo!

P- Facile! Ci sei mai stata nel Paradiso Terrestre?

F- No papà, ma se oggi andiamo a passeggiare nel bosco, forse, potremo vedere l’eternità.

P- Ma che dici! Eternità è una parola astratta.

F- No pà, quando vedi una piantina che nasce, lì c’è la vita; quando osservi un albero, lì c’è la vita; quando l’albero finisce il suo ciclo e si secca, un altro albero sarà nato e cresciuto. La piantina e l’albero non sono nomi astratti. Quando sono vivi prendono in prestito un pezzetto di eternità. Quando il tronco cade le formiche ne fanno la loro casa, e i funghi lo trasformano in fertile humus che nutre un nuovo albero.

Papà c’è la partita in differita. Accendo la TV?

P- Mettiti gli scarponi che andiamo nel bosco.

°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°

NEL BOSCO

F- Pà quale è la parte più vitale dell’albero? [1]

P- Non lo so, non sono un botanico. Distinguo a malapena la quercia dal limone. Figurati se so queste cose.

F- Ti dico questo e poi passeggiamo in silenzio. Nei sistemi come Android, l’utente che ha il privilegio di “root” (radice) può modificare liberamente qualsiasi restrizione imposta dal sistema, può aumentare la durata della batteria, disabilitare i tracciamenti in back ground, installare applicazioni non certificate, modificare dati di sistema nascosti e inaccessibili…

Essere “radice” ti consente pure di cambiare tutto il sistema del tuo smartphone con delle versioni modificate.

 Metti che il tuo smartphone diventa un “mattoncino”… se sei “root” lo puoi ripristinare. Tante cose insomma.

Allo stesso modo, se un uliveto è distrutto da un incendio non è detto che muoia: le radici non muoiono, e dopo un po’ vedi che nasce un nuovo ramoscello. La chioma, i rami, il tronco sono diventati cenere, le radici no. La cenere è un buon nutrimento per le radici, e l’ulivo rinasce dalle ceneri come l’Araba Fenice.

P- Passeggiamo.

F- Attento a non smuovere troppo le foglie secche che lì sotto ci sono le ife.

P- Le… che???

F- Vuoi che mi sintonizzo sulle partite pà?  No! Qui non c’è campo.

P- Parlami delle ife e dimmi pure come si cucinano…

F- Forse è meglio che ti colleghi al sito di “Plant For The Planet”, così cominci a capire bene gli alberi e i loro amici sotterranei.

P- E poi?

F- “Plant For The Planet” è stata fondata da un bambino che, come me, ama gli alberi e i suoi abitanti. Noi bambini ne sappiamo molto di queste cose, e possiamo insegnarle dal vivo passeggiando nei boschi. Anche i grandi, quelli esperti di ecologia, botanica, di foreste e boschi insomma, quando spiegano, spesso, lo fanno in modalità “bambino”, nell’innocenza di occhi che vedono la luce della chioma degli alberi. Pà, hai notato come erano luminose le foglie di quella quercia? Dovresti vederle di notte, quando emettono piccoli punti luminosi. Ci vuole occhio però.

P- Quando la prossima?

F- Domenica pomeriggio, quando farai a meno della partita.

P- Argomento?

F- Sul Linguaggio Scientifico, come ce lo spiega Peter Wohlleben nel capitolo 17 del suo libro “La Rete Invisibile Della Natura”: compralo e studialo. Noi bambini spieghiamo come ci dice di fare Peter. Curioso, eh?

“Per me è più importante che comprendiate emozionalmente lo stato delle cose, così da farvi vivere un’esperienza della natura completa dal punto di vista sensoriale. Perché solo in questo modo posso trasmettervi la gioia che riescono a darci le altre creature e i loro segreti.” (Peter Wohlleben)

 

 




 

 

 

 

 



[1]     Qualcuno potrebbe dire che sia la parte apicale (apice vegetativo), ma anche le radici hanno il loro apice radicale ipogeo.

lunedì 1 marzo 2021

Tecnica e Poieutica

 

Luciano Maciotta, ingegnere elettrotecnico, si definisce “artista per hobby”. La congiuntura tra scienza e arte, ci fa rilevare, non è poi così straordinaria, a dirla tutta: il grande Leonardo, oltre che artista, non era scienziato?  

L’arte formalizza l’espressione di contenuti, e sia pure quando rifugge dal figurativo, essa comunica. L’arte (τέχνη) può dunque accadere come veicolo per comunicare la scienza e i suoi risultati (ποιητική) ad un pubblico che “parla una lingua diversa” rispetto agli addetti ai lavori, uno strumento divulgativo, in un certo senso, più democratico e inclusivo. E così alla tecnica scientifica si accosta il gusto estetico (nel senso propriamente originario del termine, in riferimento all’αἴσθησις: la percezione sensibile), che si sviluppa in un percorso di ricerca nato da una fascinazione: la produzione dell’artista Enrico Castellani, le cui creazioni spingono il Nostro a riflettere su come un quadro possa restituire giochi di luce, come accendere tecnicamente una tela - elemento sensibile alla luce e al calore, a suo rischio e pericolo (la tela è un elemento infiammabile).

L’immissione dei LED (light emitting diode) nel mercato, a partire dagli anni '60, e la loro diffusione massiva avvenuta nell'arco di trent'anni, ha dato l'abbrivio ad un periodo di sperimentazione e produzione di notevole interesse: interesse artistico, com’è noto dai canali di settore, ed etico come vedremo a breve.

Un led è un diodo a emissione di luce, ossia un dispositivo optoelettronico che sfrutta le capacità di alcuni materiali semiconduttori di produrre fotoni attraverso un processo di emissione spontanea quando sono attraversati da una corrente elettrica.

Per evitare tecnicismi, per ciò che intendiamo riportare in questa sede, ci basterà ricordare che, rispetto ai tradizionali sistemi di illuminazione, i LED dissipano solo il 20% dell’energia prodotta, anziché l’80: una capovolta situazionale che realizza la vera rivoluzione: meno consumi e più risultati.

Nacque così l’idea di inserire i LED nel quadro: non scalda, non brucia e consuma poco. Sono seguite prove, mostre e pubblicazioni, che hanno trovato asilo prevalentemente in gallerie private, più aperte alle sperimentazioni di quanto non fosse possibile nelle vie del mercato tradizionale.

 E poi il passaggio dall'estetica all’etica: i cinque anni di attività trascorsi nel settore della consulenza ambientale hanno fatto da catalizzatore sulla riflessione orientata portandola sulla via della utilità sociale: l’Energia, risorsa fondamentale, non è alla portata di tutti, ma può diventarlo, e questo si vuole che accada.

 E’ nato così il progetto Electricitas, che coniuga istanze scientifiche, espressive e sociali: la scienza deve scendere in piazza, tra la gente, deve essere divulgata nella sua utilità pratica perché se ne possa realmente fruire.

Sulle orme di Tesla fino alla Free Energy: le risorse fondamentali devono essere accessibili, devono avere un basso costo, e non danneggiare l’ambiente. Oggi un miliardo di persone non hanno accesso all'elettricità, e compensano tale carenza con succedanei dannosi per l'uomo e per l'ambiente: i fuochi e i fumi che essi rilasciano entrano nell'organismo e si distribuiscono nell’aria. Oggi, di questo, si parla poco.

Tesla aveva mostrato che l'energia può essere trasmessa, ma non ha mostrato come farlo accadere in maniera sana: essa deve essere ricavata con procedure naturali e affidabili.

In occidente ci concentriamo sulle grandi potenze di energia, ma i paesi più poveri mirano a soddisfare le necessità di base: paesi come Africa, Sri Lanka, Perù, Bangladesh e Messico oggi studiano e attuano sperimentazioni che vedono coinvolti i propri istituti universitari – nella prevalente indifferenza dei paesi baciati dal benessere -  per ricavare energia da elementi naturali: che si tratti di frutta, tuberi, aria e della stessa nuda terra, i risultati sono promettenti.

Maciotta, studiando, si è quindi inoltrato in sperimentazioni analoghe – rappresentate attraverso la dimensione artistica – operando anch'egli su vegetali, aria e terra.

Le numerose installazioni che ne son conseguite hanno raccontato, ostentandolo, il successo dei suoi sforzi: dai cesti di limoni, tecnicamente interconnessi, che accendono led, ai grossi palloni aerostatici, debitamente collegati, in grado di catturare cariche elettrostatiche per far girare motori ad essi collegati. Esperimenti già avviati negli Stati Uniti a partire dagli anni '90, sulle orme del fisico Oleg Jefimenko.

La sperimentazione di Maciotta è andata a buon fine, tanto da ottenere sponsorizzazione dalla Regione Piemonte: un progetto che attende i necessari finanziamenti per diventare azione sociale.

Sappiamo bene che le fonti di energia rinnovabili sono di difficile accesso: l'acqua, il sole e il vento sono disponibili solo in certe condizioni, e la manutenzione delle apparecchiature utilizzate per estrarne energia hanno costi di gestione onerosi. Electricitas propone invece un sistema economico, che richiede una manutenzione minima e una capacità di gestione e manutenzione essenziale: basta inserire grosse piastre di rame e di zinco ad una certa distanza tra loro, in un terreno specifico, con la giusta dose di umidità e sostanze minerali, per arrivare ad obiettivo.

In molti hanno già lavorato per ottenere energia dalla terra, e l'invenzione del telegrafo è stato il primo passo. Certo, la tecnologia è poi cambiata, e gli interessi del mondo economico si sono orientati altrove. Ma il mondo è un aggregato di popolazioni e nazioni con ritmi e necessità differenti: i paesi meno sviluppati hanno pretese più spicciole, se vogliamo, e possono accontentarsi – se viene loro concesso di farlo. Maciotta si esprime con fare sincero: in condizioni di estrema penuria, disporre dell’energia sufficiente a caricare la batteria di un cellulare, ad alimentare alcune lampadine in casa, o anche contenitori refrigeranti, in specie per medicinali e vaccini, è già una conquista.

Sperimentare prima, ed operare poi, hanno davvero una grande importanza, perché è ciò che consente di favorire, per quanto possibile, anche quella parte di mondo che in pochi hanno interesse a curare, laddove la risorsa umana è percepita a priori come valore economico di scarso rilievo. L'obiettivo finale è quello di rendere disponibile uno strumento importante agli enti preposti alla cooperazione internazionale. 

Electricitas è dunque un progetto mirato a produrre energia elettrica ad uso domestico grazie a investimenti minimi, e senza impatto ambientale: potrebbe ovviamente venire applicato in molti contesti. Ad oggi sono in corso gli accordi di un suo utilizzo nella gestione degli orti scolastici, quale sperimentazione pilota per un progetto di più ampio respiro: l'alimentazione energetica in vivai destinati alla piantumazione in caso di riforestazioni internazionali.

Energia essenziale, resa accessibile anche alle nazioni più povere; sperimentazione e divulgazione affinché le soluzioni trovate incontrino un pubblico; provocare come in chi scrive, la sorpresa che accende una gran voglia di fare.