Il Mio Blog non vuole essere un monologo, ma un invito all'incontro: pertanto sono graditi i commenti e il succedersi degli scambi che ne conseguono.
Buona lettura!

martedì 29 dicembre 2020

Verso una comunità etica


Per chi ne sentisse parlare oggi per la prima volta, Stefano Mancuso, "scienziato di enorme prestigio, docente di Arboricoltura generale e coltivazioni arboree all’Università di Firenze, e direttore del Laboratorio internazionale di neurobiologia vegetale, membro fondatore dell’International Society for Plant Signaling & Behavior (etc. etc.)", é un affascinante divulgatore, che racconta continuamente  di quel meraviglioso modo in cui vivono le piante.

Mi sono imbattuta nei suoi scritti grazie agli entusiastici riferimenti espressi da un'artista esordiente, Eleonora Riccio, conosciuta in occasione della presentazione di alcune sue creazioni: tessuti dipinti con pigmenti naturali ottenuti per estrazione da foglie e fiori, con procedure artigianali dai risultati davvero ammalianti.

Tra i vari contributi, La Nazione delle Piante , il libro che ad oggi mi ha  particolare colpita per via del valore etico espresso, che trovo impossibile non voler condividere.
Pagina dopo pagina l'autore descrive il mondo delle piante come una nazione funzionale e democratica, garante di diritti fondamentali per ogni vivente e custode della sopravvivenza degli stessi.
 E dall'osservazione attenta delle sue espressioni vitali, Mancuso coglie l'occasione di estrapolare  alcuni principi, che definisce pilastri, su cui costruire una Costituzione politica, via via argomentata nel saggio in questione.
 La riflessione etica tradizionale, egoisticamente incentrata sulla coesistenza interna alla specie umana, subisce un'espansione verso tutti i viventi del pianeta, in una  prospettiva finalmente comunitaria.

La Terra viene quindi a configurarsi come una grande casa comune, da custodire e rispettare, che garantisce il sostentamento, lo sviluppo e l'incontro della vita nelle sue molteplici rappresentazioni.

Mancuso  ci racconta l'errore dovuto  alla  incomprensione di fondo, nella cultura umana, delle "regole della vita": ogni organismo è interconnesso agli altri in una fitta rete di scambi e relazioni, come un grande unico corpo vivente che agisce secondo principi di cooperazione e simbiosi: siamo una grande comunità cooperativa, basata sul mutuo soccorso e sul reciproco stimolo, una comunità ben lontana dal famoso Homo Homini lupus di vecchia memoria. 

Darwin - un po' frainteso, lo sappiamo - sosteneva che sopravvive il più adatto (non il più forte, come è stato poi detto da alcuni), ossia quel vivente in grado di  sfruttare l'ambiente in cui sta nel modo necessario a prolungare la propria esistenza.
E le piante, questo, stanno dimostrando di saperlo fare da molto più tempo di noi: dovremmo apprendere le loro regole per condividerle e scoprire che il nostro  mondo non è poi così separato dal loro, e che la nostra comunità non dovrebbe poi esser considerata tanto altra rispetto alla loro. 

E magari, così facendo, arriveremo anche a capire che l'ambiente, alla fin fine, siamo noi.

Il mondo animale si serve di un sistema predatorio nei confronti dell'energia ad esso necessaria: non disponendo della capacità di produrne direttamente (le piante si servono della fotosintesi per utilizzare l'energia solare), gli animali consumano quella già esistente, lasciando gli scarti in un ambiente già saturato, che non è più in grado di riprodurre le risorse sottratte.

Al sistema competitivo animale si contrappone il sistema cooperativo proprio del mondo vegetale. O meglio, gli si affianca integrandolo.

Le piante, incapaci di attuare spostamenti al pari degli animali, - sono infatti radicate al suolo - hanno acuito la capacità percettiva nei confronti di quanto le circonda, e hanno imparato a conoscere attentamente le risorse disponibili, finendo con l'utilizzarle in maniera davvero funzionale.
 E la reciproca connessione esistente tra gli abitanti di questa Nazione Verde  - la più popolosa della Terra - ha reso possibile e reale, in essa, un approccio di mutuo scambio di fondamentale importanza per rafforzarne l'esistenza e tutelarla.

A partire dagli anni 70, soprattutto grazie all'eco suscitato dal famoso Rapporto Meadows é sempre più chiara l'insostenibilità di un sistema di crescita illimitata (dei consumi) - quello che stiamo conseguendo - perseguito in un ambiente dalle risorse limitate quale è il nostro, ed é ormai evidente il fatto che insistere in tale direzione mina seriamente, ogni giorno di più, la possibilità stessa della nostra sopravvivenza. 
Siamo già responsabili di una accelerazione del processo di estinzione di molte specie viventi (pari a 10.000 volte rispetto alle normali tempistiche  occorse finora, dicono gli esperti), fintanto che non toccherà anche a noi stessi: una corsa folle verso l'autodistruzione.

Il Club di Roma, un'organizzazione non governativa composta da economisti e scienziati internazionali, in collaborazione con il MIT, realizzò uno studio predittivo sulle condizioni in cui l'uomo sarebbe arrivato a trovarsi continuando a vivere con quello stile di vita consumistico  irresponsabile adottato dalle ultime generazioni.
 
Oggi, a distanza di 50 anni, i fatti confermano le pesanti valutazioni che furono alacremente rifiutate dagli ottimisti promotori dello sviluppo insostenibile.
Il modello del consumo irresponsabile danneggia noi stessi, incapaci di vedere oltre l'illusorio riflesso che lascia apparire l'ambiente come qualcosa di altro rispetto a noi. 

Dobbiamo arrivare a comprendere che abbiamo a che fare con la nostra grande casa comune, che noi tutti dovremmo amare e conservare con cura.

 Dovremmo imparare guardandoci intorno, magari viaggiando attraverso l'affascinante Nazione delle piante.







martedì 22 dicembre 2020

Lavoro sostenibile?


Pensiamo sempre alla natura in termini idilliaci e fiabeschi, un po’ complice il mito del buon selvaggio del famoso Rousseau.
 La nominiamo, questa natura, e immaginiamo campi verdi e alberi rigogliosi che espongono frutti succosi e luccicanti. Ma una vecchia storia, nota a buona parte dell'umanità, ci dice che esiste anche un serpente, da qualche parte, pronto a render tutto questo mondo un po’ pericoloso...

Leggevo di recente un articolo sull'Indonesia: si tratta di un paese ricco di vegetazione e povero socialmente, un paese dalla straordinaria umanità e dal senso di solidarietà che non ho riscontrato in altri paesi cosiddetti poveri.  

Ci sono stata, in Indonesia, ci sono stata due volte per uno strano incastro di eventi. 
 E ne sono rimasta affascinata. Al di là della sporcizia e del laconico modo di esistenza, ho incontrato il sorriso della popolazione.

 Ero a Bali, per carità, un angoletto tra i più "socievoli" dell'arcipelago - questo è doveroso sottolinearlo. E tra le risaie a gradoni, le oche sparse nei campi - che sfruttano la sacralità attribuita loro per ingozzarsi liberamente di sementi - e i templi aperti... Persone. 
Persone magre, dai corpi sfruttati e dalla pelle stanca e vergata dal sole, piegati nei campi a lavorare la terra con strumenti rudimentali, seduti al mercato del pesce, tra pozze di acqua e sangue sparse in terra; vestiti di bianco accanto ai bramini, con i cestini delle offerte piene di fiori, di semi e di incenso; persone che danzano su ritmi tradizionali, per sé e per i turisti in arrivo.
 Persone che lavorano sempre, a tutte le età, e che sorridono. Che si aiutano naturalmente, e che ti rispettano.
Questo mi ricordo soprattutto di Bali: lo sforzo, la fatica e la solidarietà.

Poi è arrivato quell'articolo, che racconta di come uomini, donne e bambini si ritrovano a vivere in condizioni ancora più estreme, in un circuito in cui la violenza dell'uomo viene accettata per contrastare la durezza che sa imporre la vita. E non sono più uomini ma numeri, sacrificabili, pedine nella rete degli affari internazionali connessi al traffico dell'olio di palma. 

Per ore e per mesi, senza alcuna tutela, si ritrovano a spargere sostanze chimiche devastanti per sé e per l'ambiente, sopportano sforzi eccessivi, si nutrono a stento, riparati in baracche malsane. Chi lo fa da una vita, chi da generazioni intere. E da un campo ad un altro, senza un futuro, senza un presente. Violenze sul corpo e nell'anima perché in altre parti di questo stesso pianeta, altri più fortunati possano contribuire all'acquisto di merci dalla dubbia utilità.
Utilità dubbiamente sociale, dubbiamente ambientale, dubbiamente antropologica. 

L'articolo è pubblicato a questo link (http://www.labottegadelbarbieri.org/indonesia-stupri-e-abusi-nelle-coltivazioni-di-olio-di-palma/), per chi avesse la voglia e la forza di guardare per un momento il serpente, e distogliere l'attenzione dalla ipnotica mela. 
 
Nel 2015, con la sottoscrizione dell’Agenda 2030 per lo Sviluppo Sostenibile , 193 paesi membri dell’Onu hanno proclamato il proprio impegno a favorire il superamento del gap esistente tra opportunità, ricchezze e potere, e lo hanno fatto individuando 17 fondamentali obbiettivi da conseguire, a livello nazionale e internazionale, entro il 2030.

Il leit-motive che fa da sfondo all’intero documento è sintetizzato in una espressione iniziale, che rivendica l’impegno congiunto nello sforzo di “liberare la razza umana dalla tirannia della povertà e con la volontà e l’impegno a curare e salvaguardare il nostro pianeta”.

All’orizzonte l’immagine di un mondo inclusivo, i cui abitanti favoriscano la crescita di un’economia sostenibile, rispettosa della biodiversità, e che facciano uso del principio di responsabilità, canalizzandolo all’implementazione degli strumenti culturali ed economici necessari all’attuazione di un’equa interconnessione umana.

 Un impegno che richiama la dovuta attenzione di ognuno di noi.



 


martedì 15 dicembre 2020

RIFLESSI

 Una foglia leggera scivola attraverso l'aria sull'acqua, vi si adagia gentile, ed una invisibile mano la spinge veloce con sé.

 È un sogno, un pensiero o solo un ricordo lontano: la vita che si dà in un continuum multiforme e variopinto, con la dolcezza di un pensiero poetico.
L'acqua pulita del fiume scorre veloce tra i sassi sommersi; alcuni ne sporgono fuori, coperti di muschio brillante, in cui gocce di brina risplendono al sole come minuscole pietre preziose.

Affondo gli stivali nella sabbia compatta del greto, e slitto goffamente tra i rami caduti e le radici sporgenti. L'odore di menta arriva dovunque, in questo giardino così familiare, e ne godo con tutti i miei sensi mentre procedo convinta, seppure a fatica. 

Espongo il viso allo splendore del sole, che quest'oggi si espande sereno sui campi e sulle fronde nutrite.

Salici, ovunque, adombrano il passo di chi, come me, oggi ha scelto la terra. Un giorno di pausa dal tran tran quotidiano, un amico che ha la casa in un parco, proprio sul fiume, e il cane giocoso della famiglia che dimora poco lontano. Un cane vispo e affettuoso, salvato da pessima sorte anni fa, che ha come casa ogni spazio del parco che a lui non dispiaccia. Mi porta con sé, spingendoci tra spini e burroni. Ha il passo veloce, e sembra planare nell'aria inseguendo le tracce.
 Corre e salta, poi si avvede del mio disagio e si ferma. Aspetta che io lo raggiunga, vuole che io esplori con lui. E siccome non chiedo di meglio, finisce che accetto la sfida: mi armo di forza e pazienza, e procedo caparbia, inalando profumi diversi ogni metro più in giù. 

Seguo il fiume, un po' mosso dalle fredde correnti, un po' liscio nel suo lungo percorso, e arrivo ad un punto in cui tutto si apre: uno slargo tranquillo e silente, dove rami intrecciati dal tempo s'incontrano a chiudere il corso.  La morta, mi hanno insegnato il suo nome, che poco ha a che fare con lo stato reale: di sopra e di sotto la vita vi esplode. 
È questo ciò che vedono gli alberi? 
 Essi son lì, tra il buio e la luce, immersi nella vita che scorre, con i loro folti cappelli e la veste legnosa.

Suggestioni di un mondo vissuto che vibra, ancora, in me. 






sabato 12 dicembre 2020

Gocce di vita

 In questi giorni di pioggia mi ritrovo stupita a guardare la magia che cade, compatta, dal cielo, dove uno scuro manto minaccia tuonando, copertura funesta su questa terra che è bella, e che abbiamo tanto imbruttito…

Acqua, miriadi di gocce sottili e fredde scendono giù come un fitto sipario di luce, che ondeggia nel vento, muovendo di qua e di là, con un certo dispetto, la visione della spettacolo grave.

Dal sole alla pioggia, scrosci d’acqua a cui il nostro sguardo, in tempi recenti, si sta abituando.. Dal nulla al tutto, verso allagamenti e crolli imminenti. Domani ne parleranno i giornali: il desco perfetto dei menestrelli di stato, omuncoli insani che strimpellano a suon di fanfara allagando coi loro fiumi di inchiostro schermate e carteggi. Esondazione su esondazioni avvenute.

Di questo, ormai, l’interesse comune si nutre: notizie eclatanti profferte in tempo reale, e niente di più. La lunga lista di persone disperse, case distrutte, inondazioni, e alcuni particolari toccanti.  Notiziari che si susseguono a ritmi incessanti tra i canali di una scatola magica che da anni ho cacciato fuori di casa. 
Immagini forti su toni nervosamente incessanti. 

E la frase turbata dell'amica al mio fianco, dinanzi alla grande vetrata che ci separa dall'acqua: 
“prima non era così: prima pioveva; ora piove e crollano ponti, sprofondano case e muore tantissima gente. Che cosa sta succedendo?"
La osservo e le dico due sole parole: crisi climatica.

Lei ne ha sentito parlare, ma non ha mai approfondito. Si è limitata a pensare che i luoghi che prima erano al caldo ora diventano freddi, che dove era il sole adesso ci sono le piogge, e che i ghiacci si sciolgono ai poli....

Lei non ha riflettuto abbastanza, non ha pensato che ne conseguono cambiamenti di stili di vita, spostamenti sul suolo, migrazioni e problemi nella sopravvivenza e nella vita sociale. E le questioni economiche, e le vicende politiche, e l'estinzione di forme di vita. 
Incremento di povertà e svanir di risorse:  la necessità urgente di sforzi congiunti in direzione di soluzioni dall'impatto diffuso.

Osservo, rapita, questa natura che scende violenta, e che urla a noi tutti un richiamo severo ad un risveglio scioccante.
 Avverto l'urgenza di dire una sola prima importante parola: contezza.
 Dobbiamo informarci e dobbiamo informare,  rallentare la corsa all'acquisizione passiva di dati, e soffermarci finalmente a capire.

Dobbiamo ripartire dal basso: dalla terra e dal seme, per consentire a noi stessi e ai nostri fratelli di essere qui, abitanti del mondo in ogni respiro, perché ci sia sempre concesso di immergere gli occhi nel cielo, e librarli nella distesa del mare. 





domenica 15 novembre 2020

IN UN CUCCHIAINO DA TE'

 Viviamo mutamenti  continui, così delicati nel tempo da avvedercene appena. Arriva poi il momento in cui i fili si ammassano tanto da creare il brutto groviglio che impedisce l'azione.

 Come in un fiume, che corre pacioso nel fluire del giorno, e porta con sé residui un po' misti, fatti di rami e di fango. Ci camminiamo all'interno, con passi pesanti e a volte leggeri, tra i gorghi e le sottili correnti; un poco nuotando, a tratti costretti ad uscire sull'argine e a proseguire sull'erba, tra i rovi e le ortiche.

E quando riusciamo a rientrare  può accadere che l'acqua sia ferma, bloccata da tronchi e da rami, accumulati nel tempo, un poco per volta, sospinti e obbligati da quelle misteriose correnti. 
Allora chi è in grado si aggrappa a questi strati di mura contorte, e passa di là. Se riesci prosegui, ma non sempre è così, e devi impegnarti a trovare una strada diversa. 
Strozzature inattese che impediscono il passo: così nel fiume della nostra esistenza, con le sue flessioni e le curve, tra  piccole oasi e torrentelli agitati.  
La corrente che scorre da sé, recando residui del giorno sotto il sole silente, ed il vento, e le foglie di autunno. Il balsamico aroma  della menta selvatica, e l'odore stagnante del fango e del marciume in fermento.
 Situazioni che ci impongono di trovare una via, chiedono azione diversa, provocano il corpo che va, nel suo sforzo costante di procedere oltre. 

A volte, purtroppo, questa forza vien meno, e il corpo si stanca. I viaggi conseguiti nel tempo stancano il cuore e l'aria diventa pesante: servono pause continue e più lunghe.   
E lì percepiamo la potenza del mondo che ci piace guardare, e solcare col passo - e che pure non ci appartiene. Possiamo, per concessione gentile o indifferenza totale, abusarne o dimostrare rispetto fintanto che ne abbiamo le forze, oppure fermarci e guardare la vita che va.

 Fragilità riscoperta: solo quando arriva a limitare la nostra persona, che è stanca e fatica ad unirsi con gli altri. L'esperienza acquisita è stata da sempre il faro gentile a chi solcava i marosi; a uomini esperti era affidata la prole, interrogati sui sogni e rispettati nei loro talenti. 
Esploratori di vita che trasmettono i segreti svelati...
 Nessuno e' mai stato solo all'interno di un clan: insieme i talenti, congiunti verso il fine comune; generazioni che sviluppano storia nel passaggio graduale, persone che lasciano ad altri il segno del loro cammino.
 Ma oggi viviamo in una corsa perpetua verso fatui obbiettivi che cadono giù con la sera.
Correre fino a sfibrarsi, dietro al programma di turno che va rispettato, e ripetuto di nuovo.
 
Chi  corre, ora, con il naso all'in su, a godere dei pollini erbacei che saturano l'aria con la loro magia? Chi osserva l'acqua vibrare sotto la spinta silente di un pesce sottile? Gli alberi donano frutti e si spogliano delle foglie vivaci per recuperare le forze; e piccoli e grandi animali si spostano liberi nello stesso terreno che a volte ci è ostile. 

Bisogna guardare lassù, perdersi nell'azzurro del cielo, dove nuvole lievi si rincorrono giocando col vento, oscurando a volte la luce del sole. 

Siamo convinti di non avere più  tempo per nulla, ma quando arriviamo allo stagno, quando la strozzata di rami ci ferma, allora qualcosa si apre perché siamo costretti a sollevare quel capo e a cercare soluzioni diverse. 
Adesso capiamo che altri, al pari di noi, poggiano il braccio sul fianco guardandosi attorno confusi.

Ricevere e dare: la vita è fatta di questo, nelle sue forme graziose ed ostili. Ricevere e dare, e creare qualcosa di nuovo: magari un seme o un frutto, o anche una sola speranza...

  Avanti nel fiume, tra le correnti ed il limo, tra i pesci e le rane, facendo attenzione a non cadere sui sassi che rallentano il passo, o di farsi portare dal liscio tessuto del muschio.

Tutto questo io vedo in un piccolo quadro, rimandato a me dal riflesso di un oggetto ordinario: la vita infinita, e la sua potenza, nell'incavo di un cucchiaino da tè.








domenica 25 ottobre 2020

GODOT



 Osservo una foto scattata da me mesi fa: fiori dai colori accesi, come un festone, ricoprire il balcone di una casa. Il cielo azzurro nello sfondo: era marzo e la stagione sembrava deridere questi esseri umani confusi, intontiti e impauriti dalla sorverchiante politica  governativa finalizzata a contrastare il brutto fenomeno oscuro: la Pandemia.  

Fiumi di inchiostro versati sul tema... Chi si angosciava, chi ne rideva, chi iniziava a comprenderne la vera portata...   
Ci siamo svegliati nel nuovo mondo un pò a rilento, ognuno a suo modo, con tempi diversi e in piena incredulità.

  Quando le forze armate hanno occupato le strade vuote, ed anche i cieli azzurri, e i cori dai balconi hanno stracciato il silenzio urbano con l'intoccabile invadenza delle buone intenzioni,  abbiamo iniziato a renderci conto di come tutto stava cambiando. 
Sono trascorsi mesi e stagioni, e il problema ha raggiunto dimensioni inquietanti. Le nostre coscienza fluttuano tra ipotesi e pensieri legati ad un ignoto futuro.

I bambini vengono istruiti nelle scuole, un po' aperte e un po' chiuse, ad evitare i compagni, a non scambiare con gli altri le cose, a non abbracciare chi vuole star loro vicino. I ragazzi vengono addestrati al sospetto e alla delazione, e gli adulti si fanno censori e supervisori morali.

 I nostri volti, parzialmente coperti da bavagli di forme varie più o meno inquietanti, esibiti con una certa mestizia, senza aver davvero proprio capito a quale specifico scopo indossarli.  
Non si vede un sorriso, e se non fosse per gli occhi vivaci di alcuni, sembriamo robot inespressivi:  ci spostiamo da un luogo ad un altro senza più soffermarci con gli altri; pochi scambi e rapidi gesti distanti. 

 Non riconosco più questo mondo. 

Il bimbo di un mio conoscente, un bimbo di pochi anni, ha riportato a casa da scuola una nota per non aver rispettato il distanziamento sociale: atto di necessità incontestabile e paradossale al contempo.
I brividi percorrono il mio cuore nell'avvertire quella strana atmosfera di cui ho letto nei libri di scuola, e mi deprimo a sentire le mie gravi parole, espresse a gran voce e con rabbia ostinata, secondo cui gli orrori del nostro passato non pretendono la necessità di memoria, ma l'attenzione di chi non deve ripetere. 

Non si é trattato di eventi eccezionali - a differenza di quanto, per ipocrisia e per immensa vergogna, insistiamo a ridirci: essi rimangono in noi perché appartengono alla nostra realtà più profonda. 
 Abbiamo attuato e nutrito eventi nefandi perché ci è dato farli accadere, e ci è dato purtroppo il potere che questo accada di nuovo. 
In brutale onestà: quelli di allora siamo quelli di adesso: la storia insegna solo a chi vuole o riesce ad apprendere. 
 Per il resto, essa scorre, con il nostro tempo, come il vento sul mare: veloce, più o meno intensa, e svanisce...
Da alcune ore un'altra triste parola, evocatrice di orrori passati, rimbalza da una schermata a un discorso: il coprifuoco... 

Un sorriso increscioso e poi lo spavento. 

 Ma cosa stiamo facendo?  Dove spinge il regista di questa strana commedia in cui tutti si aspetta Godot, che ha la veste del farmaco sacro e  della soluzione geniale?
E ci dimentichiamo del resto, mentre ci sforziamo di evitare coloro con cui cooperare. 
La confusione che il timore produce manda in pezzi ogni possibile azione, e la soluzione tarda sempre più ad arrivare. 

Le speranze offuscate da un crescente senso di arresa, in un gravoso cammino alla cieca.
Qui intorno non vedo più nemmeno i bambini giocare all'aperto, le biciclettine dai colori accesi; non sento le loro acute vocine nell'aria, a costellare il cinguettio diffuso tra i rami.  

La  austerità che ci viene richiesta denuncia il vestito del re, quello nudo, e le festività commerciali assurgono a demone ostile. Niente riunioni, nessuna allegria... La solitudine sobria della monotonia quotidiana: il lavoro e lo stare in casa. 

Ma il sole brilla ancora lassù, e illumina il giardino che percorro lentamente guardandomi attorno.  Questa aria frizzante, l'urlo graffiante dei corvi e il raglio di quel povero mulo .... Io continuo a sentirli, e ancora io sento i miei piedi poggiare su questa umida terra. 

La luce non è stata ancora oscurata.















mercoledì 1 luglio 2020

Compagnie

E insomma, mi dico, in questo bel giardino su cui si affaccia la casa in cui vivo, c'è posto davvero per tutti!

Me ne stavo pigramente allungata sulla sdraio, le gambe rialzate su una sedia, e una giacca di lana grossa a ripararmi dal venticello fresco della sera. 
Me ne stavo lì, un po' sonnacchiosa, quando un movimento percepito al limitare del mio campo visivo mi ha destato l'attenzione. Nella bruma serale la luce tenue del faretto mi restituiva la sagoma snella di un piccolo vivente che, lesto e snello, letteralmente volava dal muretto giù sul prato, e dopo pochi passi incerti, via di nuovo su, nel versante opposto, fino al buio indistinto della siepe.

Pelliccia scura e coda nutrita, quattro zampe sotto un corpo lungo... Mi sono un po' rammaricata di non aver avuto l'occhio pronto: chissà chi era l'ospite in tangente...
Ma poi, dopo un po' di minuti, eccolo che torna, misterioso ed elegante, comparire in silenzio da chissà dove: un gatto dal pelo nero e morbido, un muso appuntito e l'andatura felpata. Mi viene incontro, si trattiene incerto a breve distanza, e poi si sdraia a pancia in su, invitandomi con un'allungata di zampa ad avvicinarlo. 

E' giovane, si vede dalle zampe grosse e cicciotte. Complice la serata tranquilla, coi suoi suoni familiari di uccelli e di fronde, cedo al mio codice etico e mi lascio andare: immergo le dita in quel pelo liscio e sottile, che ricorda un batuffolo di lana spettinata e soffice, e le lascio scorrere sul corpicino magro, fino alla coda, e poi sotto le orecchie, per una grattatina apprezzata. 
Un suono viscerale che ricorda il motore di un trattore lontano invade l'aria, con toni progressivamente elevati. 

Ho commesso un errore, mi dico: adesso accadrà proprio ció detesto nei gatti, e infatti accade.
La piccola massa pelosa si alza di scatto sulle zampe, arcuando la schiena come un ponte. E inizia a strusciarmisi ossessivamente sugli stinchi, avanti e indietro, con quel fare appiccicoso che mi urta. Mi allontano cercando di interrompere l'ipnotico rituale, e lo lascio lí, osservando a distanza quella macchia scura in una notte divenuta quasi nera.

 Sembra tonto, un po' spaesato, si muove a caso perlustrando, e poi si ferma davanti all'entrata di casa, guardando dentro con ostinazione rigorosa. 
Lo so cosa mi sta comunicando: é curioso e astuto, e aspetta solo che io dica si. 
Ma io dico no: la sua comodità significherebbe la fine della mia libertà. 
Mio malgrado, quindi, emetto un suono brusco che lo distrae dall'intento, e l'esplorazione ricomincia silenziosa. 
Dopo un poco però si stanca, si stende in terra e resta lí, nel buio. In attesa, magari, di una carezza accessoria. 
Oggi é stata una giornata calda, piena di sole e senza un filo di vento. Ma finalmente l'aria è rinfrescata, e qui fuori si sta davvero bene: lo so io e lo sa il mio ospite inatteso.

Mi sfugge un sorriso compiaciuto: ogni giorno un nuovo amico, un passaggio di vita che accade dinanzi ai miei occhi. In questi giorni ho incontrato una volpe, che si è fermata due volte a fissarmi con quegli occhi segnati di scuro, con un tratto forzato che ricorda il bistro degli attori di teatro. 

Ho visto scivolare con silenziosa eleganza un grosso serpente dalla pelle verde brillante tra i rovi e gli arbusti sotto il sole, e indaffarati topini di campagna, lucertole e tamarri, grilli di ogni misura e colore, e poi le lucciole, in queste serate calde, apparire e sparire nel prato, come a definire la magia del luogo.

Quanta vita si esibisce intorno, nonostante me e insieme con me, includendo questo spettatore curioso e affascinato.
 Mi ripeto ridendo che è cosí: c'è posto per tutti in questo bel giardino, dove ammiro e rispetto  lo sforzo che ogni vivente fa nel corso della sua esistenza. 

Non siamo soli, anche se a fatica siamo in grado di saperlo.







  

venerdì 19 giugno 2020

Prassi Naturale

Un' arvicola risale al crepuscolo il vecchio tronco del fico, silenziosa e veloce, la codina un pó storta, diretta un po' in su, come un ramo sbilenco. 
E dal tronco in un salto al muretto, e poi, rapidissima, risale il ciliegio e corre, corre fino alla punta del ramo più esile. 

La osservo rapita intanto che  consuma con rumorini graditi la polpa degli ultimi frutti rimasti, quelli più in cima, seccati dal sole. Un corpicino nutrito, vestito da una bella pelliccia, tra le fronde di un albero scosse dal vento.

 E poi viene giù, ripercorre all'indietro la strada già fatta portando qualcosa che servirà nel futuro. Dopo poco ritorna, risale, e discende. 

Rimango in silenzio ed osservo: avrà fatto decine di viaggi, nella penombra serale, rischiando  coi predatori che volano liberi e impietosi qui intorno.

 Il suo compare, ieri l'altro, non ce l'ha fatta; ero presente quando il corvo grigio l'ha preso. Un gioco crudelmente normale, ma non ho trattenuto il mio grido...
É rimasta da sola nelle sue sortite notturne, coraggiosa e veloce, e io sono qui ad ammirarla.

E mi viene da pensare a noialtri, cosí pure incastrati tra rischi, tentativi, ripetizioni... Nello sforzo continuo di dover sopravvivere.

 Per arrivare alla cima del ramo piú esterno, quel piccolo essere ha zampettato di corsa esponendo se stesso fino alle salvifiche fronde. Ne seguo gli spostamenti ad udito, attraverso il frusciare fogliaceo e il movimento ondeggiante dei rami. 

Nulla che vada perduto, nulla che finisca sprecato in natura. Vedo noccioli sparsi qua e là, spostati dal vento e dal banchetto di altri, intanto che il grande ciliegio, sornione e silente,  ottiene di espandere la propria presenza. Si sposta attraverso di loro, guadagnando spazio nel mondo in cambio di nutrimenti sicuri.

Noi, per lo più, aiutiamo solo chi amiamo. 

L'albero non ama l'uccello che nutre, ma questi ricambia il favore portando lontano i suoi semi. Nascerà un altro albero altrove, per continuare il gioco di sempre, quello che sa di azione comune, normale in natura.
Noi uomini invece ci avvitiamo con riflessioni di etica, discutiamo sul sistema di convivenza migliore, sperimentiamo innaturali e formali modalità che di sociale hanno davvero ben poco.

 E poi, sempre scontenti, ricominciamo da capo.

 Sisifo contro la simpatica arvicola, che ripete il suo viaggio affannoso portando a casa dei frutti. Noi rovesciamo solo inutili massi, per poi tornare a cercarli e gettarli ancora giù dalla rupe. 

Qualcosa non va, deve essere intervenuto a un certo punto un intoppo, mi dico. Veniamo anche noi dalla terra, ci nutriamo con essa, ma senza riuscire a nostra volta a nutrirla.

 La circolarità si è interrotta: prendiamo senza una resa, all'interno di un mondo in cui, invece, ogni prendere é un dare. 

Ci incastriamo in un fare che è depredare se stessi: una prassi che non sa di natura.




giovedì 21 maggio 2020

Candelabri in città

Tempi di corona virus, tempi di governi dai poteri assoluti e di decreti legge che si susseguono a ritmi ossessivi. Tempi di gran confusione, un pó verosimilmente voluta.... 
Tempi in cui la primavera esplode e te ne accorgi all'improvviso.

Siamo stati al chiuso per un paio di mesi, senza poterci allontanare troppo da casa, sempre con la confessione precompilata in tasca, e quel poco spazio consentito ogni giorno per prendere aria.
 Dietro la porta di casa c'era il mondo vietato, oscurato dalle nuove leggi, definite in poche ore ed esposte nel peggiore dei modi.
 Un mondo fatto di luce solare e di temperature calde. 

La primavera é sbocciata con colori sgargianti dalle criniere degli alberi, e con gli aromi invadenti delle lunghe siepi in città: gelsomini, glicini, ringosperma, e poi campanule, e i papaveri qua e lá... 

Ciuffi d'erba ovunque, a dispetto dei tempi che furono, a spregio di quell'intramontabile movimento di macchine e sgradevoli gas. 
Ho visto apette operose, intente nel loro lavoro, passare diligentemente in rassegna fiorellini comuni, curiosamente sbocciati su marciapiedi malmessi. E tanti piccoli insetti, a percorrere lenti quelle strade deserte, recando con sé tesori di dimensioni irreali rispetto alle loro fattezze. 
E poi uccelli, uccelli ovunque, ad ali spiegate, sfrontati, o a saltellare, piccini, sull'asfalto abbandonato. 

Cosí tanti di loro, e cosí pochi di noi, intimoriti e guardinghi, solitari, col viso coperto dalle possibili insidie presenti nell'aria.  

Isolamento in città, tra di noi, ed anche rispetto a loro: esseri vivi che non si sono fermati, rinchiusi o negati; esseri vivi che hanno continuato  la propria esperienza prendendo ciò che noi lasciavano, occupando gli spazi che ci erano propri. 
Ammirazione e timore al contempo. Figure cosí familiari che pure ci hanno sorpreso, instillando il triste pensiero: noi non piú, intanto che loro si espandono oltre. In un mondo diverso, che non sappiamo più usare. 
Un mondo nuovo che va ripercorso in maniera diversa. 

Mi sono detta più volte che sarebbe arrivato, che ognuno di noi, obbligato a fermarsi, si sarebbe trovato a riflettere, non più distratto, non più spintonato da tutte le parti, non più costretto a inseguire appuntamenti ossessivi. 
Silenzio e calma, nell'intimo della propria dimora.
 E forse, avremmo potuto capire qualcosa di piú rispetto a quanto ci piace, a quanto vogliamo, a ciò che finalmente sappiamo essere brutto, inutile, eccessivo e da  evitare. 

Un evento importante scuote le abitudini e rovescia le azioni. Il pensiero si accende e la creatività si attiva. 
Un bel sogno che peró non abbiamo saputo avverare...

Diciotto maggio: finito per legge  il lockdown. Tutti di nuovo là fuori, a riprenderci lo spazio ceduto, a riempirlo di suoni e rumori, di corpi e di sporcizia dovunque. 

Erano più di noi, un pó ci hanno fatto temere. Erano liberi e quasi arroganti, e sono stati migliori di noi.
Rimangono  le erbe fiorite, e i cappelli degli alberi cosí colorati, ma il suono del loro profumo non riesce a raggiungerci più. Abbiamo ripreso le nostre routine, tornando ad invadere il mondo: in terra e nell'aria. 

Corrugo la fronte e mi sento davvero provata: la messa é finita, andate - se davvero potete - in pace.





martedì 28 aprile 2020

CAOS

Che caos in questo tempo, caos razionale e caos emotivo. Caos dialettico e di contenuti. Navighiamo a vista, in uno scenario che sa di assurdo, di costruito, e di falso. 
I media informano e disinformano, e le persone sono lasciate nella foschia, forse un pò voluta, forse un pò accaduta.

Nel corso della mia vita lavorativa ho appreso che l'ambiguità, la mancanza di chiarezza, molto spesso, sono uno strumento voluto. Non sono sempre la conseguenza di stupidità o disattenzione, ma la realizzazione di uno stato voluto. 
Accade che le persone si trovino nell'imbarazzo della scelta, come il famoso asino di Buridano, e quindi sono impossibilitate all'azione. E la paralisi - mentale e operativa - si presta ad essere un ottimo strumento di controllo e di dominio.

Al caos di questi giorni, dove tutto è illegale, e ciò che non lo è ne ha tutto il sapore, si aggiunge una scenografia ancora più assurda. Forze di polizia ovunque, pattuglie che girano, lente come caimani per le strade quasi deserte, elicotteri che volano bassi irrompendo nelle nostre teste con roboante invadenza, camionette dell'esercito che vanno e vengono.... E lassù un cielo limpido e azzurro, irradiato da un sole caldo, quasi estivo.

La vegetazione che, in barba a questi accadimenti, prosegue il suo corso, orgogliosa e viva, guadagnando quegli spazi finora preclusi: erba che si diffonde ovunque, petali di fiori sparsi sulle strade, aromi dolci che dalle chiome degli alberi aleggiano in aria, fino a carezzarti il viso. 
Dove giro lo sguardo vedo colori: la primavera è entrata senza che nessuno se ne accorgesse, tanto eravamo presi dall'informarci e preoccuparci, e arrabbiarci, e a voler capire...

E ora che il rombo sordo del traffico cittadino è stato reso silente per disposizioni di legge, al suo posto c'è il fragore dei rotori di elicotteri più o meno grossi, che spazzano il cielo volando basso, vicini alle nostre teste. E tutti lì a guardarli, collo piegato e mano davanti agli occhi, per ripararsi dai riflessi del sole. E tutti a chiedersi, ancora una volta, perchè.

Rumore e silenzio, lecito e illecito, libertà di nutrirsi ma non di muoversi, libertà di star bene ma necessità di stare costretti, solitudine e distanza sociale, problemi e propaganda, difficoltà e mere parole. Potremo, faremo, stiamo pensando, probabilmente.... Va tutto meglio ma va tutto male. 
Povertà e risorse forzate nell'assedio poliziesco. 
Perche'?







domenica 5 aprile 2020

SEMAFORO VERDE

Me ne sto chiusa in casa da quasi un mese, ormai: esco pochissimo e per tempi davvero ridotti. 
Come me tante persone nel mondo, costrette ad una vita da interni a causa di un terribile problema comune. 
E così dopo la mafia, il terrorismo, gli alluvioni, i terremoti e gli incendi, ora é il turno di un virus, un essere vivo che porta corona, e che come un crudele tiranno dispone di noi con pieni poteri.
 Colpisce in silenzio, e lascia dolore ed assenza.

 Questa umanità non sembra aver pace, diceva una amica, ma questa umanità non ne concede nemmeno. Mi sembra di assistere a una partita di dama cinese: adesso é il suo turno, e dilaga sul campo mutando il colore di ogni pedina.

Io me ne resto in disparte, dietro la vetrata che dà sul giardino dei padri missionari, e rimango in attesa, confusa. Mi lascio sedurre dalle fronde ondeggianti, che si muovono lente nell'aria, osservando gli spostamenti continui di quei pappagalli, che vanno e vengono, con voci raspose e battiti d'ali: entrano ed escono tra i folti cespugli esibendo colori sgargianti. Sembra stiano giocando tra loro: esserci ora e non esserci piú, e poi apparire di nuovo.

In questi giorni di chiusa, in cui tutto sembra andare piú lento, o essere fermo, l'inquinamento é visibilmente calato. Gli alberi in fiore disperdono profumati richiami nell'aria, e questa volta si possono sentire per bene.

 Oggi non ho resistito e sono scesa giú in strada. Il sole era caldo e il cielo ostentava un azzurro che non ricordavo di aver mai visto in città. Sentivo solo gli uccelli intrecciare armonie fantasiose, e osservavo le foglie verdine in uscita sui rami scampati all'inverno. 
Per loro - quel mondo a cui apparteniamo ma che abbiamo imparato a dimenticare pian piano - é tempo di alzarsi, é arrivato il momento di rispondere all'urgenza del sole e di espandersi con tanti colori. Mentre per noi si sta prorogando una brutta stagione, che ci costringe alle "distanze sociali", e a rimuginare in silenzio sui cambiamenti avvenuti, e che avverranno di certo.

All'esordio di questa strana invasione un amico ha detto, con espressione severa, che a settembre conosceremo un mondo diverso. A distanza di un mese ne ho ormai la certezza. 

 Le persone seguono i vicoli torti dei loro pensieri, diretti al futuro, senza sapersi orientare. Sperimentiamo sconcerto e dolore, e dopo che cosa sarà? Analisti e scienziati, pensatori e persone famose riempiono il web con le loro parole, suscitano in noi riflessioni nutrendo gravose paure. Siamo ipnotizzati dallo sciorinare continuo dei numeri: gli infettati, i guariti, i deceduti, e poi le vittime che rimangono ignote... Ma rimane il grande silenzio dall'altra parte del vetro, oltre il verde di quel ricco giardino, oltre il suono degli esseri alati. 
Silenzio di vita ed incertezze future.

Ero in strada, oggi, benedetta da un cielo radioso, camminavo nel sole e fissavo stupita una serie di semafori accesi sul verde, lungo una strada eccezionalmente deserta. L'assurdità della scena mi ha estorto un amaro pensiero: si autorizza a procedere oltre, in tanto che a tutti é vietato partire - e la strada continua a rimanere deserta.

Dopo aprile verrà maggio...







sabato 28 marzo 2020

E I SOGNI?

Oggi ho letto un appello, partito sul sito dell'Ordine degli Psicologi, che sta facendo il giro dei social. 
Un appello importante che sospingo a mia volta nell'aria, attraverso questo piccolo spazio che mi è concesso di usare per parlare col mondo. 

Magari altri, come me, faranno lo stesso, con le risorse che hanno.

I professionisti dell'esistenza - quelli che semplicisticamente identifichiamo con la definizione di psicologi e psicoterapeuti - , sparpagliati tra i mille colori di scuole e vedute, specialità e orientamenti, convergono in molti nell'attribuire grande importanza alle immagini mentali, ai flash e ai sogni che ognuno di noi sperimenta di continuo. 

In modo analogico, con un linguaggio fabuloso e strabiliante, ogni individuo racconta continuamente a sè stesso la realtà operante di quanto contestualmente gli accade. 
Un linguaggio che le scuole di base non ci hanno insegnato a decifrare,  nonostante si tratti di proprietà condivisa. 
Ma qualcuno, più curioso e forse più motivato, ha iniziato a studiarlo, e ne ha parlato con altri.

Oggi sono in molti ad occuparsi di questo - chi lo fa seriamente, in modo scientifico, e chi invece approfitta della credulità della gente. 
Dagli specialisti alle riffe da bar, come ogni cosa in questo paese. 

Così oggi ho sentito una voce, tra questi specialisti, che chiede ad altri di scuotere gli animi e di ricordare loro di fare attenzione a queste immagini personali, di parlarne e di condividerne - sia pure in anonimo per rispettare la privacy - i contenuti sociali. Sociali, si perché noi tutti viaggiamo nella stessa tempesta, che urta e travolge l'essere uomo che vive qui sulla terra.
 Lo stiamo vedendo: siamo tutti coinvolti, schiacciati da una forza che non conosciamo e non sappiamo placare. Intanto che la vita altra, su questo pianeta, continua il suo corso.

Stamane ho visto un prato coperto di fiori: miriadi di piccole margherite che coprivano l'erba come una decorazione preziosa. 
Dobbiamo unirci anche noi, su questo grande prato che abbiamo sciupato, e onorarlo con la nostra rinascita. 

Torniamo a osservare i nostri sogni, e con essi, torniamo a vedere noi stessi e l'umanità tutta.

Riporto  (da FB) per comodità il post di cui sopra. Sono certa che l'autore non me ne vorrà:

  
PREVENZIONE CONTAGI
Ho appena condiviso nel gruppo privato degli Psicologi del Lazio in cui sono iscritto questo post. Leggetelo attentamente e poi se avete qualche sogno come ho specificato nel post, mandatemelo che facciamo davvero un ottimo servizio sociale.
Dott. Daniele Bernabei - Psicologo e psicoterapeuta.
DREAM MENTAL SCANNER
Anche quando siamo soli o ci sentiamo soli c'è sempre un amico che ci accompagna: è il tuo personale generatore di sogni. Se sai leggere le tue immagini mentali (il 90% della vita inconscia) allora sei facilitato nelle tue scelte di vita. Anche adesso in questa emergenza pandemica i sogni si rivelerebbero importanti se si usassero in modo oculato e professionale. Mi rivolgo agli psicologi umanisti che come me coltivano questa antica cultura delle immagini. Immagini biologiche dotate di preciso senso (per chi sa leggerle, ovvio). Non sono riuscito a trovare nemmeno un sogno di chi si è ammalato di Covid19. Sarebbe invece molto utile creare un data base dei sogni di siffatti malati per raccogliere, analizzare e studiare gli eventuali elementi comuni che caratterizzano i loro sogni. Sogni che segnalano con largo anticipo (più di 14 giorni) il contagio o IL PERICOLO DI ESSERE CONTAGIATI, permettendo, nel secondo caso, un percorso di contatti sociali diverso da quello programmato. Questo tipo di prevenzione potrebbe quindi evidenziare i malati asintomatici indirizzandoli subito ad una struttura sanitaria per i previsti controlli. Cari colleghi non è fantascienza, lo stesso Ippocrate raccomandava ai medici di prestare attenzione ai sogni dei pazienti. Per non parlare poi di Esculapio dove nei suoi templi i sacerdoti curavano (bene) i malati leggendo i loro sogni.
Faccio un esempio: se uno sogna che degli insetti gli entrano in bocca oppure li sputa, potrebbe essere un avvertimento che qualcosa di nocivo è entrato nel suo corpo. Idem se sogna un mantice che va a fuoco e qualcuno ci versa sopra acqua senza riuscire a spegnerlo (polmonite). Sognare un albero le cui foglie si disseccano e son portate via dal vento. Un ragno nero che cammina sul torace (anche tumore grave). Un fulmine che colpisce la testa (infarto o ictus). Erba che cresce al posto dei capelli: malattia del cervello grave o tumore.
Se il Consiglio ritiene che questa mia idea possa essere sviluppata, sarei ben felice di collaborare per costruire un data base dei sogni suddiviso secondo i sintomi di specifiche malattie. Si può iniziare dal Covid19
Dott.Daniele Bernabei