Una giornata da trascorrere in disparte per coloro che non
apprezzano la gazzarre sociale, per chi detesta di trovarsi imbottigliato nel
traffico o vedere agenti di polizia dislocati per la città.
La mia persona, tra questi.
Quest’anno però c’ero anche io. Sarà per via del lungo
periodo di restrizioni, dell’inverno prolungato, del continuo parlare di guerra
e di morti, e di bambini dispersi in vari paesi, allontanati dalle bombe che
cadono sulle città. Fiumi di parole e commenti che definiscono buoni e cattivi
all’interno di un discorso che parte da premesse assurde - la guerra –, e le
contraddizioni di un mondo che fatico a interpretare.
Osservo incuriosita ragazze che con le mani tra i capelli
lisci espongono visi vistosamente truccati alle telecamere dei loro smartphone,
le labbra arricciate nella smorfia fin troppo comune; sullo sfondo la distesa
azzurra del lago, e la lenta discesa del sole tra i monti tra la luce rosata del
cielo.
Passeggio lentamente vicino ai grossi ippocastani, che si
estendono altissimi sopra di me, attratta dai vari modi che hanno gli astanti
di muovere i piedi sul suolo, vicino alla riva, mentre papere indifferenti
affondano il collo nell’acqua, a pesca di cibo, e agitano il loro codino
pennuto per aria.
Sorrido e stranisco, in un misto di emozioni confuse.
Il mese di maggio, tra l’inverno e l’estate: il venticello
frizzante serale, le luci e i locali che si riempiono di persone.
Ieri e domani, in un turbinio di suoni e luci, di odori e di
corpi in movimento.
I pensieri che vanno agli ultimi eventi e al passato, a esperienze
già fatte, che non torneranno. E va bene così. Osservo i bimbetti correre e
darsi spintoni, con le loro biciclette, frenati dalle mani di adulti che sono
con loro. Chi si infastidisce perché interrotto nelle conversazioni con altri, e
chi si dedica totalmente a quelle creature.
L’umanità che va avanti, da quanto tempo e fino a quando. In
un mondo confuso, che cambia, e che offre i suoi spazi.
Osservo gli alberi, immergo i miei pensieri nell’acqua, di un azzurro ipnotico. La brezza crea increspature che potresti continuare a osservare per ore.
Ho conosciuto persone, ne ho perse e ne incontrerò altre:
tutto si intreccia in un presente che sembra attorcigliarsi in direzione
futura, senza davvero essere altro dal passato vissuto. Io sono qui. Ancora.
Come lo ero allora. Sono qui, con vedute più ampie, con un corpo più adulto,
con pensieri più pieni. Tutto il resto che avanza, ci attraversa, e ci supera.
Sembra che nulla cambia tra le azioni degli uomini: si ride,
si mangia, ci si abbraccia e ci si odia. Le persone giocano e litigano, si
danno obiettivi, tutto sotto un cielo ampio, solcato da ali grandi e piccole,
attraversato da nubi di vario colore. Sole e pioggia, vita altra da noi insieme
con noi.
E la guerra. Perché?
Ho voglia di leggerezza e di colori, di distarmi un po': raggiungo il Ballon Museum con una amica e mi immergo in un mondo di palloncini gonfiati, di luci e di semplicità. Pago troppo per le istallazioni disposte, ma abbastanza per lo spettacolo fruito: tanti bambini felici, eccitati e agitati, che corrono e ridono, che stupiscono, aggrappati alle mani dei genitori, abbracciati tra loro, che urlano e fanno le gare.
Mentre faccio la
fila li osservo: sono dovunque, sparsi nella luce soffusa con gli occhioni sgranati
puntati sui colori accesi dei giochi. Qualcuno si sente osservato e mi guarda.
Sorrisi bellissimi, di quelli che solo i bambini ti sanno donare. Finalmente un
po' di calore nel cuore.
Mi immergo nella piscina di palline bianche, che mi vanno dovunque, ne tiro all’amica e aiuto una bimba a scendere giù. Viene voglia di nuotare, ma i movimenti sono impediti, come è ovvio, e il corpo sembra pesante.
Rido anche io, in questa giornata di maggio, finalmente lontana dai discorsi di
guerra, di economia, di crisi globale. Rido in semplicità, insieme con
individui piccini.
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