Quando sentiamo parlare di aggressività pensiamo subito alla rabbia
e alla violenza. Immaginiamo scene apocalittiche di arpie dalle lunghe
unghie arcuate che si avventano su tristi malcapitati, o visualizziamo
scene da stadio, definite da rumore e fumo e corpi in movimento. Urla e
botte ovunque.
Ci può venire in mente l'ultima traumatizzante giornata trascorsa in auto, imbottigliati in un traffico odioso, tra gli improperi dei frettolosi e stressati automobilisti... O le immagini registrate dalla telecamere della finanza che riportano gesti incomprensibili della maestra d'asilo che prende a schiaffi un bambino e lo picchia con cattiveria.
Ci può venire in mente l'ultima traumatizzante giornata trascorsa in auto, imbottigliati in un traffico odioso, tra gli improperi dei frettolosi e stressati automobilisti... O le immagini registrate dalla telecamere della finanza che riportano gesti incomprensibili della maestra d'asilo che prende a schiaffi un bambino e lo picchia con cattiveria.
Questo avviene perchè confondiamo il concetto di aggressività con quello di violenza.
L'aggressività è un termine che viene dalla ligua latina, e significa, prima di tutto, avvicinarsi (ad-gredior), andare verso. L'espressione può assumere poi varie connotazioni, certo...
L'aggressività è comunque lo strumento naturale e basilare con cui metabolizziamo la realtà.
Per
la vita, lo scopo primario è vivere, e perchè ciò accada, ogni essere
vivente deve servirsi dell'ambiente che lo ospita nel modo più
funzionale possibile. Dovrà quindi aggredire l'ambiente per farlo suo, per renderlo sè.
Se
ho fame, devo procurarmi il cibo, così se ho sete... Se ho freddo dovrò
trovare il modo di scaldarmi. Brucerò la legna, appozzerò al torrente,
coglierò dei frutti... Ma si tratta sempre di un togliere per necessità naturalmente egoistica.
La violenza è un togliere che implica un sopruso. Un'aggressività finalizzata a danneggiare l'altro, non ad accudire me stesso. Non c'e' necessità sana, ma la perversione di un bisogno.
Chi si fa latore di violenza? Solitamente chi l'ha subita, o chi vuol vendicarsi, chi sente la necessità di imporsi e non conosce o non vuole imparare altro modo.
Si tratta di risposte compensative a frustrazioni vissute, cioè ad impedimenti alla realizzazione e alla soddisfazione di bisogni che si è in qualche modo subiti.
L'organismo vuole vivere, e si prodiga in tal senso.
Vivere significa correre e dispiegare liberamente i propri impulsi sani, vivere l'erotismo sano, metabolizzare cioè la realtà in modo piacevole e accretivo.
L'uomo vive prevalentemente in società, seguendo regole e convinzioni formalizzate secondo codici a volte necessari, e a volte castranti. La cosiddetta civiltà impone il rispetto di regole. La natura, lo fa a sua volta.
Non sempre, però, i dictat coincidono.
Spesso
i modi indicati dai codici della civiltà sovrastano la natura, la
coprono e la offendono: avviene una imposizione che fa violenza.
L'individuo
che rispetta il codice sociale, che si comporta secondo la morale
richiesta, deve fare attenzione: se queste regole si contrappongono alle
istanze della natura (ciò che ci fa essere individuo), iniziano i guai.
Allora accade che l'interessato perde un pò della sua linfa. E poi
ancora un altro pò. Inizia la percezione di
un'insoddisfazione strisciante, una solitudine fastidiosa, un nervosismo
costante... Scoppi di rabbia, voglia di fuggire, sensazioni
oppressive... Egli avverte un malessere, un disagio, un rumore di
sottofondo costante che va crescendo... Qualcosa che vuole essere
buttato fuori, scaraventato via.
La colpa è degli altri, di
tutte quelle persone che sanno come si vive e te lo vogliono insegnare,
di quelli che capiscono tutto e non vedono niente, che non ti capiscono
affatto. Che non lo fanno perchè non hanno voglia di farlo...
"Ma si, morissero tutti"... E Lasci correre, lasci che quel disagio ti invada con fare crescente,
e cerchi la soluzione altrove, al di fuori. Cerchi situazioni nuove, ma
non risolvi quelle che ti hanno spinto alla fuga, verso il burrone.
E aggiungi nuove questioni alle vecchie e non sai armonizzarle... Ti distrai finchè puoi... Fino a quando ti accorgi di avere altri guai. Sembra il canale sifonale della conchiglia... Un canale lungo e contorto nel quale si ritrae il mollusco, sempre più in fondo, dentro al cono, verso il buio. Verso una solitudine triste.
Ecco che l'aggressività, qui, non è più funzionale, non è accretiva, ma distruttiva e dannosa. Qui il suo esercizio non esprime un valore, ma un capriccio di egoismo infantile: volere l'altro, occuparlo per colmare un vuoto dovuto all'assenza da sè.
Colpevolizzare
chi non vuole capire, dirlo crudele perchè non si china al tuo
piagnisteo, minacciarlo con la propria debolezza, e accusarlo di non provare emozioni.
Violenta invasione di un profugo ignavo.
E' un togliere per colmare,
non per crescere. Rubare risorse anzichè attivare le proprie, in una
deresponsabilizzazione dannosa per se stessi e per gli altri. Dove tutto
è confuso, è penombra, dove il singolo non sa più distingurere se
stesso come individuo.
Il mollusco conosce la strada, percorre il canale ritorto verso l'uscita e si muove sul fondo del mare per condurre la propria esistenza.
La vita vuole la vita.
Azzeccato, la vita vuole la vita, un concetto semplice ma, incomprensibile a volte.
RispondiEliminaComprensibile è comprensibile...Essenziale è non tornare mai sui propri passi.
EliminaLa moglie di Lot, per essersi fermata a guardare indietro, è diventata di sale....
MAI!
EliminaPerfettamente centrato....
RispondiElimina