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Buona lettura!

sabato 10 dicembre 2016

La pagliuzza.



Ho superato i quaranta e da svariato tempo sono informata del fatto che sarebbe accaduto: col tempo si modifica la struttura dell'occhio e la modalità visiva cambia a sua volta.
Questo è ciò che sta dietro le facce - mi dicono - di chi porta sul naso le lenti con doppia finestra, le bifocali: quelle di chi non vede più bene da vicino e deve quindi far uso di strumenti che consentano la buona visione, vicino e lontano.

È arrivata anche a me, penso: è il tempo di trovare lenti migliori. Mi sottopongo ad una visita medica, e si... Un pò la vista è cambiata, ma non sento parlare di alterazioni strutturali.... Piuttosto parole che indicano stress e stanchezza, poi sento nominare l'età... Ma neanche un accenno a quella varianza legata - sembra per legge - al superamento degli "anta"...
Comunque cambio le lenti... La miopia ha fatto un piccolo balzo in avanti, ed io mi adeguo, prudente, per garantire una sicura guida notturna.

Provo, ma nessun cambiamento: quel dolore diffuso attorno all'occhio sinistro - quello che l'oculista ha chiamato "il mio occhio buono" - non è svanito, non è calato neanche di poco. Sembra anzi aumentare: un dolore di fondo, sordo e continuo, persiste con la sua fastidiosa presenza. La palpebra stessa inizia a gonfiare, divenendo molto evidente sul volto di sempre che osservo allo specchio
Niente trucco al mattino e molto molto collirio, ma l'occhio continua a dolermi.

I conoscenti elargiscono saggi consigli non chiesti: devi farti vedere, devi indagare sul fondo, sottoporti ad esami mirati!
Non voglio saperne: già prefiguro un percorso asfissiante, spintonata da un esame ad un altro, con la preoccupazione che cresce via via che aumenta la confusione di chi dovrebbe curare: gocce, pasticche, antibiotici... E poi altri controlli, e risposte evasive.

Secondo la scuola che seguo gran parte di quanto ci accade è solo l'effetto di una causa che agisce ad altri livelli, e che denuncia se stessa attraverso sequenze di immagini apparentemente insensate: la psicosomatica.

Inizia l'indagine seria: le immagini, la consulenza professionale, il confronto con la realtà che vivo in prima persona.

Qualcosa mi offende, lì dove vedo con "l'occhio buono", dove il mio sguardo è più sano. Accadono fatti che osservo e che offrono spettacolo indegno ed osceno, offensivo per giunta. Osservo e mantengo la mira: attenta, serissima, e molto alterata. Ma l'occhio in tensione si stanca: è tempo di agire, mi tocca infine sparare.

Un respiro profondo: con l'aria che entra metto insieme gli eventi, e con quella che esce rigetto l'offesa. 
Io spingo il grilletto dalla mia postazione, con modi aggraziati e discreti, nel rispetto della mia persona e di chi con essa è coinvolto.
L'obbiettivo mirato è raggiunto.

Come un cecchino ho mirato, paziente ed attenta. E come un cecchino ho sparato, liberando me stessa e punendo il reato. Ora lo sguardo è a riposo, e con esso il mio viso rilascia tensioni e dolore. Finalmente la palpebra inizia a sgonfiarsi.

Non sono le lenti diverse, non è il fondo dell'occhio né i quarant'anni suonati, ma la mia dignità che reclama a gran voce il suo spazio nel mondo.








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