Il Mio Blog non vuole essere un monologo, ma un invito all'incontro: pertanto sono graditi i commenti e il succedersi degli scambi che ne conseguono.
Buona lettura!

sabato 29 maggio 2021

Che qualcuno lo dica

  

Una domenica mattina, una delle mie tante escursioni tra campi e boschi. Viaggio con una cara amica che da anni, ormai, accetta di seguire col sorriso le mie scorribande. Abbiamo scarpinato nel fango, raccolto ortica selvatica, sonnecchiato tra i cardi e sorriso davanti a un vitello che succhiava il latte dal corpo materno.

Una splendida giornata di sole, satura dei profumi dolciastri di questa strana primavera che è lenta a svelarsi. Finalmente distese, anche se stanche, ci dirigiamo verso casa. Poi, però, lo sguardo cade su un campo in cui una decina di asini pascolano sereni. Hanno il pelo arruffato, sono di colori diversi, con le grandi chiazze bianche intorno agli occhi e le caratteristiche lunghe orecchie.

Non riuscendo a resistere, ci fermiamo, e li vediamo arrivare in un attimo: ci raggiungono fino al recinto, allungando il muso verso le nostre mani. La mia amica raccoglie erba fresca dal suolo e la offre ridendo davanti allo spettacolo allegro che ci si para dinanzi: gli uni con gli altri, i musi vicini, si tolgono i fili di bocca. E così il gioco prosegue, con manciate di erba tenera e veloci bocche pelose che masticano.

Mi guardo intorno, chiedendomi perché vengono allevati degli asini. Sono belli, certo, ma oggi si fa tutto per profitto… e vedo un cartello di legno, con su scritto a caratteri storti “si vendono uova fresche ed altro”. Uno sguardo di intesa e ci diamo da fare: andiamo a vedere.

Raggiungiamo un ometto, avanti negli anni, un po’ curvo, che ci sorride invitandoci a entrare. E’ lui il capoclan: vive lì con la famiglia, con le galline, gli asini e alcune capre.  Ci dice che, in effetti, dovrebbe correggere il cartello: lui vende le uova, quanto all’ “ed altro”, non sa bene cos’è. Ci racconta che le capre le gestisce il genero, producendo pochi formaggi (che poi avremo il piacere di assaggiare); quanto agli asini, non sa nemmeno lui perché il figlio abbia deciso di allevarli…

Domenico, è questo il suo nome, ci accoglie in casa per presentarci Teresa, la moglie: una donna robusta dagli occhi buoni, che ci prepara un caffè e fa spazio sul tavolo. Sediamo in una piccola cucina dall’aspetto vissuto, i piatti svuotati ancora sul tavolo dopo un pranzo in famiglia appena concluso.

Io e la mia amica sediamo, a nostro agio, e parliamo a lungo con loro: respiriamo un’atmosfera benevola che ci fa stare bene; l’atmosfera è rilassata e gioviale. Domenico ci racconta delle sue galline, di quella piccola, nera e ribelle, che smaniosa di libertà, aveva covato all’aperto, sotto la protezione di un grosso cavolo. Tanta l’ostinazione che le uova si erano poi schiuse, lasciando uscire dei sani pulcini. Ci parla della sua infanzia, al paese in Abbruzzo, quando la carne non si mangiava quasi mai, perché gli animali costavano, e costava fatica nutrirli. I polli di oggi, però… Ci fa il nome di allevatori famosi alle cronache, del modo in cui allevano le bestie che poi la gente acquista, per pochi euro, al supermercato.

Parliamo dei nipoti, della scuola, del fatto che molti ragazzi crescono senza avere la fortuna di poter toccare la terra, senza conoscere il verso di alcuni animali. Loro hanno tre figli, e ognuno ha altrettanti bambini - qualcuno di più - e vivono lì, tutti vicini, condividendo un pezzo di terra che accoglie animali, un bell’orto e una serra.

Il nostro ospite tiene banco, un cerimoniere di corte, e restiamo in silenzio a seguirne i volteggi mentali; abbiamo gli occhi sgranati e le orecchie spalancate intanto che il tempo scorre veloce verso la sera. Lui si è rovinato una spalla lavorando la terra, ma non si ferma, nonostante l’età: è lì, tutti i giorni sul campo. Dopo un po’ infatti si congeda con una frase cortese e torna al lavoro. Ci dice la moglie che lui si fermerà solo da morto. Sorride, Teresa, con un’espressione di semi-rimprovero e approvazione: si vede da come scherzano che l’intesa tra loro è sana.

 Compro le uova e mi invitano a vedere la serra: dietro la porticina sbilenca, custodita da un lucchetto rugginoso, vedo file lunghe di insalate giganti, così belle e sode da sembrare gioielli. Rimango ammaliata da tanta semplicità, umanità e benevolenza.

Teresa mi consegna un cespo di canasta che ha appena colto: un regalo per me, secondo i rituali di una ospitalità antica e dimenticata da molti. Un benvenuto che segna il primo di incontri futuri. L’insalata è croccante e piena di terra, il suo diametro supera quello del mio busto. Lavorare la terra è faticoso, e questa coppia, avanti negli anni, fatica.

 E accolgono me, con calore, con fiducia e con doni preziosi.

Ci diamo un appuntamento a breve perché ho intenzione di acquistare i formaggi, ed il loro genero non è in casa. E così io ritorno, e scopro che altri parenti gestiscono api e, a breve, produrranno miele di acacia e castagno.

 Altra lunga conversazione, altre risate, ancora festa. I piccoli caci hanno il sapore dei miei ospiti: semplici, genuini e sinceri. Tra una visita e un’altra si susseguono bicchieri di vino, racconti, riflessioni e sorrisi. Ogni volta, in auto, percorro una strada diversa per raggiungerli, ma l’accoglienza è sempre la stessa.

 Ieri, licenziandomi, ho ricevuto un abbraccio materno. Ci vedremo domani, probabilmente: le ho promesso un rimedio per le ginocchia dolenti.

Teresa mi ha raccontato di sé, di come è arrivata in Italia da Asmara ai tempi in cui dall’Eritrea si partiva per tornare dopo alcuni anni di lavoro. “Io volevo aiutare i miei fratelli e così sono partita da sola, non conoscevo nessuno, ma sono stata fortunata: ho trovato tante brave persone” - Teresa ha cresciuto i figli di altri, prima di crescere i suoi. Lo ha fatto per soldi e lo ha fatto per necessità. Ha cresciuto anche i figli dei fratelli che sono morti durante la guerra, e li ha aiutati a venire via da quel paese ferito. Ora i nipoti sono tutti sistemati: la scuola, il lavoro, e i loro figli. A questa donna brillano gli occhi mentre sorride al nipotino più piccolo che si avvicina timidamente stringendo la mano alla mamma, che entra in cucina per un saluto. Entrambi sono scuri di pelle, capelli ricci e zigomi alti. La voce rivela la cadenza romana.

Il suono corposo conquista lo spazio nel raccontare della sorella più giovane, figlia di un padre diverso, che è rimasta ad Asmara, e i nipoti che sono migrati in Canada, e i suoi figli, che le vivono accanto. La casa è piccina, eppure mi sembra enorme, piena di vita e di urla, di capricci e di gambette veloci...

Le dico, commossa, che ha vissuta una vita importante, suggerendo quello che sa: che lei ha avuto tanti, tantissimi figli.  Sorride e dice di sì, che è felice. La sua vita, ora sta qui.

La voce rimane serena anche quando descrive gli orrori, la fatica e le incertezze: ha dovuto guadagnare molti soldi per consentire ai ragazzi di approdare in Italia: storie di barconi, di capò, di un sistema malato.  Mi ha descritto i campi di accoglienza nella loro vera natura: prigioni violente che snaturano l’uomo, a cui tolgono quel poco che c’è e la dignità di esistenza. Dove si ruba su quanto già è stato rubato.

L’ha superato, tutto questo, Teresa, e i suoi ragazzi sono divenuti uomini e padri. Dopo aver faticosamente comprato – sue le parole – la libertà dei suoi cari, questi si sono dati da fare, e lavorando onestamente hanno ricostruito la dignità sequestrata.

Questa famiglia, con i suoi modi, con la sua storia, ha toccato qualcosa dentro di me. E ora sono qui, a scrivere di loro su questa tastiera, perché le parole cupe mi girano ancora e ancora nel cuore: “nessuno lo sa perché nessuno lo dice”.






 

mercoledì 19 maggio 2021

Saluto

 

Oggi pianterò un altro albero. Come un paio di mesi fa. Solo che non lo pianterò in nome del compagno di vita, quello che in pochi minuti, in modo inatteso e indesiderabile, mi ha lasciata per sempre, fuggendo via da quel corpo fragile, che gli era diventato nemico.

Lo pianterò per Vittorio, un uomo buono, che ho conosciuto anni fa, e che ha vissuto alla porta accanto alla mia per una decina di anni. 

Vittorio viveva solo, con pochi amici, nessuna famiglia, un anonimo tutore assegnato dalle istituzioni e i suoi vicini. Con me era gentile, sorrideva sempre e mi chiamava quando aveva necessità. Se n’è andato così, non sappiamo come, nel silenzio della sua stanza. Lo hanno trovato i pompieri, su insistenza di un amico che non aveva sue notizie da alcuni giorni. Mi hanno telefonato gli altri vicini per dirmelo, e qualcosa è esploso dentro di me. Ancora.. Posso solo scrivere, tra le lacrime, questo breve commiato. Che gli sia di carezza, che sia ancora un sorriso per lui, di quelli che lui cercava e che mi uscivano sinceri davanti ai suoi grandi occhi confusi. Prendeva dei farmaci, Vittorio, per stare tranquillo, mi diceva, perché in passato aveva fatto cose brutte. Quali non si sa, non lo ha mai detto.  

Se ne è andato da solo, nel silenzio, nell’ignoranza di chi sapeva di lui. Pochi giorni prima era allegro, mi dicono, aveva comprato abiti nuovi, belle scarpe, aveva rifatto il look. Aveva anche superato indenne la prima dose di vaccino.

Tempo di covid e di distacco, di paura, di perdite. Un tempo triste, il nostro. Un tempo triste il mio: accolgo la solitudine degli altri benedicendola con la mia compassione.

In un mondo che ci vuole sempre più lontani e distaccati, in cui i ragazzi imparano a condividere il meno possibile e gli uomini muoiono soli, per mano propria, o per invisibili cause.

L’ennesimo strappo al mio cuore.





lunedì 17 maggio 2021

Alzano Lombardo: la prima Accademia per Ambasciatori per la Giustizia Climatica del 2021

 


 Alzano Lombardo, provincia di Bergamo. Area divenuta ben nota alle cronache italiane nell’ultimo anno a causa della devastanti conseguenze della diffusione pandemica. 

Qui l’inizio della sciagura, ma anche della ripresa grazie alla forza, all’entusiasmo, alla cultura e all’amore per la vita e per la Terra.

Una telefonata, qualche ricerca…Rimango sorpresa dalle attività e dal ricco fermento che popola l’Istituto Comprensivo Rita Levi Montalcini che si compone di una scuola dell’infanzia, 3 scuole primarie, e 2 secondarie di primo grado.

Mi interfaccio con la prof.ssa Marcella Assolari – docente si scuola Secondaria di I grado, Coordinatore Progetto Sostenibilità GREEN SCHOOL nel suo istituto, organizzatrice insieme ad altre cinque colleghe della Accademia Ambasciatori Giustizia Climatica – una donna entusiasta e molto dinamica, che mi accoglie con un sorriso sincero e un fiume di parole. Mi risponde dall’auto, mentre si sposta da un impegno ad un altro, e con toni gentili si intrattiene ad espormi che cosa sta accadendo nel suo territorio.

Il SUO territorio perché lei, con la sua scuola e con i suoi ragazzi, con i colleghi e le amministrazioni limitrofe, lei e la popolazione che capisce, che sa e che vuole si sappia, recuperano uno spazio comune in collaborazione con chi lo vive, quello spazio, loro che desiderano renderlo migliore. 

Un coro di amore emerge da azioni diverse, fatte di solidarietà, di educazione, di esperimenti; fatte di manifestazioni e piccole marce, di raccolte e di installazioni.

Parole e immagini scorrono tra Alzano e la mia stanza, dalla quale mi collego per un paio di ore entusiasmanti, dalle quali sono uscita frastornata: ma allora si può?

Dal luogo in cui vivo sembra tutto utopistico, qui dove si raggruppano i centri del potere politico e sembra tutto ingessato. “E’ per via dello stato pandemico” - la risposta ad ogni domanda, il refrain che domina la scena da mesi. 

Tutto fermo, tutto bloccato. Ogni azione, ogni progetto, tutto rimandato. Futuribile. Chissà.

Ma Oblomov, nel Bergamasco, è morto. I ragazzi non subiscono la DAD, la fruiscono. E i docenti insegnano loro a trarne vantaggio: il prezzo di un impegno personale, oltre che professionale, per il premio della evoluzione. Si perché la cultura non va contrapposta alla natura: deve camminare con essa, contribuendo a farla conoscere ed amare, rispettare.

La cultura deve servire ad evolvere, non a distaccarsi.

Parliamo così di un istituto di Formazione con la F maiuscola, dove ragazzi, afferenti a fasce diverse di età, imparano a dire a chiare lettere: “vogliamo il cambiamento. Per favore, che sia intelligente. E rapido.”

E lo fanno con vari strumenti, semplici, immediati e incisivi.       

In attesa della certificazione della Green School, alla quale hanno aderito, i ragazzi di questa scuola lavorano sui temi della sostenibilità, impegnandosi alla mitigazione dell’effetto antropico sull’ambiente. 

La scuola, finalmente, insegna che l’ambiente siamo noi.

Mentre sorrido la musica continua a deliziarmi. Marcella racconta, sciando con maestria tra le tante iniziative: dalle raccolte solidali del cibo avvenuta per City Angels, per convertire i probabili sprechi post-natalizi in occasione di festa per i meno fortunati; alla composizione e distribuzione dei pacchi dono; alla condivisione e sponsorizzazione del progetto merenda plasticfree - che esclude l’utilizzo della plastica nelle confezioni di cibo, favorendo l’abitudine alla scelta di prodotti sani e genuini, portati da casa; alle riflessioni etiche sull’utilizzo di  indumenti della moda usa e getta – il cosiddetto “fast fashion” – le cui ripercussioni in termini di erosione di risorse e sfruttamento dei lavoratori rinforzano la esecranda cultura della illegalità e del disprezzo verso l’uomo; fino ad azioni eclatanti come la marcia del clima e l’installazione di un grosso nido che accoglie l’immagine del nostro mondo, con l’esplicito invito a ricordare che “non esiste un Piano b perché non esiste un Pianeta b”.

E ancora gli alberi, ognuno con la sua targhetta che espone il dictat “maneggiare con cura” perché la loro voce, che in pochi sembrano ormai saper ascoltare, sia declinata nella lingua di chi deve imparare ad amarli. 

Perché tutti comprendano, o perché prestino maggiore attenzione, o semplicemente perché sorridano avvertendo una carezza sul cuore, come la sottoscritta in questo momento.

Cartelloni e striscioni, accompagnati dalla forza dei giovanissimi, sostenuti dalle amministrazioni locali, e dalla cooperazione di altri istituti: adulti e piccini… finalmente l’Antropos.

Le informazioni corrono, i discorsi di Greta Thunberg, la sua rabbia contrapposta al sorriso di Felix Finkbeiner…Stefania Ravasio, altra collega entusiasta e appassionata, lo incontra a Roma durante un convegno… e anche Plant For The Planet accende interesse…E allora perché no… ci si dà da fare per diplomare giovani ambasciatori climatici. Erano pronti per partire, altre otto scuole avevano accolto il loro invito, ma la pandemia blocca tutto.

Arriva il Covid-19, le scuole chiudono e molte attività si interrompono: non si può operare all’aperto, bisogna rispettare il distanziamento sociale. Ma abbiamo internet, e in rete tutto il materiale di cui disporre per informarsi e formarsi. Per chi ne ha voglia, certo. Il fermento continua, in attesa che il semaforo indichi il verde… che finalmente arriva.

Il 5 e il 6 giugno 2021 partirà la prima Accademia italiana di PFTP, organizzata dall’Istituto comprensivo di Alzano con una rete di scuole patrocinate anche dalle amministrazioni locali. Il lavoro integrerà i protocolli tedeschi della casa madre con gli strumenti telematici disponibili per dare vita a un evento che sia memorabile, che faccia da esempio e apra la strada ad eventi futuri che si desiderano sempre più estesi e più ricchi.

Il Presidente di PFTP, dott. Mario Trevisan ed il Vicepresidente dott.ssa Daniela Saltarin saranno lì ad avviare i lavori, presso la Scuola secondaria di Alzano.

 Tanta l’emozione, e le persone coinvolte. 

L’amministrazione ha sostenuto fin dall'inizio il progetto, mettendo a disposizione anche un'area che verrà inaugurata con la piantumazione di alcuni alberi.  Gli sponsor hanno fornito fondi e strumenti utili, molti altri volontari si sono concretizzati in aiuto vero, che ha reso possibile l’attuazione di un evento sospeso da più di un anno.

 I lavori consentiranno anche il proseguo della raccolta fondi a sostegno del progetto Trillion Tree Campaign nell’Africa Sub-Sahariana, che ha già maturato il risultato di 3384 alberi piantati dal giugno 2020 ad ottobre 2021, con l’obiettivo di raggiungere il numero di 5000 entro il prossimo giugno.

L'accademia si concluderà con una serata finale “Cedi la strada agli alberi” nel parco Montecchio, dove una fantastica villa-biblioteca ospita l’RSA di Alzano e la sede di associazioni territoriali. 

Alcuni volontari delle associazioni territoriali saranno di supporto per garantire il rispetto delle pratiche-igienico sanitarie richieste in queste occasioni. Si propone uno spettacolo musicale in prima esecuzione assoluta, con musiche composte dal vicepreside Ugo Gelmi e interpretate dal gruppo “Ecoband” in accompagnamento alla lettura di testi sul tema della sostenibilità.

 Al termine della performance verranno presentati alla cittadinanza gli ambasciatori della giustizia climatica.

Ad Alzano si respira aria di impegno, quello vero che unisce le anime di chi crede che la sostenibilità non è solo uno slogan di moda, ma un sistema di valori da comprendere e trasmettere a tutti: agli insegnanti, ai ragazzi e alle famiglie.

Ci vuole tempo, ma soprattutto ci vuole costanza e impegno, e come l’appetito, anche l’entusiasmo cresce in corsa…basta saperlo alimentare con i sistemi giusti.

E qui, sembra proprio che siano stati trovati.