Sabato 13 marzo, un mese dopo il
mio 48° compleanno, mi trovo vis a vis
con un uomo simpatico, un professionista dell’architettura e del sorriso. Non è
un comico, ma una persona che il sorriso te lo chiama gentilmente, con naturalezza,
per la piacevolezza dei suoi modi e, soprattutto, con la bellezza delle sue
idee.
Sono accaduti eventi significativi, nell’ultimo
mese, e questo incontro ne arricchisce le riflessioni conseguite. Una vocina
dentro insiste a ricordarmi che nulla avviene mai per caso…
Paolo Stella è un uomo che ha
capito che con il buon umore si lavora meglio: il buon umore di chi fa e quello
di chi riceve il servizio. La fruizione del bene, pertanto, si arricchisce di
un valore più ampio: ciò che serve mi lascia anche sorridere, e mi fa star
bene.
Professione: architetto… giocoso.
Ma in che senso, vi starete
chiedendo?
La risposta è veloce: se metto su
la facciata di una scuola posso anche colorarla con i disegni dei bambini che
la frequentano (non è la loro scuola?); se progetto un parcheggio, posso anche trasformarlo in parco giochi, da far vivere nelle ore in cui non
svolge tale funzione; se realizzo una classe scolastica, perché non inserirvi
sul pavimento le caselle del gioco dell’oca? Se vissute come un gioco a premi, le
interrogazioni smetteranno la veste dell’orrida tortura! Se devo tenere una
brutta porta sovradimensionata in un ambiente per bambini, non è meglio
ricavarne all’interno una più piccola? Una porta nella porta, per aprire la
magia di una realtà ristrutturata…
Tutto, insomma, può essere
progettato in maniera allegra e donare così un sorriso a chi ne fruisce: anche una
rampa di accesso per disabili può presentarsi come un grande e accogliente tappeto
floreale.
Pensiamoci: un sorriso in più può
rendere migliore l’ambiente!
Stella ha iniziato a sperimentare
con i bambini, ma poi si è accorto che anche i genitori e gli insegnanti
sorridevano, e così ha deciso di seguire quella via. Ora stringe accordi con
privati e con i comuni di varie città, che gli commissionano lavori belli, perché
il sorriso rende belli i luoghi e le persone che li vivono.
Osare, ci dice, premia. Il primo
tentativo è stato un azzardo: doveva ristrutturare gli spogliatoi di una
piscina nel comune di Thiene. L’idea di metter su un sottomarino che sembra
emergere dall’acqua della vasca ha preso forma nella mente e nelle mani, fino a
diventare realtà. E che realtà!
Ma perché i bambini? Le sue
parole ricordano il pensiero di Gianni Rodari, quando nella Grammatica della fantasia lamentava il
fatto che nella scuola italiana si bada solo all’esercizio, trascurandone gli
effetti d’allegria: “(…) nelle nostre scuole, generalmente parlando, si ride
troppo poco. L’idea che l’educazione della mente debba essere una cosa tetra è
tra le più difficili da combattere”.
E se le strutture scolastiche, in primis, perdendo di vista il senso
estetico nello sviluppo esistenziale finiscono col costringere la creatività
umana, è bene ravvivare quelle braci, farlo con le forme ed i colori,
illustrando storie, popolando con la fantasia gli spazi aperti finanche negli
attraversamenti pedonali, dove marinai, fari, grossi piedi, gattoni e zebre a
strisce colorate conquistano l’attenzione delle persone – stimolandone la curiosità e l‘auspicato
buon umore. Che poi si sa, il sorriso è contagioso…
Dalle scuole alle strade, alla vita comune… E allora perché no, parliamo della morte.
Ho incontrato Stella tra le righe di un suo articolo, nel quale presentava un fenomeno che sta prendendo piede anche in Italia: quello dei “boschi sacri”. Piano piano le regioni stanno attrezzando aree boschive ad accogliere le spoglie di persone che ci hanno lasciato, così da consentire a chi resta di vivere il distacco in maniera più naturale.
La cenere dei cari che nutre la vita nel bosco, intanto che la natura
torna alla natura.
La domanda è venuta da sé:
l’architetto giocoso, un cimitero, come lo progetterebbe?
Mi dice di sé, che desidera esser sepolto sotto un albero, semplicemente; un albero da frutto, magari, che rechi piacere a chi si avvicina. Sorride con fare bonario: se poi fosse un fico, la gente potrebbe sorridere pensando a chi vi è sepolto.
Giocoso, il nostro
architetto.
Comunque un progetto in tal senso è stato richiesto, senza ridare però la risposta sperata. La proposta mostrava uno spazio verde in cui inserire le salme, con un ampio anello di marmo bianco a tenerle vicine in un confortevole abbraccio.
Ma l’intento poetico è stato
oscurato dall’esigenza, che è propria di molti, di vedere una lapide e di conoscere
lo spazio specifico in cui risiede chi cercano. Staccarci dalla fisicità è una
impresa davvero difficile, e i simboli hanno la loro importanza.
Ma una tomba giocosa sarà mai possibile?
Ragiono su eventi personali recenti, ostentando un po’ di sconcerto:
i luoghi di sepoltura restituiscono spesso una malinconia che alimenta solo il
dolore, rendendo più vivo quel senso di vuoto. Mi viene da dire che invece quei
luoghi, istituiti per aiutare le persone a ritrovare la pace, dovrebbero
evocare la gioia che è stata vissuta nel tempo trascorso con chi ora non c’è; dovrebbero
stimolare il ricordo della bellezza dovuta all’incontro avvenuto, e far sì che
quella gioia compensi – per quanto si può – il brutto senso di vuoto che spinge
là dentro.
Con fare benevolo Stella mi dice che a me, una tomba così, la può progettare, ma che mettere insieme dolore e piacere è una impresa per pochi.
Ha ragione: il contrasto provocherebbe sicuramente lo sdegno. Lo ascolto parlare, dice cose che so, eppure oggi mi entrano dentro in maniera diversa.
Noi, oggi, abbiamo rimosso la morte, la teniamo nascosta, non ne parliamo nemmeno. La morte è un fatto privato molto più di quando la gente viveva vicina, in famiglie allargate e in comunità, condividendo le ore. Allora i bambini imparavano a vedere la morte come un fatto di tutti, che accade, e che appartiene alla nostra e alla altrui natura.
Ma oggi, che viviamo isolati, non abbiamo più quella scuola, e quando accade l’evento, ci sovrasta del tutto. Noi non sappiamo gestirlo, non sappiamo incontrarlo. E nel desiderio che non fosse avvenuto, cerchiamo le spoglie in oggetti che ci ricordino ancora qualcosa che possa essere visto e toccato, come un surrogato del corpo che fu.
Grazie, Architetto, per questo scambio
gentile, gioioso e profondo.
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