Un volto scolpito nella pietra, consumato nel tempo. La lunga barba che scende morbida lungo la linea del mento. Sullo sfondo il cielo e l’aria frizzante di un autunno lento. Un pomeriggio di libertà che decido di vivere vicino a persone care. Me lo devo, e colgo l’occasione capitata: decido di accostare doveri - la noia e la burocrazia – a piaceri, così colgo la palla al balzo.
In effetti è una grossa palla di pietra bianca, quell’oggetto ipnotico che il volto liso di pietra, lassù, sta fissando. Da chissà quanto tempo.
Occhi vuoti, spalancati tra cielo e terra,
in un universo fermo e antico che è presente qui, ancora, tra noi. E sembra non interessarsene.
Questa situazione mi attrae, mi
affascina, e scatto una foto così, quasi di nascosto, timidamente, con un certo
pudore… ci penserò dopo, scaverò nei percorsi dei miei neuroni e cercherò di
capire perché.
Ora sono lì, di nuovo, che osservo questa immagine, che sento amica, tra un biscotto e una sorsata di tè. È una scena che mi ispira serenità, anche allegria.
Saranno quei folti baffoni, rassicuranti e robusti, che troneggiano su una barba quasi fluida, riccia, che scivola in basso come un torrentino vivace sul suo letto di pietra, o forse quelle orbite spalancate verso l’alto, comodamente sovrastate dall’arco sopracciliare, che le protegge come un grosso muro.
L’ampia fronte ispira saggezza, contornata da una capigliatura ariosa e mossa, che chiude il volto come un quadro armonioso. La grande testa sembra emergere da un giaciglio appena accennato, fatto di pietra grezza.
Lo osservo e mi viene in mente il modo in cui dormo, immersa nelle coltri, dalle quali emerge solo la testa.
Mi piace osservare l’ambiente,
quando mi sveglio – accade più volte durante la notte -, illuminato dalla luce
del cielo, che cambia col trascorrere delle ore e dei minuti. Prima più
lentamente, poi, la mattina presto, sempre più celere. Il chiarore notturno si
spalanca in un bianco lucente, si tinge rapidamente di arancio, fino ad
accendersi di vita viva nelle giornate estive.
I vetri, aperti anche in inverno, lasciano entrare
un’arietta fresca che sa di buono, donandomi i profumi dell’erba e degli
alberi, e carezza i miei pensieri al ritmo della loro danza mentre ondeggiano nel
vento.
A completare il miracolo gli uccelli notturni, coi loro
fischi e richiami, delicati e striduli, sussurrano e dialogano insistentemente
tra loro. Io li ascolto con stupore, meravigliandomi e sorridendo, innamorata
di un mondo precluso a chi vive in città.
Ha ragione il mio amico, quando dice ridendo che il mio
tetto è il cielo, e le pareti la foresta…
Ieri una grossa e
tonda luna piena splendeva nel cielo, diffondendo nella stanza un candore
accogliente. A pensarci, era come quel
globo pesante, osservato da sempre e per sempre dalla facciona gentile: tondeggiante,
impreciso, che sembra morbido, un po' squagliato, nonostante sia fatto di
pietra. Forse, però, non lo è l’anima che lo ha scolpito.
Sorrido, non posso farne a meno. Viaggia il pensiero tra
passato e presente, e va ad un futuro ipotetico in cui, ancora, il saggio dormiente
sarà lì, nel suo angolo, sopra il paesaggio e tra le nuvole chiare, a dialogare
con il suo globo.
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