“[...] un dio è l'uomo quando
sogna, un mendicante quando riflette […]”
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(Hölderlin, Iperione)
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Gli antichi
greci definivano l'agire secondo due modalità: la prassi (πρᾶξις), intesa come azione fine a se stessa, che nello
specifico designava l'agire morale, considerato come un fine esso
stesso; e la tecnica (τέχνη),
l'azione finalizzata, l'arte di agire per uno scopo, estensibile a tutti i
campi in cui è dato all'uomo operare.
A partire
dal XX secolo la definizione di tecnica - divenuta poi tecnologia - ha
assunto la specifica accezione di strumentazione derivata dalla scienza e
finalizzata alla produzione di beni.
Oggi
utilizziamo l'espressione tecnologia per indicare strumenti
destinati ad applicazioni specifiche, come può esserlo, ad esempio, la
tecnologia informatica.
In sostanza
si tratta di modalità del fare, e quindi del comunicare (l'una azione implica
sempre l'altra), dalle specifiche proprietà e regole di utilizzo, che
trovano applicazione in contesti svariati.
La moderna
tecnologia, legata alla crescente informatizzazione della società, rende fruibili
quelli che oggi sono definiti "i nuovi media", strumenti di
comunicazione particolarmente complessi che sfruttano una eterogeneità di
formati espressivi (la multimedialità implica l'utilizzo di molti media,
appunto) attraverso cui veicolare i contenuti.
E se è
vero - e lo è - che la forma contribuisce a fare il contenuto, a costituirlo
essenzialmente (chiedetelo pure a un romanziere!), va da sé che la
fruizione di tali strumenti interviene nella percezione che abbiamo della
esperienza stessa e nella nostra ulteriore interazione con essa, con gli altri,
e con noi stessi.
Il nostro modo di "abitare il mondo",
insomma, ne viene inevitabilmente condizionato.
La
comunicazione digitale si evolve rapidamente, e quanto fino ad un decennio fa
andava sotto la più ampia definizione di ipertestualità
- la possibilità che ha un utente di connettere e richiamare tra loro
informazioni in funzione di un personale percorso di apprendimento - oggi
assume connotazione specifica, ed il diritto ad un esame precipuo.
Vengono così
dedicati studi approfonditi all'analisi dei mondi
virtuali, contesti realizzati attraverso interfaccia a
3D; al social networking,
piattaforme destinate alla condivisione di informazioni tra utenti; al
cosiddetto web 2.0, quella parte
del web che presenta contenuti comuni costruiti da più utenti - come avviene in
Flickr, YouTube, in Wikipedia o nei blog; al web 3.0, ossia all'idea di poter utilizzare i dati offerti dal web
come si trattasse di un enorme data-base; all’e-learning, la formazione a distanza; all’e-government, l'interazione su internet tra cittadini, imprese ed
amministrazioni; al web semantico,
che comporta l’inclusione nei documenti web di informazioni su argomenti e
concetti di cui essi stessi trattano, sulla loro categorizzazione e sulle
relazioni con altri documenti (i metadati); ... Fino al wi-fi (wireless fidelity), alla possibilità cioè di connettersi a Internet
senza cavi, attraverso apparecchi di vario genere (i famigerati devices).
Ed è qui che
il lavoro dei semiotici si complica: mi riferisco alla disciplina che studia i
segni e le loro relazioni, che osserva ed evidenzia la loro struttura
superficiale e quella profonda, e che lo fa da qualche tempo dall'interno di
una concezione "pragmatica" in linea con il pensiero di P.
Watzlawich, intesa cioè in termini di operatività umana ed atti comunicativi.
La multimedialità ha così trasformato la
concezione che la semiotica aveva del suo oggetto: un modo - e quindi un mondo,
secondo l'assunto bachmanniano per cui "non è dato un mondo senza
linguaggio" - che fino a poco più di un decennio fa era osservato come scrittura:
un grande testo da osservare, analizzare e comprendere nella sua superficie,
fatta di regole, connessioni e norme grammaticali, e nei significati impliciti
operanti da un livello più profondo.
Di base prevale la eredità
wittgensteiniana secondo cui “la struttura del linguaggio rispecchia la
struttura del mondo".
Oggi
questa modalità è superata: la scrittura viene integrata attraverso nuovi
strumenti che sono in grado di coinvolgere tutti i nostri sensi: filmati,
audio, interazioni sociali... Tutto è segno, e tutto è testo... Ma ad un
livello più ampio, che non si limita più solo a rispecchiare la grammatica
della scrittura.
La
multimedialità comporta la capacità di una convergenza di linguaggi diversi, di
forme di espressione e di contenuti differenti in una specifica strategia
informativa attraverso quella che potremmo definire "una sincretizzazione
di sistemi semiotici eterogenei".
In gioco
abbiamo dunque una interazione effettuale di strumenti espressivi e percezioni
multi sensoriali, la cui risultante è, per gli utenti, un modo diverso di
percepire, di vivere e di condividere l'esperienza.
L'analitica
si fa epistemologia, e si serve sempre più dei dati ricavati dalle
neuroscienze e dai viaggi dei nuovi antropologi, uomini come Lindstrom, per
intenderci, famoso branding specialist (il Time Magazine del 2009 lo ha
inserito nella lista dei cento uomini più influenti del secolo) al soldo di
potenti multinazionali, uomini che proprio come i primi esploratori delle
civiltà altre - antropologi o missionari che fossero - viaggiano per il mondo
soffermandosi a vivere per un pò presso le genti da studiare, al fine di
riportarne notizia in patria.
L'antropologia culturale - lo studio
dell'uomo nelle sue manifestazioni tecniche e in ciò che egli produce
esprimendo se stesso - estende il proprio campo di indagine al territorio
digitale e ai modi della sua fruizione, e quindi al modo in cui tutto ciò
interviene ad orientare il nostro modo di pensare e di fare: il modo in cui
l'uomo attuale percepisce l'esperienza, la produce e la trasmette in
condivisione.
Le
informazioni sull'Altro hanno sempre avuto un importante valore economico e
politico, oltre che culturale. E così la nuova antropologia si rifà il look, e pure il nome, assurgendo agli
spalti come web marketing nelle sue varie accezioni e modalità
espressive, oltre che di analisi e profilazione.
Interessi
conoscitivi ed interessi economici continuano ad andare a braccetto nel
percorso dell’evoluzione umana riportandoci, paradossalmente, al punto di
partenza, al fatto che un linguaggio complesso, esaustivo e multiforme,
realizzato “in laboratorio” attraverso la progressione della tecnica,
rispecchia la capacità percettiva e cognitiva più propria dell’essere umano,
connaturata ed originale: la modalità multimediale del linguaggio onirico.
L’espressività onirica si nutre e compone del mondo
che viviamo: oggetti e avvenimenti della nostra quotidianità, suoni e odori,
istanze nostre e di chi incontriamo, ricordi e aspirazioni… Tutto si combina in
un testo che è ipertesto: una dimensione virtuosa più che virtuale,
perché ci dice di noi; e reale perché parte da noi ed è riferita
a noi, perché prodotta dalla nostra personale esperienza per descriverne
l'attualità.
Citerò un
famoso frammento di Hölderlin, per spingermi un pochino oltre:
Voll
verdienst, doch dichterisch, wohnet der Mensch auf dieser Erde
Ossia:
Pieno di
merito, ma poeticamente, abita l’uomo su questa terra.
Il poeta
tedesco coglieva nel linguaggio il limite
e l'occasione: il dire non
può esprimere a sufficienza ciò che ognuno di noi è realmente in grado di
cogliere. La comunicazione più piena si fa ad altro livello, oltrepassando la
logica e l'approccio analitico: ciò che Hölderlin definisce poesia.
La
comunicazione poetica manifesta ciò che non è possibile dire, lo
esibisce e consente così la percezione di quanto trascende la
parola comune, rimanendone necessariamente celato.
In termini romantici
parleremmo dell'unione con lo spirito della natura, con il Tutto che ci
accoglie e da cui proveniamo; in termini esistenziali dovremmo parlare di
inconscio, che riemerge dall'ombra della dimenticanza per divenire luce creativa
al servizio dell'intero.
La poesia,
col suo modo variegato e molteplice, costringe il fruitore ad osservare con
strumenti diversi; anzi, ad utilizzare in maniera diversa i vecchi strumenti.
E' lo sforzo necessario affinché emerga, nel modo dovuto, quanto altrimenti
resterebbe celato.
Il potere
evocativo di questo linguaggio si fa accadimento nel sogno, acquista una
spazialità virtuale che coinvolge tutti i sensi, e oltrepassa i fastidiosi
limiti dello storico approccio narrativo. Così facendo, il sogno si impone,
provocando chi intende decodificarlo a riscoprire quella essenziale potenza
cognitiva che abbiamo dimenticato di avere, e che ci appartiene essenzialmente.
Solo così sarà possibile cogliere ciò che il linguaggio non è in grado di dire
con le sole parole, ma che pur sempre espone.
Il cerchio
si chiude intanto che il progresso tecnologico ci pone dinanzi allo specchio,
invitandoci ad osservare la vita poeticamente,
come si trattasse di un sogno.
E chiudo qui
(sarebbe più corretto dire “apro”) con la domanda che pone R. Minello (Edusemiotica del virtuale) quando si chiede
se, alla fine, non sia proprio questo l’impegno formativo che ci resta
dopo Babele, dopo che abbiamo dimenticato che, una volta, tutta la Terra aveva
una sola lingua e usava le stesse parole, e la gente era “uno” (Genesi 11).
I tuoi post sono sempre ricchissimi di contenuto... Bentornata Marina.
RispondiEliminaOggi ti ho consegnato un premio, vieni a ritirarlo sul mio blog? Un abbraccio
Grazie Elena...Ora vengo a dare un'occhiata..
Elimina:)