Il Mio Blog non vuole essere un monologo, ma un invito all'incontro: pertanto sono graditi i commenti e il succedersi degli scambi che ne conseguono.
Buona lettura!

mercoledì 26 ottobre 2016

Uomini e Robot

Leggendo una recensione su un film visto di recente, che ritengo davvero ben fatto (Ex Machina), mi sono lasciata tentare e ho postato un breve commento. E siccome qualcun'altro lo ha fatto dopo di me, ho deciso di approfondire la questione.

Linko qui l'articolo, e procedo comodamente, agganciandomi al commento pubblicato da DOK a fine pagina, nel quale identifica, infine, il robot con un modo di computare.

  Quel modo che spesso si evidenzia anche in certi comportamenti degli esseri umani come esecuzione di un programma - che sia immesso attraverso una morale, una tradizione, una certa cultura esplicitamente o implicitamente appresa.

La riflessione esplicitata non gira intorno al modo, ma al contesto in cui tale comportamento viene esercitato, ovvero alla direzione per il raggiungimento di quali obbiettivi.

Gli obbiettivi che un uomo dovrebbe perseguire sono quelli rispettosi della sua natura, e devono quindi essere funzionali alla sua natura in primis, e per quello specifico individuo in seconda (ma pur sempre primarissima) istanza.
Riuscire ad eseguire una procedura  In maniera ottimale è una buona, buonissima cosa... Ma bisogna far attenzione agli obbiettivi prefissati. E alle reali motivazioni che ci spingono verso di essi. 

Ovvero: la dinamica in atto mi è di qualche utilità? Mi fa bene? Mi danneggia? Mi è  indifferente?

In quanto esseri viventi noi siamo anche esseri economici, e ciò nel senso etimologico del termine, quello che indica cioè il rispetto delle leggi del nostro ambiente - la cui prima concretizzazione è  proprio la nostra persona.

E se le cose stanno così, allora ad uno sforzo, ad un lavoro, deve corrispondere un vantaggio.
Se ci guardiamo attorno, e se riflettiamo sul nostro stesso agire, ci accorgiamo che spesso, nel fare, andiamo in perdita... Che "il gioco non vale la candela".

E allora dovremmo fare un altro passo più indietro e chiederci perché abbiamo perseguito quell'obbiettivo. Obbiettivo non conveniente.

Spesso le risposte conducono all'intenzione di altri che si sono imposte in modo subdolo, melenso,  inconsapevole - o anche brutale - sul nostro fare.

L'ho fatto per lui... Le faceva piacere... Me lo ha chiesto con tanta insistenza...Temevo che poi ci sarebbero rimasti male...

Emozioni: il canale prioritario attraverso cui passano le fregature. Lo sanno bene i pubblicitari. Lo sanno bene i furbi.
Lo sanno male certe persone sensibili.

Un buon robot non prova emozioni, segue la sua routine, nel pieno rispetto della propria natura.
Un buon essere umano dovrebbe fare altrettanto, verificando di volta in volta se le emozioni che lo conducono sono sane (per lui) o devianti. 

Perché a volte, le emozioni, sono appositamente indotte... E il buon essere umano sensibile, se non sta attento, rischia di perdere se stesso agendo in modo sbagliato -ossia non funzionale alla sua natura di uomo e di individuo.

Uomini e robot: le macchine fanno ciò che ne giustifica l'esistenza; gli umani impegnano spesso la loro esistenza a giustificare ciò che fanno. 













lunedì 24 ottobre 2016

Segnali

E così, casualmente, alzo lo sguardo e mi accorgo che quella voce gentile si sta rivolgendo proprio alla mia persona. 
Ogni tanto accade: sono talmente assorbita dalle cose che faccio, dai ritmi incalzanti e dalla sciatteria fastidiosa che sovente mi trovo d'intorno, che quando mi sfiora un tono gentile trascendo, quasi commossa.

Rimango spiazzata, sorpresa della mia ottusità. 

Un filo di musica dolce nel clamore color del metallo. Un viso pulito, un gesto gentile, ed ecco che si ripiana la fronte, mentre un pensiero confuso mi si intromette inatteso: l'umanità è ancora... 

Alcuni ci sono: gentili, attenti, in ascolto. Persone che sanno calare se stesse sulla rena comune, ed hanno piacere nel fare le cose con gli altri. Persone che non devono ucciderne altre per riuscire a sentirsi importanti. 

Stamani osservavo individui parlare con altri, e ne percepivo il variare dello stato emotivo: la tensione che cambiava modificava gli spazi tra loro, e l'atteggiarsi di quei lineamenti. Avveniva una danza, scandita dai suoni e dai gesti: un pò più in qua, e poi un passo indietro, e l'altro con lui... Distanze che aumentano e poi si stringono, o si mantengono tali.

 Segnali che orientano il respiro. Ne siamo immersi e li notiamo appena, distratti da quanto è fuori di noi, e ci attrae, col richiamo roboante del nuovo.
Che poi, di nuovo davvero, c'è sempre così poco...

Il corpo si espone esprimendo con le sue variazioni noi stessi. Lo fa di continuo, ignorato o studiato da altri.
Esso ostenta la gioia e il dolore, la sanità e la sofferenza, giudicando nel suo accadere la nostra condotta.

Quali sogni hai seguito per ottenere tanta bellezza?
E quali hai ignorato, invece, per ridurti in tale disagio?

La malattia, lo sai, è il lungo lamento dell'anima. Ti dice che tu, in un certo modo, con le tue idee e le tue convinzioni, stai tradendo te stesso, ignorando la tua natura... Stai servendo il padrone sbagliato! 

Anche se la società tutta ti ammira.

Abbandona i sogni degli altri e riprenditi i tuoi: ascolta cosa dici a te stesso e segui il percorso che più ti appartiene...

I sogni ci portano immagini proprie: le nostre. 
Da tempo frequento una scuola che insegna ad apprenderne il senso. 

Il primo obbiettivo: me stessa.
Il resto consegue da lì.









venerdì 14 ottobre 2016

L'elfo dispettoso


Ho incontrato un omino che è verde e flessuoso. Col naso all'insù saltella da un albero all'altro cercando nel cielo quel che solo lui sa.

Ma invero verde non è: è solo il riflesso del bosco, in cui lui si confonde, visibile solo a chi occhi possiede per farlo.

Un omino davvero non è, ma un omone forzuto, dalle spalle ben ampie e la vita sottile. Son grosse le mani e più forti le braccia, in agili mosse lui corre e poi salta.
 
Kod lui si chiama, ed un Elfo lui sembra, di quelli che amano il gioco e lo scherzo, ma son buoni di cuore - e quindi far male non sa.
Salta in modo farsesco tra i rami: ti mostra che è bravo, e poi corre veloce con le gambe sottili.

Un elfo, un elfo lui pare, nel bosco e sul mare, con gli occhi che riflettono il colore del cielo. E i pesci accorrono a frotte, i delfini e i gabbiani, a corteo nella sua traversata sul piccolo guscio di noce. 
Gioca, urla e sorride. Colpisce con forza e si spiace, adora il frastuono dei giochi che fa, e arriccia le labbra, senza nemmeno saperlo, in tenera smorfia davvero.

Un pò dispettoso ma affatto crudele, in molteplici forme si lascia osservare. Ora un colore, ora una voce sottile, e canta e saltella per le strade che trova. 
Il cielo lo ammira, le fronde lo toccano un pò, curiose di cogliere il tono di quel vispo individuo. 

Larghe le spalle, grosse le mani, i segni sul viso dell'esperienza vissuta: è bello il sorriso che nasconde lo scherzo, ti morde e ti punge ma male non fa. 

Oggi indossa un buffo berretto, morbido in forma che termina in su. Sembra un antico berretto da notte, la cui punta rimane laggiù. 
Tiene calda la testa e ripete la lagna, che ha male alla schiena ma è tutta una balla. Lui salta, alza massi e rinterra quei tronchi che cadono giù.  

È bello quest'elfo e gli piace star solo: lui chiama gli amici ma poi se ne va.
E rimane per ore a far delle cose che capir non si può. 

Cammina nel fiume, tra le canne e i riflessi del sole, e amici guizzanti dalle forme allungate lo accompagnano un pò.
Le rane e i cinghiali, i meli e i noccioli, la terra lo ammira con tutti i suoi figli.

E adesso sorride dal posto in cui sta, mentre vede il mio sogno che fassi realtà.










martedì 11 ottobre 2016

Esposizione




In questi giorni il pensiero sorvola e discende su un terreno un pò scarno, arido e vuoto: mi soffermo sul modo dell'esterna apparenza.

Sarà la fastidiosa influenza, che mi tiene bloccata dal solito fare, con gli ostacoli ch'essa mi impone: lo stomaco un pò sottosopra, dolori sparsi sul corpo, la stanchezza diffusa.
Sono in casa e finalmente respiro il silenzio, quello che, quando sono al lavoro, desidero come fosse un miraggio. Lì ogni minuto qualcuno attraversa la porta e mi spinge in un mondo che è altro da me...

Così riflettevo sugli ultimi eventi vissuti e alle persone incontrate, e al modo fin troppo leggero, fors'anche un pò vacuo, con cui a volte presentiamo noi stessi.

L'ultimo post da me qui pubblicato esibiva l'aperta risposta ad un autore incontrato nel web, all'interno di una rivista che pubblica anche alcuni miei scritti. 

Il pezzo così commentato, correttamente linkato nel post di cui sopra, nasceva su un progetto per me originale e di un certo interesse: descrivere il modo dei numeri per designare quello di certi individui. E siccome anche a me piace dire qualcosa parlando di altro, ho intrapreso il sentiero guardandomi attorno. 

Ma il percorso è apparso un pò strano, incoerente e pure alquanto sconnesso: ho provato così a sollecitare un incontro per smentire le mie personali opinioni.
Ma non è  seguita alcuna risposta. Piuttosto l'autore s'è  cimentato in una nuova e diversa avventura espressiva.
Peccato, mi dico: un'occasione perduta. A me piace lo scambio e pure il confronto, siano pure ben ferme le posizioni intraprese.
A volte le parti un poco convergono, sfiorandosi, e si curano insieme.
Ma questo non sempre succede.
Il confronto prevede l'ascolto, e significa stare ben saldi in se stessi sapendo che fuori c'è altro da se.
Se l'altro è quindi diverso vuol dire che ho qualche certezza su cosa di me fa quel modo. Non dovrei dunque temere l'incontro, ma volerlo per riaffermare me stesso o scoprire qualcosa che non conoscevo.
O apprendere cose che possano accrescere la mia conoscenza e il mio mondo.

Mi piace il confronto, lo scambio e l'interazione. E accade pure sul web che scrivo e rispondo nutrendo dibattiti vari, viaggiando all'interno di un mondo a portata di click. 

Ma come l'ostile analista dei numeri primi, non tutti raccolgono il guanto. Proseguono ignari nei loro percorsi, senza interesse per chi si è fermato a dedicarvi il suo tempo.

 Non danno forse voce al pensiero per confrontarsi col mondo, limitando se stessi a sfogarvisi sopra.

Sul suolo come pure nel web: la magia dell'incontro è  spesso soltanto chimera, strumento d'utilizzo comune da chi mostra se stesso senza troppa attenzione.

Voler mostrare soltanto se stessi e calcare la scena inibisce l'ascolto e violenta lo scambio: non è sempre la veste più idonea alla festa che si vuol presentare.

 Soddisfo diversi interessi: frequento mostre ed eventi, convengo ad incontri, e mi espongo in dialoghi aperti laddove è possibile farlo. Ma a volte il compagno non vuole danzare, respinge la richiesta di scambio, la ignora o utilizza violenza per cavarsi d'impaccio.
Risposte forzate non chieste e non motivate, detratte da emozioni diverse non sempre poggiate su solide basi di sostanziale onestà, pur spesso sfoggiate con toni arroganti e pure offensivi. 
Forma e colore diversi possono pure trovare qualcosa in comune tra loro, oppure soltanto cantare ognuno per sé il senso alla vita che danno. 

Chi chiude la porta senza consentire lo scambio è un violento o un superficiale: uno che non vuole ascoltare o non sa argomentare.

A volte davvero non può perché quello che offre è fasullo e privo di quel nutrimento che può rendere tale un utile pasto.
E scivola invano in percorsi che si fanno più ardui ad ogni cancello che chiude.

Intrattenimento, pertanto, accettato da chi il tempo lo deve passare. Per altro: quisquiglie nella solida nebbia.
E dunque: di cosa parlare?

Basterebbe mostrare i propri strumenti, o ammettere a volte che non sono completi. 
Onestà intellettuale: mettersi in gioco per ampliare se stessi, e concedere ad altri di farlo con sè. 




giovedì 6 ottobre 2016

Risposta sui numeri a Saro Pafumi



Con la presente intendo rispondere al post recentemente qui pubblicato da Saro Pafumi con il titolo "I numeri: esseri ermafroditi."

Francamente mi sfugge il nesso che segna la necessità per un entità che e' ermafrodita di essere pure spregevole.

Lo sono forse le lumache, i pesci, i lombrichi?

E' chiaro che in un tempo in cui in molti ostentano arcobalenate bandiere per rivendicare diritti nuziali e adozioni infantili anche per quei "diversi" che oggi si ritiene debbano venir rispettati e riconosciuti per le loro maniere, in tempi in cui nelle scuole vengono indette assemblee per ribadire l'urgenza di una  educazione che spieghi ai ragazzi che i gender non sono dei mostri... In questi tempi piu' che mai, anche la voce di chi ritiene spregevole l'ermafrodotismo abbia diritto d'essere udita.

Personalmente non mi schiero con gli uni o con gli altri: mi limito ad esporre alcune riflessioni suscitate dallo scritto in questione.

Non me ne voglia pertanto l'autore se quanto vado scrivendo possa suonare con toni un po' distanziati: il dialogo è bello perchè consente il confronto.
Absit iniura verbis!

Si dà il caso che, al pari dell'Uno sopra descritto, la scrivente sia "singol". Sig.Saro, non è che stare con gli altri e mostrare con essi aspetti diversi della propria persona, sia di fatto un atto degenere! 
Significa solo svelarsi e provarsi, magari scoprirsi agli altri e a se stessi; significa essere vivi, in piena armonia con quel modo complesso e molteplice che rende gli uomini tali. 
Guai se non fosse così. 
Non saremmo nemmeno numeri - della sorta da lei disegnati- ma semplici robot che mettono in atto comandi prescritti.

Affiancarsi ad altri per fare insieme del nuovo non è rinnegare se stessi, ma portare valore di senso a quanto c'è già.  Avrà certo sentito parlare di un certo filosofo Hegel, quello diventato famoso per la sua concezione dialettica? Arrivava alla conclusione secondo la quale la sintesi di una dinamica di incontro tra parti diverse produce già sempre un di più,  qualcosa che appartiene a tutte le parti ma le supera in toto producendo la ricchezza del nuovo. 

Non penserà davvero che è giusto iniziare in un modo e permanervi così fino alla fine del tempi! La vita richiede dinamica, esige il cambiamento. 
La creatività non è certo un peccato, ma una virtù che va coltivata. 
E sul finale mi inciampa, alzando una nube di polvere che rende incomprensibile il senso della sua direzione. Accosta il suo Uno al Ciclope, accusandolo di avere una visione distorta perché limitata.  Ma poi lo identifica all'io, che descrive così:
una struttura psichica, organizzata e stabile, consapevole della propria identità. 

Ohibo' non capisco: finora ha descritto qualcosa che ha chiamato incoerente, vanesio, arrogante e distorto, qualcosa che cambia a seconda di chi si trova vicino rinnegando continuamente se stesso.

Mi consenta la domanda Sig.Saro... Ma lei che numero è?