Ho superato
i quaranta e da svariato tempo sono informata del fatto che sarebbe accaduto:
col tempo si modifica la struttura dell'occhio e la modalità visiva
cambia a sua volta.
Questo è ciò
che sta dietro le facce - mi dicono - di chi porta sul naso le lenti con doppia
finestra, le bifocali: quelle di chi non vede più bene da vicino e deve quindi
far uso di strumenti che consentano la buona visione, vicino e lontano.
È arrivata
anche a me, penso: è il tempo di trovare lenti migliori. Mi sottopongo ad una
visita medica, e si... Un pò la vista è cambiata, ma non sento parlare di
alterazioni strutturali.... Piuttosto parole che indicano stress e
stanchezza, poi sento nominare l'età... Ma neanche un accenno a quella varianza
legata - sembra per legge - al superamento degli "anta"...
Comunque
cambio le lenti... La miopia ha fatto un piccolo balzo in avanti, ed io mi
adeguo, prudente, per garantire una sicura guida notturna.
Provo, ma
nessun cambiamento: quel dolore diffuso attorno all'occhio sinistro - quello
che l'oculista ha chiamato "il mio occhio buono" - non è svanito, non
è calato neanche di poco. Sembra anzi aumentare: un dolore di fondo, sordo e
continuo, persiste con la sua fastidiosa presenza. La palpebra stessa inizia a
gonfiare, divenendo molto evidente sul volto di sempre che osservo
allo specchio.
Niente
trucco al mattino e molto molto collirio, ma l'occhio continua a dolermi.
I conoscenti
elargiscono saggi consigli non chiesti: devi farti vedere, devi indagare sul
fondo, sottoporti ad esami mirati!
Non voglio
saperne: già prefiguro un percorso asfissiante, spintonata da un esame ad un
altro, con la preoccupazione che cresce via via che aumenta la confusione
di chi dovrebbe curare: gocce, pasticche, antibiotici... E poi altri controlli,
e risposte evasive.
Secondo la
scuola che seguo gran parte di quanto ci accade è solo l'effetto di una
causa che agisce ad altri livelli, e che denuncia se stessa attraverso sequenze
di immagini apparentemente insensate: la psicosomatica.
Inizia
l'indagine seria: le immagini, la consulenza professionale, il confronto con la
realtà che vivo in prima persona.
Qualcosa mi
offende, lì dove vedo con "l'occhio buono", dove il mio sguardo è più
sano. Accadono fatti che osservo e che offrono spettacolo indegno ed osceno,
offensivo per giunta. Osservo e mantengo la mira: attenta, serissima, e molto
alterata. Ma l'occhio in tensione si stanca: è tempo di agire, mi tocca infine
sparare.
Un respiro
profondo: con l'aria che entra metto insieme gli eventi, e con quella che esce
rigetto l'offesa.
Io spingo il
grilletto dalla mia postazione, con modi aggraziati e discreti, nel
rispetto della mia persona e di chi con essa è coinvolto.
L'obbiettivo
mirato è raggiunto.
Come un
cecchino ho mirato, paziente ed attenta. E come un cecchino ho sparato,
liberando me stessa e punendo il reato. Ora lo sguardo è a riposo, e con esso
il mio viso rilascia tensioni e dolore. Finalmente la palpebra inizia a
sgonfiarsi.
Non sono le
lenti diverse, non è il fondo dell'occhio né i quarant'anni suonati, ma la mia
dignità che reclama a gran voce il suo spazio nel mondo.
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