Il Mio Blog non vuole essere un monologo, ma un invito all'incontro: pertanto sono graditi i commenti e il succedersi degli scambi che ne conseguono.
Buona lettura!

domenica 17 gennaio 2021

La scuola è in cortile.

 


Una persona interessante mi ha inviato un input interessante e quindi, ritendendo il tema di pubblico interesse, ho deciso di interessarne questa sezione.

Calembour a parte, è con piacere che apro una parentesi su un piccolo libro che circola gratuitamente in rete, redatto da un’architetta sensibile all’ambiente, sensibile soprattutto a ciò che è connesso alla educazione in relazione con il suo mondo professionale - che è quello, appunto, dell’architettura e della progettazione degli ambienti.

 

LA SCUOLA È IN CORTILE  è un breve testo corredato di immagini e progetti – risultanti anche dall’impegno di Anna Piazza, in occasione della redazione della propria tesi di laurea (Dessì è professore associato al Politecnico di Milano) – che pone l’indice sull’importanza della valorizzazione degli ambienti esterni nelle scuole, soprattutto in quelle destinate a bimbi in più tenera età.

 Bella scoperta, direte voi, già da un paio di secoli i pedagogisti – solo alcuni, in realtà - alzavano le mani al cielo inneggiando al valore della natura come contesto pedagogico!

Nel 1900 si diffuse infatti il filone delle cosiddette “scuole attive”, in risposta agli educatori de “le scuole nuove” europee e americane di fine 800, che guardavano agli istituti come luoghi di formazione della personalità autonoma dell’allievo in vista della formazione della futura classe dirigente. Questo nuovo approccio (nuovo rispetto ad un orizzonte culturale precedente che individuava negli istituti educativi  meri ambienti igienico-sanitari) si poneva in contrasto con la tradizionale idea della scuola come luogo di trasmissione oggettiva del sapere dall’insegnante al discente. Il mondo stava cambiando, come ben si evince dalla posizione di avanguardia dell’Inghilterra, parecchio avanti nella corsa allo sviluppo economico e sociale, e quindi più attenta al rapporto educazione-sviluppo (economico) sociale.

Nel 900 quindi, personaggi ben noti come Montessori, Agassi, Bruner, Mead etc.  andarono oltre, verso la persona, sviluppando metodologie di formazione rivolte a provocare lo sviluppo dell’individuo creativo e autonomo, consapevole dell’ambiente in cui vive e capace di utilizzarlo nel rispetto di sé e della società in cui vivere.

A Reggio Emilia, negli anni 60, grazie ai fondi ricavati dalla vendita di carri armati, camion e cavalli abbandonati dai tedeschi in fuga, sorsero i primi asili nido comunali, e vennero diretti per oltre 10 anni dal maestro Loris Malaguzzi, il fondatore di quel metodo oggi noto come il Reggio-Approach. Qui si postulava il valore dell’interazione del bambino con l’ambiente circostante verso la trasformazione attiva degli eventi attraverso processi di auto e co-apprendimento con i coetanei. In queste scuole il bambino assurse finalmente al protagonismo nel proprio agire attraverso ambienti-laboratori esperienziali aperti alla natura, all’esterno e al sociale (i cosiddetti atelier) in cui sperimentare linguaggi di espressione diversi per imparare sé e sé nel mondo.

Ancora, le sorelle Agazzi, Carolina e Rosa, fondarono scuole nelle quali i bambini venivano spronati ad esplorare l’ambiente, a raccogliere elementi sparsi da conservare (il cosiddetto “museo naturale”) per esercitarsi ad un uso proprio – o improprio – degli stessi, in contesto altro. La centralità del tema ambientale, del rapporto armonico del bambino con esso, e la stimolazione dell’azione creativa, segnano un passo ulteriore nella riscoperta ecologica di un processo educativo che non si vuole più mera istruzione (conoscenza tecnico-tematica) ma educazione formativa mirata allo sviluppo della persona.

Purtroppo, a volte accade che importanti conquiste dell’umanità finiscono in ombra per una serie di ragioni legate alla burocrazia, alla ignoranza degli operatori, alla mancanza di responsabilità da parte di decisori, alla sgradita inefficienza… e questo è quanto è accaduto anche nell’orizzonte italiano della scuola.

 

Dessì, nel suo pamphlet, riprende questi temi dando loro una voce attiva attraverso la progettazione ambientale: un dono alla comunità per riflettere su un sistema di educazione che ha fatto epoca e che ha ancora molto da dare. L’autrice va anche oltre: lo spazio educativo diviene lo spazio urbano, espandendosi in esso fino ad identificarsene, aprendo occasioni di rete di incontri e di cittadinanza attiva.

Nelle grandi città le scuole si sono ritirate dallo spazio esterno e hanno limitato i loro cortili – ove presenti – ad un utilizzo minimo, a spazio ricreativo e al doposcuola. 

Questo limite deve essere superato: le scuole dovrebbero aprirsi alla città e al sociale, rendendo possibile gli incontri, le interazioni e lo sguardo reciproco.

 Il cortile dovrebbe essere luogo educativo sociale, in cui sperimentare il mondo nelle sue espressioni, apprendere i cicli naturali, mettere in atto un’economia circolare volta alla riutilizzazione di materiali di scarto in direzione di una utilità impensata. 

Attraverso la riorganizzazione del cortile Dessì apre un nuovo spazio materiale (fisico) e immateriale (educativo e sociale) che si fa occasione di scambio, di azione creativa e di ripensamento dell’ambiente urbanistico. Attraverso di esso - appositamente ripensato e strutturato – l’ambiente si fa “terzo educatore”, come si esprimeva Malaguzzi, rovesciando una visione della scuola che aveva puntato esclusivamente sulla figura degli alunni, degli insegnanti e delle parole.

 Nasce adesso la ricerca dello spazio per la realizzazione di luoghi di lettura, di osservazione e scoperta, di sperimentazione e, soprattutto, di incontro. Di incontro con ciò che è sempre rimasto oltre il cancello della scuola, e che invece deve farne inevitabilmente parte.

 L’esterno e l’interno non sono più dunque separati, ma parti diverse di uno stesso luogo, in cui maestri e allievi si sforzano attivamente di dare a se stessi e agli altri quella ricchezza che è nel potenziale di tutti, e insieme si aiutano reciprocamente a nutrirlo e distribuirlo.






 

domenica 3 gennaio 2021

PERCHE' GLI ALBERI

 Plant for the Planet è una associazione che nasce con lo scopo di sensibilizzare le persone sui problemi indotti al nostro pianeta dalla crisi climatica. Con tale espressione si indica la situazione stressante nella quale la nostra Terra è stata indotta da comportamenti irresponsabili ad opera degli inquilini-uomini che, per rincorrere e nutrire un senso forzato di progresso - inteso come crescita continua di consumi e produzione - spinge gli stessi a sfruttare le risorse disponibili oltre il limite del possibile, in senso fattivo e in senso etico.

Mancuso, scienziato di fama mondiale, nelle sue interviste, ribadisce con insistenza che "crisi climatica" è l'espressione corretta da utilizzare, a dispetto del tono più mite che trapela in "cambiamento climatico": definizione che illude sulla transitorietà e normalità dell'attuale condizione.
 In Il pianeta mangiato  Mauro Balboni ci racconta con incisiva semplicità quanto oltre ci siamo spinti: consumiamo ciò che non è più disponibile, al punto da arrivare a spostare risorse ormai dilaniate da zone estremamente distanti del globo allo scopo di continuare a produrre merci per la quali non si dispongono più risorse essenziali.

Siamo in un loop idiota (dal greco idion, ossia chiuso in se stesso, isolato nel proprio mondo) che non ha futuro, per il semplice fatto che non ha più presente.
Così PftP si muove nel mondo con una missione specifica - piantare alberi - che fa da ponte al raggiungimento del fine descritto. 

Ma come ci siamo arrivati, e perché?

Gli alberi producono ossigeno, ossia l'elemento necessario alla vita sul nostro pianeta. E gli alberi assorbono anidride carbonica, un gas di scarto che ostacola la vita sulla terra.
Ora, il portamento scriteriato dell'umanità nell'ambiente che, suo malgrado, la accoglie ha causato l'emissione di tale sostanza in quantità non più sostenibile per lo stesso, tanto da saturarne la naturale capacità di assorbimento. 
Questo accumulo di veleno vanta la paternità di molti problemi, tra i quali primeggia, indiscussa, la questione del riscaldamento globale. 

Si dice addirittura che negli ultimi 120 anni, la quantità di anidride carbonica nell'atmosfera abbia raggiunto una concentrazione che in passato ha richiesto tempi di accumulo tra i 5.000 e i 20.000 anni; si dice anche che l'uomo riesce a produrre una quantità di CO2 100 volte maggiore di tutti i vulcani attivi sulla Terra.

Si è studiato che una presenza eccessiva di tale gas comporta un'alterazione della struttura stessa delle foglie e del loro tessuto, inibendone la corretta operazione assorbente (processo detto di Carbon Sink) con conseguente difficoltà dell'attività fotosintetica.

Attualmente, nella University of Illinois, è in corso un inquietante esperimento finalizzato a far produrre alle piante il 40% in più di ossigeno. Questo attraverso processi di modificazione genetica - trovata dalle importanti ricadute commerciali (sarebbero piante maggiormente produttive) che rende altamente probabile il sostegno necessario ad un sicuro sviluppo.

Siamo qui dinanzi all'ennesima evidenza della testarda cecità in cui viviamo e della pigrizia criminale che ci caratterizza: dovremmo imparare a non depredare l'ambiente e ad utilizzarlo con responsabilità e sostenibilità, in contrasto con le smisurate pulsioni indotte  da un modo insano di fare commercio.

  É ormai ovvia l'urgenza di una eco-cultura, di una educazione alla conoscenza e al rispetto dell'ambiente, da noi ridotto a mero strumento di produzione. Siamo sedotti dalla narrativa sleale dell'agro-industria, che ci spinge a produrre con lo scopo dichiarato di sanare la fame nel mondo. 

Produzione continua (e conseguente erosione di risorse), insomma, per il nobile scopo di sfamare i nostri simili.

Ma, ad oggi, il cibo prodotto e distribuito é spesso causa di malattia e di morte: si stima che la quantità di morti per obesità e malattie correlate è forse il doppio rispetto a chi muore per mancanza di cibo. O mutos deloi - la storia dimostra, dicevano gli antichi greci - che noi uomini razziamo risorse necessarie alla vita presente e futura per distribuire non-cibo che rovina la vita, e mentre agiamo sbandierando l'onorevole lotta alla fame nel mondo, facciamo letteralmente morire di fame le genti.

Nel 2018, PftP ha lanciato la campagna "Trillion Tree", in continuità con la "Billion Tree" avviata in Africa nel 1977 dal Green Belt Movement, il cui obiettivo dichiarato è stato quello di piantare nel mondo una quantità di alberi che é poi stata realmente raggiunta: da allora si è arrivati a piantarne quasi 14 miliardi. L'UNEP  -  il programma delle Nazioni Unite per l'ambiente - ha poi avviato una mobilitazione di sostegno alla campagna (Twitter for Trees), alla quale si sono presto unite l'organizzazione mondiale del movimento scout e le missioni di mantenimento per la pace delle Nazioni Unite, gli United Nations Peace keeping, più semplicemente conosciuti come Caschi Blu, unità di supporto ai paesi disastrati dalle guerre e impegnati nel creare condizioni durevoli per lo stato di pace.

Nel 2011, il giovane Felix Finkbeiner, in  occasione dell'apertura dell'anno internazionale delle foreste, ha dato l'incipit alla campagna Un trilione di alberi, invitando tutti i paesi ad operare in maniera comune allo scopo, con  la scadenza del 2030. In quello stesso anno l'UNEP ha affidato la gestione del programma a PftP.

Tom Crowther, ordinario di ecologia dell'ecosistema globale all'ETH di Zurigo, noto come il primo scienziato ad aver ottenuto la mappatura della distribuzione e diversità degli alberi sul pianeta, nonché principale consulente scientifico di PftP, ha stimato l'esistenza nel mondo di 3 trilioni di alberi (un trilione corrisponde a un miliardo di miliardi), ossia circa la metà rispetto alla situazione precedente l'inizio dell'agricoltura - avvenuta 12.000 anni fa. 

Il progetto che ne é scaturito si basa sull'ipotesi conseguita secondo cui piantare un trilione  e mezzo di alberi potrebbe contrastare 10 anni di emissioni antropiche. In barba agli scettici che negano la possibilità di realizzare una tale operazione, poi, Tom ha individuato una zona di 0.9 miliardi di ettari disponibile alla riforestazione, al di fuori delle aree agricole e urbane.

Piantare alberi per ri-ossigenare la Terra è la missione di fondo, dunque, ma non la soluzione ultima. Dobbiamo ridurre le emissioni, ripristinare la biodiversità che abbiamo drasticamente limitato (rendendoci responsabili della diffusione di malattie ed epidemie soprattutto negli ultimi anni, covid-19 incluso), e perseguire l'ecosostenibilità del commercio, con tutto ciò che questo comporta.

In una antica iscrizione sumera il termine "agricoltura" - la fonte é ancora Mancuso -  veniva tradotto come la capacità di far fruttare i terreni senza diminuirne la fertilità
Una definizione oggi dimenticata e surclassata dallo sfruttamento irresponsabile, privo di cura dei terreni stessi, depauperizzati, se non addirittura sterilizzati (Balboni ce ne descrive i modi e le conseguenze con estrema efficacia).

Le soluzioni faticano però a prendere piede in quanto i combustibili fossili consentono un guadagno ancora molto alto rispetto alle "soluzioni climatiche" - così si  è espresso J. Morgan, direttore esecutivo di Greenpeace al Forum Economico Mondiale annuale di Davos (1)

Se è vero, poi, quanto pubblicato in un  articolo di aprile 2020 dallo stesso Forum, che la metà del Pil globale dipende dalla natura, è un bene che oggi si parli sempre più spesso di economia circolare, una economia che sa utilizzare le risorse disponibili riducendo gli sprechi e riutilizzando gli stessi scarti prodotti.

Ad oggi siamo già in debito con le generazioni future in quanto stiamo erodendo le risorse di cui loro dovrebbero fruire per vivere.

Dovremmo tener bene a mente quanto segue:

Si stima che la vita  sulla Terra abbia circa tre miliardi di anni; l'umanità un milione di anni; la cosiddetta “civiltà” diecimila anni,  e la crescita economica-industriale meno di duecento anni: da quel momento in poi le nostre emissioni di CO2 sono aumentate a dismisura.
Secondo alcuni calcoli si è determinato che, in media, un uomo arriva oggi a produrre circa 1 kg di CO2 al giorno, e che un singolo albero  arriva ad assorbire tra i 20 e i 40 kg l'anno, a seconda se posizionato in ambiente urbano o naturale.

Qualcuno ha detto che la matematica non è un'opinione, pertanto siamo tutti invitati a contare, e nel frattempo, a piantare.
Stop talking, start planting!


(1) Organizzazione non governativa fondata nel 1971, impegnata a migliorare lo stato del mondo affrontando questioni globali ad ampio spettro. Essa è anche Think Thank, quindi pubblica articoli e rapporti ad uso di istituzioni e governi.


Un po' di riferimenti: