Sul web, di questi tempi, circolano numerosi articoli e commenti sulla questione dell'abbigliamento delle donne islamiche. La polemica innescata dai provvedimenti adottati e poi ritrattati da alcuni comuni francesi nei confronti del burkini ha rimbalzato sui giornali on-line e sui blog di molti autori.
Ci sono stati scambi e riflessioni, citazioni e provocazioni... Il pensiero ha volteggiato su temi svariati: dai "tormentoni", assurti a importanti occasioni di riflessione, alla mancanza di rispetto nei confronti del genere femminile proprio delle religioni monoteistiche - ad eccezione, certo, del culto pastafariano, della cui goliardica esistenza sono così giunta a conoscenza - , alla violenza legittimata da autorita' indiscutibili (religiose o meno) propria di certe comunità giustificate, a loro volta, dal buonismo di un certo relativismo culturale, in linea con una diffusa e controversa interpretazione dell'idea di integrazione e inclusione delle culture.
Dai pettegolezzi alla valutazione dei costumi, insomma, fino a delicate riflessioni di tipo teologico e politico.
Tra
le citazioni e i riferimenti ho incontrato il nome di Nawal El Saadawi,
il nome di una donna di origine islamica, in Italia per lo più purtroppo
sconosciuta, ma oggetto di studio in molti corsi di stimate università, e
spesso ospite di simposi internazionali.
Nata in Egitto negli
anni trenta, questa donna ha affrontato con fierezza il suo tempo e la
società nella quale è cresciuta, criticando la cultura di un paese
represso e repressivo, interferendo con le linee politiche operando
dall'interno, scuotendo la coscienza e modificando il modo di vivere
certe abitudini comportamentali.
È stata una delle poche
donne nate e cresciute in un villaggio povero ad aver potuto frequentare
l'università nell'Egitto degli anni 50 - lo racconta lei stessa - ad
essere divenuta medico, e ad aver reso operativo un programma di medicina sociale,
ossia di informazione preventiva di tipo sanitario basata sul
presupposto di una visione olistica dell'esistenza dell'uomo.
Il suo motto: come la
cultura non è mai separata dalla politica - in quanto al modificarsi
dell'una intervengono inevitabili cambiamenti anche nell'altra - così
non può esserlo il corpo dal modo di vivere e di pensare: lo stato di
salute del corpo rivela la condizione globale dell'uomo.
Condizione che i
farmaci non sono in grado di sanare.
Nonostante il carcere, l'isolamento, il controllo, la censura, le minacce e l'imposizione a
rinunciare addirittura alla propria nazionalità, Nawal ha continuato ad
illustrare alla gente le reali motivazioni delle rituali menomazioni
genitali cui vengono sottoposte le donne (ma anche gli uomini, seppure
in altro modo e in altre religioni), oltre alle terribili conseguenze
fisiche e psicologiche che da esse derivano.
Un attento studio dei testi
sacri le ha permesso di testimoniare su come un programma politico
violento e oscurantista si sia imposto usando la mancanza di istruzione e
la strumentazione dell'autorita' del divino, a cui attribuire
insegnamenti e precetti.
Ha fatto comprendere con l'esempio personale
che il velo imposto alle donne nella sua cultura di origine e' un velo
imposto alla mente, mantenuto e promulgato con la violenza, dalla
ignoranza e dalla paura.
Il supporto di autorità politiche internazionali nel corso dei vari processi cui è stata sottoposta, le ha permesso di poter scoprire, con non poco stupore, di essere considerata un esempio importante in
America, in Norvegia, in Gran Bretagna e in altri paesi occidentali nei
quali i suoi stessi libri erano e sono tuttora oggetto di studio in
aule universitarie.
La prima femminista islamica, che si è esposta per
gridare al suo popolo e al mondo intero che i più grandi nemici
dell'umanità sono l'ignoranza e la paura.
Entrambe limitano l'azione e
la sperimentazione, uccidendo la creatività e impedendo la sana
dissidenza. Così l'autorita', la moralità e la paura rendono l'umano
dipendente da una salvezza esterna, ricevibile e desiderabile,
snaturandone la necessaria evoluzione esistenziale.
E le religioni, in questo telaio, fanno da protagoniste: strumento perfetto per una strumentalizzazione politica.
Nulla salus extra ecclesiam, insomma, qualunque forma, colore o lingua assuma quel vessillo.
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