Venticinque dicembre,
un giorno di festa.
Stamane erano quasi le nove quando son scesa per
strada e l'ho sorpresa deserta. Le chiome degli alberi, allineati sul
ciglio, sembravano ridacchiare contente, un pò smosse dal vento: arietta
frizzante e un'esplosione di luce da quel cielo azzurro inondato di sole.
Ho camminato
a passo spedito verso il mio appuntamento, nel silenzio del sorriso ambientale:
io sola, la strada vuota e qualche pennuto a planare lassù, nel trasparente
emisfero, sopra di me.
É raro poter
respirare aria tanto leggera in questa città soffocata.
Palazzi
vecchi e un pò sonnacchiosi, familiari e di strano conforto, mi danno il buon
giorno mentre raggiungo silenziosa la sponda del fiume; ne seguo il percorso
posando i miei passi tra le foglie invernali, alcune a riposo per terra, ed
altre ancora aggrappate sui rami.
Ippocastani maestosi, fieri e gentili,
da sempre omaggiano l'acqua che scorre briosa, chinandosi giù, verso la vita
che, in veste animale, esplora percorrendo la riva e scivola via sulla
superficie fangosa.
Intanto che
radici ostinate venute su dalla terra, hanno conquistato lo spazio e aperto
ferite sullo strato d'asfalto, obbligandomi al gioco già noto di allungate
e saltelli.
Una bella
città, senza il trucco pesante degli screzi diurni e degli sfregi ambientali.
Un'occhiata agli spalti, tra la ruggine accesa delle poche foglie
rimaste sui rami contorti, che scendono giù come ricci scomposti dalla nuca di
una ragazza vivace.
L'acqua si
muove veloce, sospinta da forze silenti e non viste, e mi carezza i pensieri,
rendendoli finalmente leggeri. Li porta con sé, attraverso gli
antichi archi del ponte di pietra, quel ponte che tutti chiamano
"rotto".
Ferito,
abbattuto, ricostruito, aggiustato, rifatto e poi lasciato così, legato
alla terra da lunghi bracci di ferro, che come frecce vistose, denunciano
l'ostinata potenza di chi, nell'acqua, non ci vuole proprio morire.
Quel
ponte che ha vinto, alla fine, contro correnti ed ingrati alluvioni,
contro la condanna impietosa del tempo.
Dall'epoca antica, quell'arco, custodisce
il connubio tra l'acqua e la terra, e non vuole mollare.
Così rimane
dov'è, ad insegnare un messaggio che trasfonde una bella speranza.
Mi soffermo
a guardare i gabbiani, e volo con le ampie ali per qualche momento: c'è così tanto
spazio lassù...
Costeggio
palazzi che sanno di storia, giardini e fontane guizzanti e ricolme, incontro
il tempio che è detto di Vesta e che forse, però, è stato fatto per Ercole
(nel contenzioso prevalse comunque la Chiesa, che in tempi propizi lo ridusse a
triste gazebo).
Vesta,
custode prescelta del sacrale fuoco vitale, del calore domestico che mai
dev'essere estinto; Ercole,
il cui fuoco interiore forgiò immemorabili gesta, ed arrivò ad ottenere il
diritto di passare da essere umano a divino.
Ed ecco gli
opposti incontrarsi: il fuoco di Vesta e l'acqua di Ercole, l'eroe invitato da
Giove al suo fianco dopo che una moglie gelosa, per smanie di ossessivo
possesso, arrivò quasi ad ucciderlo nella mente e nel corpo.
Uomini e
dei, in un mondo fatto di ambrosia e di comportamenti meschini: racconti
inventati per dire a noi stessi che, in fondo, va tutto bene così.
Ma oggi é
davvero natale: di là dalla strada nemmeno un turista dei molti che, in ogni
giornata si accodano in file estenuanti per onorare quello stupido rito nella
fessura della grossa medaglia dal viso barbuto.
In passato,
da quel foro, passava solo dell'acqua, ma da generazioni infinite si
intrufolano mani arroganti, sostando sul bordo di pietra che diviene sempre più
liso.
La crudele
bugia degli adulti che inculca, sulla via dell'insulto, la certezza del fatto
che al controllo supremo non si possa sfuggire, ed impone il giudizio: chi
ha mentito nel corso della propria esistenza, sia pure per motivi di scarsa
importanza, non potrà ritirare mai piú la mano dal terribile morso del mostro
di pietra.
Che mostro,
in origine, di certo non era, ma solo l'effige di uno spirito acquatico,
dedito ad accogliere l'acqua piovana per convogliarla altrimenti.
Eccolo
l'uomo, consapevole della propria impotenza, spalancare la ruota multicolore e
gonfiare il suo petto: camuffare il reale per sedurre chi é accanto, e poterne
finalmente disporre.
Ecco l'eroe,
che per finire all'Olimpo deve subire le prove piú ardue, fino a perdere tanto
di sé, cosí come l'antico pilone del ponte rimasto senza compari.
Scivolano
via questi sogni, e con essi va l'acqua veloce, sotto a quell'unico arco
rimasto quaggiù, che mi invita a guardare al di lá...
Ho riconosciuto subito il ponte che hai descritto. Quanto devi amare la tua città... Buon Natale, Marina.
RispondiEliminaBuon anno, Elena!
RispondiElimina:)
Buon anno Marina :-)
RispondiEliminaAuguri, attraverso l'antico arco di pietra...
EliminaMi hai fatto rivivere la particolare sensazione di girare per la mia amata città con occhi curiosi e ricettivi,amo girare in tal modo.
RispondiEliminaAuguri Marina 😘
Cara Cristina, penso che ogni angolo del mondo- se osservato ed accolto con occhi curiosi - riesce ad accendere una riflessione particolare ed emozioni profonde.
RispondiEliminaQuanto alla città di Roma, poi...
Auguri anche a te!
:)