Il Mio Blog non vuole essere un monologo, ma un invito all'incontro: pertanto sono graditi i commenti e il succedersi degli scambi che ne conseguono.
Buona lettura!

martedì 23 febbraio 2021

CON MONDO

 Oggi mi sento un po’ strana, uggiosa come questa giornata, con i pensieri che indossano l’argento del cielo e mi trascinano via in una dolce evasione.

Gennaio e l’aria frizzante, portata ad ondate da un vento impietoso. Ho le mani gelate, le apro e le chiudo più volte, con lo sguardo rivolto all’esterno.

E mi perdo nel verde brillante del giardino silente, in questa mattina tranquilla che scorre così lentamente, e i pensieri vanno e vengono, inquieti, tra gli eventi rumorosi che stanno invadendo i miei giorni.

Fili di erba, tanti da sembrare un fitto tappeto, ornati da capolini rosati, concentrati in prossimità del muretto. Come me, anche loro hanno necessità di riparo, attendono che i flebili raggi del sole rimbalzino su quei mattoncini grigiastri e donino loro una delicata carezza.

Silenzio e lentezza, le mani agganciate intorno al bicchiere bollente che profuma di tiglio e di miele.

Mi vedo così, fatta di fibra, ben radicata nel suolo, sospinta dal vento che fischia, di qua e di là, e mi lascio cullare senza timori perché là sotto la terra mi tiene. Vicino, uno stuolo di amici che, al pari di me, si tengono stretti a quel terreno bagnato di pioggia, e intrecciano legami sottili ma forti.

La luce dovunque là sopra, e qualche foglia leggera che pian piano vien giù, ondeggia con calma fino a posarsi tra noi.

Ci attraversano passi di ogni misura, pesanti e sornioni, lesti e sinuosi, di corpi che annusano l’aria e la terra, e chi ogni tanto si ferma in silenzio ed ascolta, chissà in attesa di cosa.

Gocce di umore notturno rimangono impigliate su noi la mattina e per buona parte del giorno, mentre il cielo rischiara e le nubi proseguono, ignare, i loro percorsi.

Un amico comune ci spinge, invisibile e forte, ma nemmeno la sua voce potente riesce a turbarci: noi restiamo quaggiù, esili strumenti di unione tra mondi apparentemente discosti.

La terra protegge con forza la mia posizione, e allora io danzo nel vento, in onore alla luce che mi dà nutrimento, in compagnia di quei piccoli esseri che percorrono strade invisibili vicino e sopra il mio capo.

Piccoli steli piegati dal vento, radicati nel suolo con deboli funi, irrigiditi dal gelo, gravati dall’acqua piovana, calpestati da pellegrini inattesi. Comunque infiniti, nello spazio altrettanto infinito. Separati tra loro là fuori, ma radicalmente vicini ed uniti.

Insieme: la forza nel modo.






giovedì 18 febbraio 2021

COP: La Conferenza delle Parti


 

Ma cosa si intende per COP? Io me lo sono chiesta, e credo che altri, come me, abbiano aggrottato la fronte dinanzi a questa sigla. Ho ritenuto quindi doveroso distribuire poche note in proposito.

L’acronimo sta per “Conferenza delle Parti”: l’organo direttivo di una convenzione internazionale mirata a regolamentare certe attività (es. la gestione della vendita di un certo prodotto) e a condividerne le condizioni anche tramite processi di revisione e implementazione delle normative.

Sin dagli esordi la richiesta di intervento sul cambiamento del clima ad opera della Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici (United Nations Framework Convection on Climate/UNFCC) ha invocato "responsabilità comuni ma differenziate" delle parti coinvolte, in considerazione del fatto che le economie dei paesi in via di sviluppo, a quel tempo, producevano in proporzione un quantitativo decisamente minore di inquinamento da carbonio rispetto ai paesi già avviati.

Seppure, con l’entrata in vigore del Protocollo di Kyoto, non sono stati presi provvedimenti di alcun tipo nei confronti dei paesi che hanno disatteso il rispetto dei limiti di emissione, si può dire che finalmente inizia oggi a manifestarsi una controtendenza interessante: è recente la notizia della condanna da parte del Tribunale amministrativo di Parigi nei confronti dello Stato Francese, reo di “non aver intrapreso azioni sufficienti per combattere il cambiamento climatico”, e chiamato al risarcimento simbolico di un euro da versare a ciascuna delle quattro organizzazioni che hanno intentato e vinto la causa: Oxfam France, Greenpeace, Fondazione Nicolas Hulot e Notre Affaire à Tous.

Allo Stato viene attribuita la responsabilità di “danni ecologici” a causa del mancato rispetto degli obiettivi di riduzione dei gas serra; l’accusa di illegalità diviene tanto più eclatante per via della dalla sua paradossalità: è stato infatti disatteso l’accordo (orientato a limitare il riscaldamento globale a meno di 2 gradi rispetto ai livelli preindustriali - e tenerlo preferibilmente a 1,5 gradi) sottoscritto proprio a Parigi 5 anni fa.


Lo Stato francese - secondo l'Agence France-Presse (Afp) - potrebbe essere obbligato ad agire per mezzo di sanzioni mirate a risarcire i danni ambientali, ed anche con il raggiungimento di obbiettivi da definire con scadenze temporali brevi.

Nel corso degli anni si sono susseguiti incontri, tavoli di riflessione e accordi tra vari paesi allo scopo di trovare soluzioni possibili alle gravi conseguenze dei cambiamenti del clima globale: dal Protocollo di Kyoto - in cui i paesi coinvolti sono stati autorizzati a produrre ancora emissioni, sia pure con l’onere di ridurne la quantità, e ad accrescere le proprie economie – fino all’incontro di Copenaghen del 2009 ove, per la prima volta, tutte le parti si sono concordemente impegnate a limitare le emissioni: le maggiori economie mondiali finalmente unite nell’attuare un obiettivo comune. Triste nota: il come le parti debbano attuare questo impegno è ancora oggetto di negoziati.

Ora, alla Conferenza di Parigi sul clima avvenuta a fine 2015, è stato adottato il primo accordo universale e giuridicamente vincolante sui cambiamenti climatici. E qui torniamo alla condanna dello Stato francese…

La notizia fa scalpore, perché crea IL precedente, aprendo la strada ad una responsabilizzazione forzata che lascia davvero ben sperare. Intervenire sull’omissione consente infatti di prevenire atti simili in futuro, di dare quindi credibilità agli accordi faticosamente raggiunti.

Mi limiterò a indicare qui di seguito, per dare una idea, le tappe salienti di oltre 20 anni di lotta climatica:

1995 – Accordo di Rio – Venne sancito il primo trattato Internazionale sul riscaldamento globale, che stabilisce l’impegno comune ad adeguare la temperatura planetaria alla situazione pre-industriale, al di sotto quindi di 2°C;

1997 – COP3 - approvazione del Protocollo di Kyoto: il primo trattato al mondo sulla riduzione dei gas a effetto serra e sull’impegno da parte dei paesi più sviluppati alla riduzione di emissioni di Co2, sia pure nel rispetto della differenza situazionale specifica. In questa fase gli Stati Uniti non sottoscrissero l’accordo, e il Canada se ne tirò fuori un anno prima della scadenza dei termini previsti (2011);

2007 – COP13 – a Bali è stato tracciato il percorso verso un nuovo processo di negoziazione nell’impegno comune (Bali road map): i lavori si sono susseguiti in merito alla metodologia e alle procedure di applicazione del protocollo di Kyoto, con la decisione di accelerare le trattative per una definizione di impegni vincolanti entro il 2009;

2008 – COP14 – Poznam – in Polonia si sono discussi progetti relativi agli investimenti nel trasferimento di tecnologie compatibili con l’ambiente, e alla riduzione delle emissioni di Co2; si è anche iniziato ad affrontare il tema della deforestazione e del degrado forestale. Alcuni stati, come l’Australia e la Nuova Zelanda, hanno spinto invano ad affrontare la questione del riconoscimento dei diritti delle popolazioni indigene;

2009 – COP15 – l’incontro di Copenaghen si è rivelato piuttosto deludente rispetto alle premesse: la definizione del FONDO VERDE, espressione dell’impegno finanziario comune dei paesi più industrializzati nei confronti di quelli più poveri, non è risultato vincolante né operativo, essendo venuto meno il consenso unanime;

2010 –COP16 - a Cancun, in Messico, sono state approvate misure finalizzate al supporto finanziario dei paesi meno sviluppati, ma senza l’indicazione delle modalità di recupero e gestione dei fondi. In tale sede è stata stabilita la necessità di ridurre le emissioni di gas serra dal 20 al 40% entro il 2020.  Un incontro, questo, dal successo più che altro simbolico;

2018 – COP18 – Doha ha segnato il passo: gli accordi di Kyoto sono stati procrastinati dal 2012 al 2020 (Kyoto-bis) con l’approvazione del Loss and Damage, attraverso cui, una volta per tutte, le nazioni più ricche si sono impegnate ad assumere gli oneri economici dei danni climatici subiti dalle nazioni più povere. L’impegno per il Fondo Verde ha raggiunto la capacità di 6 miliardi di dollari, esteso poi alla cifra di 10 miliardi a seguito del COP 14 di Lima (2014), dal quale è conseguita la decisione per i paesi cofirmatari di presentare all’ONU, entro il 2015, i rispettivi piani di azione per frenare le emissioni di gas serra.

2015 – COP21 – Accordo di Parigi - La tappa francese ha definito un patto climatico condiviso e sottoscritto da quasi 200 paesi, troppi per evitare la gran quantità di concessioni che lo hanno reso poco vincolante, demandandolo alla responsabilità delle parti. Non è stato conseguito alcun vero progresso sul fronte del Patto Verde e della messa al bando del carbone – in merito al quale ci si è limitati a ribadire la necessità della limitazione d’uso in tempi brevi. La preoccupante uscita degli Usa dall’accordo ad opera di Trump viene oggi contrastata dalle attuali dichiarazioni del nuovo presidente, ma nonostante l’impegno esternato dalla Cina a raggiungere la neutralità climatica (ovvero la situazione in cui la quantità delle emissioni rientrano nella capacità di assorbimento dalla Terra) entro il 2060, molti scienziati hanno provato che, se non modifichiamo l’andamento corrente, la temperatura terrestre supererà i 2°C entro il 2040, con conseguenze disastrose per tutti;

2016 – COP22 - Marrakech – sulla scia dei lavori di Parigi, ci si è sforzati di creare un sistema condiviso per giudicare l’efficacia delle politiche degli stati sul clima, in grado di misurare i tagli delle emissioni effettuati. Per la prima volta si è valorizzato il ruolo di “attori non nazionali” (regioni e città) nello sforzo che si vuole comune e capillare.

2021 – COP 26 – tutti gli occhi sono puntati sull’appuntamento di Glasgow, in cui i paesi co-firmatari sono chiamati ad adottare i piani per la transizione a zero emissioni entro il 2050. In questa prossima occasione tutti i paesi dovranno chiarire di quanto essi taglieranno le emissioni, e i negoziati saranno orientati alla realizzazione di un programma chiaro per il raggiungimento di tali obiettivi, incluso il meccanismo di sostegno finanziario nei confronti dei paesi in via di sviluppo.

Un lunga rassegna di intenti, decisioni ed accadimenti che fanno riflettere: quanto ancora dobbiamo riflettere prima di agire?

 

 https://ukcop26.org/it/notizia/

https://www.rinnovabili.it/ambiente/cop-sui-cambiamenti-climatici-la-storia-666/

https://www.rinnovabili.it/ambiente/acqua/gel-intelligente-acqua-potabile-dall-aria/

 





 


 

 

 


martedì 16 febbraio 2021

Nations United.

 


In occasione del 75° anniversario delle Nazioni Unite, e del 5° anniversario dell'adozione degli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile dell’Agenda 2030, le Nazioni Unite regalano al mondo un filmato di 30minuti diretto dal famoso regista Richard Curtis e prodotto dalla società di documentari 72 Film, un filmato a cui hanno prestato voce importanti testimonial, e che verrà trasmesso, così è indicato, su numerosi canali televisivi, stazioni radio e servizi di streaming in tutto il mondo.

L’argomento è la sostenibilità, raccontata attraverso immagini e dialoghi, attraverso un riepilogo di eventi che hanno disegnato la storia del nostro mondo, per come lo abbiamo fatto accadere e per come oggi si presenta.

Attenzione, però, il valore del documento non risiede tanto nella descrizione degli eventi riportati, ma nel messaggio che ne esce capillarmente: un messaggio di forza, di incoraggiamento; un messaggio che non si vuole di speranza, quanto piuttosto un grido di incoraggiamento che orienti il fare nella soluzione più naturale possibile, quella dell’agire comune.

La situazione pandemica attuale, legata al Covid-19, ha mostrato la fragilità dei nostri sistemi, ma anche la forza che ogni individuo ha nel sapersi adattare, reinventare, nel riuscire a sopportare difficoltà e disparità; soprattutto nella voglia e nella capacità di collaborare, di saper stringere la mano dell’altro per portarlo con sé al di fuori dal gorgo, laddove è possibile.

 Niente è impossibile finché non si inizia a farlo - la citazione da Nelson Mandela riecheggia in ogni immagine del film; la situazione attuale ci ha mostrato di nuovo la natura, la sua forza e la sua bellezza, ci ha spinti a riconoscere anche ciò che le nostre coscienze, così distratte e deiette, hanno oscurato: l’ambiente è un mondo condiviso, che richiede la cura di tutti, fragile e forte al contempo; esso ha bisogno di noi e noi di lui, perché l’ambiente SIAMO NOI.

Il cambiamento climatico è opera dell’uomo – ci viene detto in modo perentorio – e l’andamento del prossimo decennio determinerà l’esito dei prossimi 100-200 anni. E nonostante gli studi, le analisi, le conferme e i drammi, ad oggi, noi non abbiamo fatto abbastanza.

Ecco di nuovo apparire il bicchiere mezzo pieno: la crisi climatica è una opportunità. Essa è l’occasione per cercare nuove convinzioni che trovino attuazione pratica in comportamenti diversi, atti a rendere la vita e il pianeta finalmente sostenibili.

Questo filmato ci rivolge una domanda, invitandoci a porla ognuno a sé stesso: come specie, siamo in grado di lavorare insieme?

 Test ed esperimenti hanno dimostrato scientificamente che i bambini sanno farlo naturalmente, e che lo fanno se noi lo permettiamo. Importanti studiosi di ogni epoca hanno dimostrato che la cooperazione sociale e il mutuo soccorso sono condizioni essenzialmente costitutive dell’essere umano, frutto della nostra lunga - e al tempo stesso brevissima - storia evolutiva: fenomeno naturale, non originariamente culturale. Culturale è invece la povertà, lo è la diseguaglianza politica e sociale, lo è la guerra. E ciò che è culturale, prodotto dall’uomo, in quanto tale, non è inevitabile: può esser modificato E noi abbiamo il dovere di cambiare certe tendenze perché non funzionali, perché non naturali, perché distruttive.

Investire sul dialogo, sulla pace e sul rispetto dell’Altro comporta sostenibilità, comporta la gestione delle risorse in maniera utile e sana, per costruire, per migliorare - non per distruggere. Non per rovinare.

Il pensiero e la singola scelta di ognuno di noi ha ricadute su quelle di tutti, e queste sui sistemi attraverso i quali conduciamo, intrecciandole, le nostre esistenze. E’ necessario dunque pensare ed agire insieme, con determinazione comune, per attuare progetti comuni orientati alla costruzione e al mantenimento della pace, dell’uguaglianza, dello sviluppo, della giustizia: equità per la popolazione e per il pianeta.

Iniziative educative, iniziative divulgative, inviti ad agire e a comprendere: l‘esigenza del cambiamento è sotto gli occhi di tutti!

 

ACTNOW è un invito ad agire ponendo attenzione alla quotidianità più schietta: la lotta allo spreco viene rappresentata sotto forma di consigli imperativi, che vanno dal riutilizzo di oggetti che hanno espletato la loro principale funzione, al trattenersi sotto la doccia per un tempo limitato; l’impegno a utilizzare poco l’automobile, e a portare con sé una borsa quando si fanno acquisti, per evitare ulteriore dispersione di materiali in giro.

La piattaforma educativa del network “Soluzioni allo sviluppo sostenibile” - SDG Academy  - esibisce un’altra importante iniziativa volta alla educazione globale sui temi della sostenibilità, e lo fa fornendo lezioni on-line gratuite condotte da accademici ed esperti.

 Iniziative di valore che vanno conosciute, acquisite e che è doveroso contribuire a diffondere.

  Perché abbiamo necessità di cambiare modo e di farlo insieme per poter cambiare i sistemi.

 Questo è possibile, se ci consentiamo di farlo.


https://sdgacademy.org/courses/





 

 

 

 

 

 

 

 

mercoledì 10 febbraio 2021

Il viaggio Fantastico.


 "A chi crede nella necessità che l'immaginazione abbia il suo posto nell'educazione" (Gianni Rodari, Grammatica della fantasia, 1973)

 

In questi giorni una notizia si diffonde veloce di bocca in bocca, di riga in riga, suscitando stupore e allegria: nella città di Roma, sulle paline di alcune fermate di autobus, compare una colonnina colorata di rosa indicante un percorso Fantastico. Si tratta della linea 140, che percorre strade e piazze di fantasia, rimanendo attiva in orari impossibili: sono i luoghi immaginifici di un grande poeta-educatore, Gianni Rodari, di cui quest'anno ricorre il centenario della nascita. I bus della linea “Fantastica” partono dalla stazione Rodari per poi passare a Campidoglio al Pistacchio, alla Torta in Cielo, Sulla spiaggia di Ostia ed infine al capolinea; e gli orari di “prima e non ultima partenza” vengono indicati come segue:

·       Dal lunedì al venerdì, dalle 05.30 alle 25.00

·       Zab, dalle 03.80 alle 29.00

·       Fest, dalle 04.30 alle 33.30

Un tributo anonimo che fa sorridere, ci sorprende, ma al tempo stesso incarna una polemica ben nota alla romanità: il servizio dei mezzi pubblici in questa città è talmente scadente e inappropriato da essere divenuto ormai soggetto fantastico, nel senso più critico possibile. E dunque perché non indicare mete fantastiche, dove il servizio reale non potrà ovviamente mai transitare?

La situazione igienico-sanitaria che stiamo vivendo ormai da un anno ha evidenziato con prepotenza quanto già era esposto in piena luce: il famoso elefante nella stanza, oggetto così scomodo ed ingombrante che è preferibile ignorarlo.

In questi mesi difficili hanno trovato attuazione provvedimenti poco compresi, a volte poco comprensibili, impopolari e ovviamente discussi, che hanno evidenziato con conseguenze disastrose la fragilità e la fatuità del sistema economico diffuso. I media ci sottopongono casi di disastro sociale che si reiterano senza apparente requie, con persone ridotte allo stremo.

E così, nei dibattimenti improntati alla ricerca delle aree di urgente intervento, si è puntato il dito da più canali sui trasporti, l’inadeguatezza dei quali ha ormai assunto lo status di con-causa della diffusione dell'odiatissimo virus tra la gente. Senza, per altro, che venissero messi in essere provvedimenti di qualche utilità.

Le persone necessitate a fruirne hanno sperimentato l'antitesi del tanto millantato e risolutorio “distanziamento sociale”. Alcuni di loro, così una mia amica, si sono ammalate, divenendo a propria volta strumenti di contagio.

Ecco che allora un anonimo poeta - perché di poesia a mio parere si tratta - ha protestato in maniera deliziosa, diffondendo il sorriso tra la gente e riponendo le odiose bombe, silenziando le urla, rompendo lo schema dei soliti inutili slogan.

 "Tanto strepito per nulla", scriveva un altro poeta!

E sia: che le rivoluzioni nascano dalla creatività e dal sorriso, dall'immagine di un luogo favoloso sovrapposto a quello disagiato, perché il confronto chiarisca, evidenzi, e provochi la necessaria reazione. 

Perché, permettetemi, con l'educazione si ottengono i cambiamenti migliori, e in un paese che si dichiara civile questo è il meglio che si possa augurare.

 





lunedì 8 febbraio 2021

In dialogo con Valentina Dessì e Anna Piazza: la scuola aperta insegna la vivibilità urbana.

 

Sabato mattina, ore 10,30: digito sullo schermo del cellulare e in un attimo sono vis a vis con la prof.ssa Valentina Dessì e la dott.ssa Anna Piazza, specializzazione in progettazione d’ambiente. Oggetto dell’incontro: La scuola è incortile, un testo da loro redatto ad uso gratuito che circola in rete a fini divulgativi, che ha restituito già molto interesse e feedback positivi. 

Il momento è stato di aiuto, ci dicono le autrici: stiamo vivendo un periodo storico in cui molte scuole si trovano ad adottare forme di didattica all’aperto, e la sperimentazione – per molte scuole lo è – di questo sistema ha portato in evidenza la necessità di riflettere sulla configurazione dello spazio per la didattica all’esterno. 

Nel fare, moltissimi insegnanti concordano nel riconoscere l’esigenza, rivelatasi fondamentale, di colmare una carenza strutturale: la scoperta dell’esterno ai fini dell’apprendimento pone in risalto la mancanza di strutture e strumentazioni adeguate. Lo spazio va ripensato e riorganizzato in un nuova prospettiva.

 Dessì ci racconta con entusiasmo della recente convenzione stipulata con una rete nazionale di scuole all’aperto, su Bologna, orientata proprio su questi temi. L’architettura e la progettazione d’ambiente entrano finalmente nelle scuole perché la configurazione dello spazio vede riconosciuta la sua funzione strategica. 

Oggi, sull’esempio di quanto accade più a nord, diverse scuole italiane si aprono a questi modi, sia pure senza pensarli fino in fondo, sia pure frenate da timori legati alla tradizione, alla burocrazia e a temi legati alla scurezza.

 Un processo di riscoperta certamente agevolato dalla situazione di emergenza igienico-sanitaria che stiamo vivendo oggi, in cui la diffusione del virus covid-19 spinge a rifuggire la permanenza prorogata in ambienti chiusi e ad attuare dinamiche di distanziamento sociale - che ben si sposano con le attività negli spazi aperti, soprattutto legate alla didattica.

 Un processo comunque già avviato nel nostro paese, non solo nelle cosiddette scuole di metodo, ma anche in piccole realtà in cui prevale, diciamolo, l’iniziativa personale del corpo insegnante. Dessì ci racconta come sia difficile a volte far decollare questi progetti a causa dei timori dovuti al retaggio culturale delle famiglie e dei dirigenti scolastici, spesso frenati dall’incapacità o volontà di assumere determinate responsabilità – per nulla scontate – o dalla mancanza di strumentazione appropriata.

Vero è che, ad oggi, sono sempre più evidenti fenomeni di apertura, sia pure parziale, ad un avvicinamento a metodiche di apprendimento all’aperto, ove possibile, con la realizzazione e gestione di orti nei cortili delle scuole; un segnale importante del cambiamento dei tempi e della crescente sensibilizzazione verso due questioni importanti: la consapevolezza acquisita che all’esterno tutto è apprendimento, dove aumentano il numero e la qualità degli stimoli per i discenti come anche per i docenti, che si sentono spronati ad attingere a forme diverse di didattica e a scoprirne i vantaggi; e all’importanza di diffondere tra i giovani una coscienza sui temi dello sviluppo sostenibile attraverso l’osservazione esperienziale diretta.

 La comprensione della diversità che esiste tra i nostri e i ritmi della natura si fa condizione sostanziale perché ne nasca un rispetto fondato.

Se è vero dunque che lo stato siddetto pandemico che stiamo vivendo ha spalancato le porte della riflessione in questa direzione, sappiamo bene che in America e nel nord dell’Europa, molte scuole svolgono normalmente giornate di aula all’aperto, nei boschi e a contatto con la natura; in Svezia sono addirittura attivi corsi universitari e dottorati di ricerca sui temi della didattica all’aperto… Situazioni che fungono da exempla anche per la nostra nazione, un po’ lenta nella ricezione, ma impossibilitata ad ignorane i vantaggi.

 Molti studi scientifici attestano e certificano il guadagno in termini di apprendimento e di acquisizione di capacità da parte dei discenti e dello stesso corpo insegnante, spinto ad una operatività esperienziale, alle prese con quantità e qualità di strumenti che favoriscono la scoperta di modalità di gestione a volte più efficaci di quelle tradizionalmente adottate in situazioni e problematiche complesse.

Da dove partire, quindi, nella progettazione degli spazi finalizzati alla realizzazione di una scuola all’aperto?

 La risposta, stranamente, non sorprende e conforta: dall’osservazione e dall’ascolto, soprattutto dalla conoscenza di un potenziale da riconoscere e valorizzare. Come in ogni processo di risoluzione di problemi – o di attivazione di strategie – la parola magica riconduce all’espressione Ascolto Attivo: “noi siamo entrate nella scuola e abbiamo registrato le esigenze dei fruitori attraverso la somministrazione di questionari, di interviste, e l’osservazione di comportamenti. Abbiamo parlato con gli insegnanti e con i bambini afferenti a diverse fasce di età, e le risposte sono state sorprendenti!”. 

Uno sguardo attento alla realtà dell’ambiente scolastico corredato da un orecchio attivo ha evidenziato esigenze, timori, desideri e diposizioni da parte di chi, coinvolto, si è mostrato proattivo ed entusiasticamente disponibile alla collaborazione, attori fondamentali per l’attuazione di quel processo di svelamento del potenziale e delle risorse che un progettista è chiamato a mettere in azione. 

Svelamento della forza di un luogo, rispettoso riconoscimento del preesistente in direzione della sua valorizzazione: un processo complesso che richiede attenzione massima su tanti livelli, da quello strutturale a quello psicologico. L’obbiettivo principe è quello di creare le condizioni di confort che consentano al fruitore dello spazio di identificarsi con esso, di amarlo e di sentirlo proprio. Ne deriverà l’esigenza di proteggerlo e di contribuire a curarlo e migliorarlo, vivendolo e con-vivendolo.

La scuola all’aperto, e in particolare l’aula all’aperto, sposa la bioclimatica, ossia la progettazione che considera flussi immateriali di energia come elementi fondanti, ma considera anche i flussi materiali, in un’ottica di gestione, recupero e riutilizzo delle risorse, per migliorare la resilienza ambientale.

Oggi, sempre più spesso, viviamo fenomeni atmosferici preoccupanti dovuti al tanto discusso cambiamento climatico in atto: le cosiddette bombe d’acqua, ad esempio, fenomeni di pioggia intensa concentrati in tempi brevi, possono provocare danni enormi, ma possono costituire anche importante fonte di risorse se gestite attraverso strategie funzionali. 

La città di Amsterdam, in maniera esemplare, ha adottato provvedimenti atti al recupero delle acque piovane ai fini del loro riutilizzo urbano. Anche in Italia iniziano ad apparire fenomeni come i rain-garden per le strade, aree verdi in grado di assorbire buona parte dell’acqua piovana e di rilasciarla gradualmente nel terreno.

L’atto di costruzione, insomma, deve impattare il territorio in maniera funzionale ed utile, secondo un approccio rigenerativo che si fa scuola, attraverso la sua epifania. L’aula trasmigra dunque all’esterno, in uno spazio finalmente unico che è lo spazio urbano, l’area di quartiere, in cui tutti i cittadini - individui specifici con specifiche esigenze e propensioni- apportano valore e significato, contribuendo dunque a rafforzare un processo d’identificazione e riconoscimento della cosiddetta identità urbana.

 

E se tante volte è stato detto che un sistema lo si può comprendere e modificare solo tramite l’osservazione esterna, lo stesso mondo scolastico può conseguire vantaggio da una estroflessione istituzionalizzata.

Lo sanno bene le amministrazioni di Torino e Bolzano, che attraverso la stipula di accordi e convenzioni con enti, hanno portato la società nelle scuole, aprendo i cancelli delle stesse ad un certo punto della giornata, garantendo ordine e pulizia, e favorendo lo scambio, l’incontro, e la possibilità di vivere la città in maniera flessibile e trasversale. 

Ecco che la scuola espande il proprio ruolo, insegnando ai cittadini tutti la vivibilità all’interno del quartiere.

Questo tipo di esperienze, incoraggiate dai molti accordi e progetti finanziati dall’Unione Europea, agevolano quel processo di cambiamento che poggia sulla sensibilizzazione verso una modalità di esistenza che include l’ambiente, riconoscendolo parte costitutiva del sé.

 I dati son certi: oggi le città più funzionali sono quelle con spazi pubblici curati, che invitano le persone ad uscire di casa e vivervi il proprio tempo: con-vivere lo spazio urbano garantisce una socialità funzionale che si fa collaborazione e diviene facilmente cittadinanza attiva.

 Le scuole, principalmente le scuole primarie che si prendono cura della formazione dei piccolissimi, hanno un ruolo importante in tal senso, una responsabilità alla quale deve essere loro impossibile sottrarsi. Per far questo è necessario il coinvolgimento delle famiglie, degli insegnanti, e dei dirigenti scolastici. 

E’ necessario che la comprensione della sostenibilità ambientale arrivi ai piccoli attraverso i grandi, e che questi si facciano volano perché il messaggio passi attraverso le istituzioni.

 

La scuola è in cortile è scaricabile ai seguenti link:

https://urbannarraction.net/

https://www.ambientescuola.polimi.it/





 

martedì 2 febbraio 2021

Incastriamo la plastica

 

 

Oggi ormai lo sanno tutti: la plastica, rilasciata nell’ambiente, inquina. 

E siccome la plastica moderna è composta prevalentemente da film sottili, quando questi sono esposti all’ambiente e si sciolgono, si degradano facilmente frammentandosi in particelle sempre più piccole, le cosiddette microplastiche.

 Queste piccole unità invadono la terra e i mari, finiscono nei cibi di cui ci nutriamo - noi e gli altri viventi -impattando in maniera terribilmente dannosa su tutto il nostro mondo. E purtroppo sembra che gli esseri umani buttino – distribuendola nell’ambiente – più plastica di qualsiasi altro materiale, tanto che i nostri mari e i nostri oceani, oggi, costituiscono un serbatoio del circa il 90% di rifiuti plastici prodotti dall’uomo.

Oramai la coscienza della crisi climatica e della necessità che ha il nostro mondo di essere curato - soprattutto da parte di chi lo ha sconsideratamente danneggiato - è sempre più diffusa, tanto che iniziano a verificarsi interventi interessanti in tale direzione. 

Accanto a chi invita all’utilizzo di materiali diversi e meno inquinanti, come ad esempio le stoviglie usa e getta fatte di foglie o oggetti fatti di materiali naturali, c’è chi riflette su come riutilizzare ciò che non dovremmo disperdere. “Imprigionare la plastica così come fanno gli alberi con la Co2” è il grido di battaglia della società produttrice di ecobriks: non disperdere, quindi, ma bloccare e riutilizzare quanto non è più utile ad uno scopo.

 In Argentina, il CONICET (comitato nazionale della ricerca scientifica) ha trovato il modo di realizzare mattoni a impatto minimo, comprimendo plastiche usate di scarto, con il vantaggio di realizzare strumenti più leggeri rispetto ai mattoni tradizionali, più isolanti - la plastica è isolante a livello termo-acustico -, più economici, e senza dover ricorrere a processi tossici di produzione (non servono collanti, perché vengono modellanti solo con l’ausilio di acqua calda).

 La Nuova Zelanda, sulla scia, ha aggirato il limite della deformabilità degli stessi, utilizzandoli come materiale isolante da inserire nelle mura di ambienti, senza tener in conto che la flessibilità sostanziale di questi materiali si presta bene in zone sismiche.

In Olanda, si stanno realizzando addirittura progetti di costruzione di strade: la plastica viene ridotta a parti modulari combinabili, anche in vari colori, per non far torto agli esteti, consentendo la rapidità di intervento sostitutivo e di gestione della manutenzione. Questo manto stradale sarebbe anche capace di resistere a temperature che variano dai -40 agli 80 gradi centigradi! Tra i punti deboli la capacità di aderenza degli pneumatici di mezzi pesanti, ma ci si sta lavorando. 

D’altronde, è noto: non c’è rosa senza spine… 

Il mondo della moda non poteva esser da meno, e grandi marchi si sono inseriti nel discorso in pompa magna: Adidas promuove un progetto di recupero delle plastiche ripescate nei mari delle Maldive, e convertendole in una sostanza simile al nylon, detta ECONYL, ha gloriosamente immesso nel mercato una linea di scarpe da ginnastica e costumi da bagno. La dichiarazione di intenti è quella comunque di eliminare la plastica vergine dall’intero processo di produzione e distribuzione, sostituendola con materiale riciclato.

 La segue la californiana Bureo, che con il nylon delle reti da pesca recuperato dalle acque sta realizzando giacche tecniche per sportivi di free climbing, occhiali e skate: ecologia e benessere a tutto campo! 

E le scuole cosa fanno? I nostri istituti contribuiscono finalmente alla formazione di coscienze ambientali nei futuri adulti, scontrandosi a volte con la cultura viziata di chi, la nuova cultura, è chiamato a trasmetterla. Un processo lento, come ogni processo evolutivo che si rispetti, d’altronde.

La plastica entra così anche nelle scuole, e vi rimane imprigionata, in un circuito virtuoso di riutilizzo creativo a impatto zero. Avete presente i lego, quei mattoncini colorati che hanno accompagnato i giochi di infanzia di molte generazioni?

 Bene, prendiamo delle bottiglie di plastica usate, riempiamole di altre plastiche di scarto e compattiamo tutto ben bene fino a farne dei mattoncinimulticolori di materiale utile. Con queste unità è possibile creare sedili, muretti, fioriere, oggetti di vario tipo: colorati, allegri ed ecologici. 

Ecco che il nemico si è fatto amico: è una questione di prospettiva! E’ forse questo l’insegnamento migliore che ne riceviamo: il nostro benessere dipende da noi, da come osserviamo, trasformiamo e utilizziamo le risorse disponibili.





 

 

 

lunedì 1 febbraio 2021

ROSSO PUNGENTE

 Da qualche tempo io vivo in campagna, in un luogo in cui gli alberi se ne stanno felicemente piantati al suolo, con tanto spazio a disposizione di sopra e di sotto. 

La mattina esco di casa e mi godo i colori dell'alba sparsi per l'orizzonte; non ci sono murate di palazzi a nasconderlo, solo case sparse qua e là. La notte sento le fronde cantare, in sintonia con la forza del vento, che cambia ogni istante, e nella tranquillità ovattata arrivano suoni che non conoscevo, la voce di uccelli solitari o in reciproco scambio. 

Così, quando posso, infilo gli scarponi e via, libertà di pensiero tra i campi e piacere per tutti i sensi.
Mi lascio guidare dagli aromi erbacei che sono sparsi, a macchie, nell'aria frizzante del mattino, sedotta dalla vastità del cielo, a volte limpido e a volte ornato da soffici nuvole. 

Tutto si sposta in fretta lassù, a differenza di quanto avviene nel suolo, a dispetto della mia coscienza. Qui i cambiamenti sono così diluiti nel tempo che quando muta la scena non fa che sorprenderti. 
Di colpo l'estate e ora, di nuovo, l'inverno. 

I biologi dicono che è questo il motivo per cui non diamo peso alla crisi climatica: avviene in maniera strisciante, con ritmi che non percepiamo, e poi, però, si mostra in tutta evidenza attraverso le catastrofi di cui ormai già sappiamo.

A me piacciono i campi, d'estate e d'inverno, quando brulicano di vita ronzante e di movimenti rapidi, e quando sono silenti, in un manto serio e composto.
Io cammino tra cardi spinosi, cresciuti in altezza o aderenti al terreno, allargati a coprire quanto più suolo possibile con quella forma a raggiera, dalle tinte varie di verde e di rosso. Mi muovo veloce, inzuppando pian piano le vesti di brina, e guardando curiosa il terreno: tante forme diverse, e i colori, e timidi fiori qua e là. 

È inverno, ma scorgo già margherite minute, dal gambo corto, sparse su quel panno verde che fa da sfondo regale.
Le pratoline... Ma non escono a marzo? Vado avanti, evitando i piccoli gusci di funghi neonati che sbucano, impertinenti, dal suolo: cupolette compatte  dalle tinte discrete. Son grigi e sono di color nocciola. 

Ripenso alle lezioni studiate, in cui si racconta che il fungo è la sotto, nella terra, dove filamenti diffusi per metri e metri di spazio si incontrano e si trovano... Un mondo nel mondo, di cui la maggior parte di noi nemmeno si accorge. E pensare che cerchiamo la vita in altri pianeti, nel lontano universo in cui galleggiamo.

Cammino e rifletto, con l'aria fredda che entra nel naso e mi gela la fronte, mentre il rosso nel cielo si espande e schiarisce pian piano il mondo in cui vivo. Da qui ogni giornata è un miracolo che dona emozione.

A passo svelto procedo, la brina ormai dentro le scarpe, sento i calzini fastidiosamente bagnati e penso alle rane, che stanno sempre nell'acqua: flessuose creature dai movimenti lunghi e scattanti. Così mi cimento nel salto anche io, ridendo, provando a imitarne lo strano verso, che ricorda una mano che stropiccia un palloncino gonfiato. 
Mi riesce male, però.

Infine lo vedo: in terra, tre piccoli fogli di tessuto leggero si chiudono in un cerchio scomposto dal colore brillante. La fragilità eterea di un fiore che d'estate infuoca ovunque la terra.. Un papavero aperto è lì, davanti ai miei occhi.

Ora sono davvero smarrita. Mi tornano in mente le lezioni sul sublime di Kant: lo vivo, quello spaesamento improvviso, il senso di caos che ti sprofonda la mente.
Una distonia che rammenta l'incontenibilità della vita: tutto cambia e tutto sorprende.
Movimento, come i passi che vanno su questo molle terreno bagnato; come gli storni che  giocano al di sopra di me, componendo forme che mutano in fretta.

Ma un papavero in fiore, a dicembre, lascia troppi pensieri.

Provo un  certo disagio, una strana tensione che contrasta il piacere del sole sul viso.
 Qualcosa non va.
In testa documentari già visti, allerte sentite, parole e parole che oggi tornano vive, attivate dal rosso pungente di un fragile fiore che è qui, e che invece dovrebbe essere altrove.