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lunedì 8 febbraio 2021

In dialogo con Valentina Dessì e Anna Piazza: la scuola aperta insegna la vivibilità urbana.

 

Sabato mattina, ore 10,30: digito sullo schermo del cellulare e in un attimo sono vis a vis con la prof.ssa Valentina Dessì e la dott.ssa Anna Piazza, specializzazione in progettazione d’ambiente. Oggetto dell’incontro: La scuola è incortile, un testo da loro redatto ad uso gratuito che circola in rete a fini divulgativi, che ha restituito già molto interesse e feedback positivi. 

Il momento è stato di aiuto, ci dicono le autrici: stiamo vivendo un periodo storico in cui molte scuole si trovano ad adottare forme di didattica all’aperto, e la sperimentazione – per molte scuole lo è – di questo sistema ha portato in evidenza la necessità di riflettere sulla configurazione dello spazio per la didattica all’esterno. 

Nel fare, moltissimi insegnanti concordano nel riconoscere l’esigenza, rivelatasi fondamentale, di colmare una carenza strutturale: la scoperta dell’esterno ai fini dell’apprendimento pone in risalto la mancanza di strutture e strumentazioni adeguate. Lo spazio va ripensato e riorganizzato in un nuova prospettiva.

 Dessì ci racconta con entusiasmo della recente convenzione stipulata con una rete nazionale di scuole all’aperto, su Bologna, orientata proprio su questi temi. L’architettura e la progettazione d’ambiente entrano finalmente nelle scuole perché la configurazione dello spazio vede riconosciuta la sua funzione strategica. 

Oggi, sull’esempio di quanto accade più a nord, diverse scuole italiane si aprono a questi modi, sia pure senza pensarli fino in fondo, sia pure frenate da timori legati alla tradizione, alla burocrazia e a temi legati alla scurezza.

 Un processo di riscoperta certamente agevolato dalla situazione di emergenza igienico-sanitaria che stiamo vivendo oggi, in cui la diffusione del virus covid-19 spinge a rifuggire la permanenza prorogata in ambienti chiusi e ad attuare dinamiche di distanziamento sociale - che ben si sposano con le attività negli spazi aperti, soprattutto legate alla didattica.

 Un processo comunque già avviato nel nostro paese, non solo nelle cosiddette scuole di metodo, ma anche in piccole realtà in cui prevale, diciamolo, l’iniziativa personale del corpo insegnante. Dessì ci racconta come sia difficile a volte far decollare questi progetti a causa dei timori dovuti al retaggio culturale delle famiglie e dei dirigenti scolastici, spesso frenati dall’incapacità o volontà di assumere determinate responsabilità – per nulla scontate – o dalla mancanza di strumentazione appropriata.

Vero è che, ad oggi, sono sempre più evidenti fenomeni di apertura, sia pure parziale, ad un avvicinamento a metodiche di apprendimento all’aperto, ove possibile, con la realizzazione e gestione di orti nei cortili delle scuole; un segnale importante del cambiamento dei tempi e della crescente sensibilizzazione verso due questioni importanti: la consapevolezza acquisita che all’esterno tutto è apprendimento, dove aumentano il numero e la qualità degli stimoli per i discenti come anche per i docenti, che si sentono spronati ad attingere a forme diverse di didattica e a scoprirne i vantaggi; e all’importanza di diffondere tra i giovani una coscienza sui temi dello sviluppo sostenibile attraverso l’osservazione esperienziale diretta.

 La comprensione della diversità che esiste tra i nostri e i ritmi della natura si fa condizione sostanziale perché ne nasca un rispetto fondato.

Se è vero dunque che lo stato siddetto pandemico che stiamo vivendo ha spalancato le porte della riflessione in questa direzione, sappiamo bene che in America e nel nord dell’Europa, molte scuole svolgono normalmente giornate di aula all’aperto, nei boschi e a contatto con la natura; in Svezia sono addirittura attivi corsi universitari e dottorati di ricerca sui temi della didattica all’aperto… Situazioni che fungono da exempla anche per la nostra nazione, un po’ lenta nella ricezione, ma impossibilitata ad ignorane i vantaggi.

 Molti studi scientifici attestano e certificano il guadagno in termini di apprendimento e di acquisizione di capacità da parte dei discenti e dello stesso corpo insegnante, spinto ad una operatività esperienziale, alle prese con quantità e qualità di strumenti che favoriscono la scoperta di modalità di gestione a volte più efficaci di quelle tradizionalmente adottate in situazioni e problematiche complesse.

Da dove partire, quindi, nella progettazione degli spazi finalizzati alla realizzazione di una scuola all’aperto?

 La risposta, stranamente, non sorprende e conforta: dall’osservazione e dall’ascolto, soprattutto dalla conoscenza di un potenziale da riconoscere e valorizzare. Come in ogni processo di risoluzione di problemi – o di attivazione di strategie – la parola magica riconduce all’espressione Ascolto Attivo: “noi siamo entrate nella scuola e abbiamo registrato le esigenze dei fruitori attraverso la somministrazione di questionari, di interviste, e l’osservazione di comportamenti. Abbiamo parlato con gli insegnanti e con i bambini afferenti a diverse fasce di età, e le risposte sono state sorprendenti!”. 

Uno sguardo attento alla realtà dell’ambiente scolastico corredato da un orecchio attivo ha evidenziato esigenze, timori, desideri e diposizioni da parte di chi, coinvolto, si è mostrato proattivo ed entusiasticamente disponibile alla collaborazione, attori fondamentali per l’attuazione di quel processo di svelamento del potenziale e delle risorse che un progettista è chiamato a mettere in azione. 

Svelamento della forza di un luogo, rispettoso riconoscimento del preesistente in direzione della sua valorizzazione: un processo complesso che richiede attenzione massima su tanti livelli, da quello strutturale a quello psicologico. L’obbiettivo principe è quello di creare le condizioni di confort che consentano al fruitore dello spazio di identificarsi con esso, di amarlo e di sentirlo proprio. Ne deriverà l’esigenza di proteggerlo e di contribuire a curarlo e migliorarlo, vivendolo e con-vivendolo.

La scuola all’aperto, e in particolare l’aula all’aperto, sposa la bioclimatica, ossia la progettazione che considera flussi immateriali di energia come elementi fondanti, ma considera anche i flussi materiali, in un’ottica di gestione, recupero e riutilizzo delle risorse, per migliorare la resilienza ambientale.

Oggi, sempre più spesso, viviamo fenomeni atmosferici preoccupanti dovuti al tanto discusso cambiamento climatico in atto: le cosiddette bombe d’acqua, ad esempio, fenomeni di pioggia intensa concentrati in tempi brevi, possono provocare danni enormi, ma possono costituire anche importante fonte di risorse se gestite attraverso strategie funzionali. 

La città di Amsterdam, in maniera esemplare, ha adottato provvedimenti atti al recupero delle acque piovane ai fini del loro riutilizzo urbano. Anche in Italia iniziano ad apparire fenomeni come i rain-garden per le strade, aree verdi in grado di assorbire buona parte dell’acqua piovana e di rilasciarla gradualmente nel terreno.

L’atto di costruzione, insomma, deve impattare il territorio in maniera funzionale ed utile, secondo un approccio rigenerativo che si fa scuola, attraverso la sua epifania. L’aula trasmigra dunque all’esterno, in uno spazio finalmente unico che è lo spazio urbano, l’area di quartiere, in cui tutti i cittadini - individui specifici con specifiche esigenze e propensioni- apportano valore e significato, contribuendo dunque a rafforzare un processo d’identificazione e riconoscimento della cosiddetta identità urbana.

 

E se tante volte è stato detto che un sistema lo si può comprendere e modificare solo tramite l’osservazione esterna, lo stesso mondo scolastico può conseguire vantaggio da una estroflessione istituzionalizzata.

Lo sanno bene le amministrazioni di Torino e Bolzano, che attraverso la stipula di accordi e convenzioni con enti, hanno portato la società nelle scuole, aprendo i cancelli delle stesse ad un certo punto della giornata, garantendo ordine e pulizia, e favorendo lo scambio, l’incontro, e la possibilità di vivere la città in maniera flessibile e trasversale. 

Ecco che la scuola espande il proprio ruolo, insegnando ai cittadini tutti la vivibilità all’interno del quartiere.

Questo tipo di esperienze, incoraggiate dai molti accordi e progetti finanziati dall’Unione Europea, agevolano quel processo di cambiamento che poggia sulla sensibilizzazione verso una modalità di esistenza che include l’ambiente, riconoscendolo parte costitutiva del sé.

 I dati son certi: oggi le città più funzionali sono quelle con spazi pubblici curati, che invitano le persone ad uscire di casa e vivervi il proprio tempo: con-vivere lo spazio urbano garantisce una socialità funzionale che si fa collaborazione e diviene facilmente cittadinanza attiva.

 Le scuole, principalmente le scuole primarie che si prendono cura della formazione dei piccolissimi, hanno un ruolo importante in tal senso, una responsabilità alla quale deve essere loro impossibile sottrarsi. Per far questo è necessario il coinvolgimento delle famiglie, degli insegnanti, e dei dirigenti scolastici. 

E’ necessario che la comprensione della sostenibilità ambientale arrivi ai piccoli attraverso i grandi, e che questi si facciano volano perché il messaggio passi attraverso le istituzioni.

 

La scuola è in cortile è scaricabile ai seguenti link:

https://urbannarraction.net/

https://www.ambientescuola.polimi.it/





 

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