Il Mio Blog non vuole essere un monologo, ma un invito all'incontro: pertanto sono graditi i commenti e il succedersi degli scambi che ne conseguono.
Buona lettura!

sabato 29 luglio 2017

MAGIA

Siamo quasi in agosto, il sole é alto nel cielo, fa caldo, i fiumi sono in secca e i laghi, ci dicono, vengono sfruttati oltre misura. In molti parlano e sparlano, con grande agitazione, del cambiamento climatico, della gestione insostenibile delle risorse, della mancanza di cultura di una umanità suicida, avidamente ingorda di un malsano e poco chiaro concetto di "potere". 

Fa caldo, e in città gira ancora troppa gente, fastidiosa come nugoli di zanzare: ti ronzano intorno con i loro trabiccoli rombanti, appestano l'aria circostante con quel sibilo continuo che a momenti si fa piú acuto, e ti avvelenano con le loro punture... 

 Agosto é il mese delle vacanze per molte persone, é la cesura, il punto che separa il prima e il dopo per molte attività: quelle commerciali come quelle personali. E giù consuntivi, riflessioni e propositi futuri. Uno sguardo nostalgico al passato ed un'occhiata speranzosa a quanto verrà. 

 Si parte o si resta, e a volte si parte restando, secondo il noto tormentone del "tutto cambia e nulla cambia".
 In attesa della pioggia, che laverà finalmente le strade e rinfrescherà l'aria, snebbiandoci la mente. 

 L'inganno dello scorrere del tempo è seducente: semplifica la nostra esistenza, celando tra i passaggi l'urgenza del presente che, invece, reclama l'onestà verso se stessi. Siamo tutti qui e adesso, occupando spazio a volte con la leggerezza di chi non vede cosa fa. 

Gli addetti ai lavori parlano di "stato alterato di coscienza", o semplicemente di "ipnosi": si tratta del fenomeno per cui, intanto che penso a qualche cosa, non mi rendo conto di ciò che sto facendo. 
 Non servono pendagli che catturano, ondulando, le pupille della vittima di turno.

 Lo facciamo anche da soli, concentrando l'attenzione in una certa direzione a scapito di altre.

 Insomma, siete sempre consapevoli di ispirare ed espirare? O di star utilizzando la forchetta, mentre dialogate ad un convito? Ricordate sempre, la mattina, dov'è che avete parcheggiato il giorno prima?

 La distrazione è una gran bella fregatura! 

 Tempo fa ero a casa di amici, ed assistevo alla performance di un cosiddetto mago: era un giovane prestigiatore, un formidabile illusionista! 

 E di illusione si tratta, quando vediamo solo quanto ci inducono a vedere, essendo il resto scientemente messo in ombra.

 Dai femminicidi agli attentati terroristici; dalle balene blu alle epidemie di mali necessari perché si distribuiscano vaccini; dagli incendi (dolosi, dolosissimi) all'emergenza idrica; dai bonus del governo (dovremmo dire boni, essendo plurale, ma gli usi della lingua ne modificano un pò i modi...)  alla questione dei migranti; dalle bufale in rete alla tracotanza dell'Agcom; dai rinnovati conflitti in Medioriente alla crisi della Humanitas ...

... Fino alla intollerabile tolleranza a tutto da parte di tutti!

 Pluralismo e molteplicità: l'arcobaleno simultaneo in ogni dove confonde un pó lo sguardo e ci lascia frastornati.

 Platone sosteneva che la democrazia, nella sua forma esasperata, conduce diretta ad uno stato di anarchia, perfetta mangiatoia del deprecabile tiranno... Concetto poi ripreso da Rousseau, laddove, secondo il suo parere, "soltanto un popolo di déi potrebbe dare vita ad una società realmente democratica" (Il Contratto Sociale). 

Possiamo dare loro torto?

 Nella sua Costituzione (opera nota, per errore di traduzione, con il titolo "La Repubblica"), era  sempre Platone quello che, con polemico fervore, riteneva intollerabile "l'idea che un ciabattino fosse libero di presenziare in assemblea dettando leggi". 

Ma attenzione: ciò cui qui si fa allusione va compreso nel suo contesto originale: ai tempi di Platone, solo i più abbienti riuscivano a raggiungere gli strumenti necessari ad educarsi, forgiando la ragione ed affinando la coscienza. 

 Se ad una persona ignorante (nel senso originale di incompetente ed inesperto) fosse lecito imporre la propria volontà - per dirla in breve e prevenire così possibili accuse di snobismo - questi potrebbe, a causa di limitazioni personali, non saper valutare in modo saggio certe scelte, commettendo errori deplorevoli e mancando di rispetto a tanti altri... 

 Il rispetto: la capacità di vedere se stessi insieme agli altri; la capacità essenziale di riconoscere un valore oltre se stessi, negli altri o in qualche cosa.

 Rispetto: il protagonista assente che, in questi giorni più che mai, invocato a gran voce, non riesce ad apparire.

 L'illusionista gioca con chi, scientemente, ha deciso di partecipare ad una festa per il piacere di lasciarsi stupire, e per mettere alla prova un pò se stesso.

 Lo spettatore si lascia giocare, rispettato, nel rispetto di se stesso e di chi é deputato a intrattenerlo. 

 Vi sono professionisti di altro tipo, però, che elargiscono il prestigio in malafede, protetti dal fumo che hanno sparso tra le quinte. 

Essi dirottano forzando, e la distrazione, nel finale, andrà pagata: lo scopo di stupire è divenuto abbindolare attraverso i piani del momento.

 Tra questi, poi, ve ne sono di più rozzi, la cui pochezza lascia intravedere il telaio sottostante, sabotando da se stessi l'efficacia dello slancio. 

 La mancanza di rispetto, in tal modo chiaramente dimostrata, rispettosamente, riceve il benvenuto equivalente da chi di distrarsi non ha voglia. 

La mancanza di riguardo - dovuta ad ignoranza o a perfida ignominia - corrisposta col dispregio, svanisce infine a buona posta nell'assenza attraverso definitiva disconferma:

 Non ti vedo e non ti sento; tu, per me, semplicemente non esisti.






venerdì 14 luglio 2017

ESTREMO







Metti che sei in un isola di poco più di 20 km di lunghezza e 30 di larghezza. E che ti trovi a 4000 km dalla città in cui solitamente vivi, su questo pezzetto di terra e roccia in mezzo alle grosse onde oceaniche, sempre schiaffeggiata dal vento...

Qui nemmeno l'idea di cosa sia il sovraffollamento, il traffico, lo smog asfissiante; qui non ci sono squillanti e inopportune sveglie al mattino, a ricordarti le varie tappe che ti scandiscono il giorno; qui non c'é la fila dal benzinaio (ce ne sono due per miracolo), e non devi prendere il ticket per fare i tuoi acquisti. 
Un ambiente limitato, con pochi abitanti e pochissime risorse.
Circondato dall'acqua piú blu che abbia mai visto finora.

Metti che é notte e che ti ritrovi su uno sperone di roccia a 6 metri dall'acqua scura, che romba e soffia sotto di te, gonfiando e trascinandosi gravemente sugli scogli sottostanti, e ti stai destreggiando (male, per la verità) con una canna da pesca molto lunga, leggera si, ma comunque di faticosa gestione, intanto che le ventate la spostano e sembrano volertela togliere di mano.
Spegni la lampada e osserva.
Ti accorgerai che non esiste la notte buia, ma un chiarore diffuso che rende tutto realmente visibile: vedi le pietre, gli oggetti, vedi gli occhi brillanti dei grossi pesci pelagici che navigano lì intorno; vedi la riccia barba spumosa delle onde che si espande quando incontra la costa...

E tu sei lì in mezzo al nulla, come direbbero alcuni, ma assolutamente al centro di tutto.

Il frastuono del vento e del mare coprono i suoni di chi sta cercando di dirti qualcosa, poco piú indietro, e ti accorgi che il cielo é un pó roseo, nonostante sia giá tarda notte. 
Il tuo amico ha esultato, e ora si affanna nel portare su un grosso pesce, che lotta per salvare la sua libertá, e con essa la propria vita.

Tu non hai pescato un granché, ma non conta: sei dentro lo spettacolo e te la stai godendo alla grande!

Poso la canna e mi stendo sul dorso: la roccia é dura e piena di asperità che la rendono tutt'altro che comoda. Ora ho gli occhi diretti verso il cielo e ravviso l'origine di quel chiarore: ci sono miriadi di stelle lassú, sembrano brillanti di vario taglio, cuciti in ordine sparso su un lungo drappo elegante, esteso all'infinito.

Lascio penzolare liberamente i miei piedi nel vuoto, mentre guardo lassú, e non ho davvero bisogno di altro. Penso alla cittá da cui sono arrivata, e a quanto sembra lontano da qui quel mio modo di accompagnarmi alla vita.












domenica 9 luglio 2017

PAURA?

Oggi, per la prima volta, ho sentito parlare del Gatto Mammone: un gatto enorme e cattivo che, nell'immaginario collettivo, trascorre il suo tempo a spaventare bambini. 
L'equivalente di quell'Uomo Nero con cui, quando ero bambina, la nonna paterna mi stuzzicava, cercando di creare un'atmosfera un po' noir nella mia giovane esistenza - atmosfera per nulla necessaria.

In effetti, anche allora ero un pó piantagrane, tanto da porre domande che, a volte, venivano sviate con maldestra diplomazia.

Insomma, io lo capivo che stavano facendo melina!

Cosí, ogni volta che provavo a ricavare qualche particolare in più sul fantomatico Uomo Nero, non c'era nulla da fare.
Sapevo solo che arrivava col buio per rapire i bambini cattivi.

Non mi risultava di essere mai stata una bambina cattiva, o almeno, non mi ci sono mai sentita, così continuavo a giocare su quel pavimento di marmo lucido, pieno di venature multicolori, senza neanche un sussulto. 

Però ero curiosa (che novità, eh?): ma come era fatto questo Uomo Nero? E che ne faceva dei bambini rapiti?
Riuscivo solo a immaginarlo come un'ombra, un'ombra che si confonde nel buio.

Nella casa dei nonni c'era una piccola stanza adibita ad armadio. Lì erano custodite le giacche dei visitatori, quelle degli abitanti della casa, e vi erano anche una serie di bastoni da passeggio, quelli che usava il nonno. Avevano tutti il pomello intarsiato: una vera eleganza. 

Quando si apriva la porta di legno, si accendeva automaticamente la luce interna. Ma quando la porta era chiusa, io lo sapevo che lì dentro era buio... Non filtrava nessuna luce!

... Chissà se era lì che si nascondeva l'uomo nero, in attesa, come le giacche di tutti noi. D'altronde non ne parlava mai nessuno, tranne la nonna, quindi doveva vivere proprio a casa sua.

Fu così che cominciai ad aver sempre meno voglia di andarla a trovare...

Al tempo della mia infanzia, gli adulti usavano impaurire i bambini con storie raccapriccianti: era un modo facile di tenerli in pugno. 
Un modo sleale. 

Se tu hai paura diventi fragile, non ragioni piu', e agisci senza fiatare secondo i dettami che ti vengono imposti.
E come discutere la sapienza degli adulti? Ci sono da più tempo di te; sanno cose che tu potrai sapere solo "quando sarai grande"; sono loro a presentarti il mondo, sin dall'inizio.

Vincono loro per forza. E con la forza, purtroppo, a volte.

Così, nella vita adulta, si procrastinano le stesse dinamiche per legittimare gli abusi: tu sei piccolo, ne sai poco, ed io ti proteggo ammonendoti.

 La forza si impone sull'ignoranza, ed ottiene consenso per illusoria ammirazione.

Quando sei piccolo gli adulti sembrano tutti dei sapientoni! Lo stesso accade quando sei piccolo dentro, pure in età adulta, o quando hai accettato di sentirti tale grazie al lungo lavoro di propaganda subito negli anni.

E poi la paura... I neuroscienziati hanno dimostrato quanto sia paralizzante questa emozione per l'uomo: blocca la creatività, e inibisce il pensiero critico; la sensazione di impotenza dinanzi al pericolo rende idioti - nel senso greco del termine, ossia ti isola in una sorta di monade, nascondendo alla tua coscienza la plancia di controllo. 
Finisci quindi per aggrapparti ai "suggerimenti" che ti arrivano.

E poi sento parlare del Gatto Mammone. Il nome é meno sfuggente del "cattivo" dei tempi andati, e l'immaginazione mi rimanda al grasso e pigro gatto mangiatore di lasagne, il vecchio, caro, morbido e insofferentissimo Garfield. 

Come evitarlo? Da almeno 15 anni, questo fumetto, mantiene il primato tra le strisce piú pubblicate nel mondo!

Ma non ci siamo, quindi riprovo e penso all'altrettanto famoso Stregatto di Alice, quello un pó strambo, che appare e scompare col suo ghigno misterioso... E adesso sì che mi avvicino!

Una ricerca su internet mi viene in aiuto: Carroll, per la sua creazione, si era ispirato alla tradizione popolare che paventava la presenza di gatti enormi e giganti che infestavano le campagne inglesi nei tempi antichi, e con intenzionale crudeltà, terrorizzavano i poveri allevatori di bestiame, anche grazie al loro potere di apparire e sparire.

 Raffigurazioni di questi spiriti malevoli ce ne erano un pò ovunque, ai suoi tempi, cosí Luiss decise di diffonderne la fama addomesticandola un pó...

La leggenda del Gatto Mammone sembra risalire ai tempi dei fenici, o degli antichi egizi, quando i gatti erano considerati di natura divina, ed erano tenuti per simboli di fertilità (Amon). 

Nel medioevo, però, l'autoritarismo cristiano bandì i culti pagani, ed ecco che Ammone fu identificato con l'idea del demoniaco.
Niente allegria, dunque, ma il terrore che viene dall'indefinito, ancora una volta.

E di nuovo utilizzato nelle "famiglie perbene" per sottomettere con la paura la mente ingenua di chi dovrebbero, invece, aiutare a crescere.

Paura, pericolo, obbedienza, salvezza: le mura che chiudono le nostre prigioni. E pensare che nascono nell'ombra, e si rinforzano ad ogni passaggio di quella che é definita con orgoglio "la trasmissione della cultura popolare".

La tradizione: ció che, alla fine, piú che esser tràdito, tradìsce. Tradisce attraverso la fiducia di chi ha l'abitudine di non fare verifiche: un modo sciocco di percorrere l'esistenza che molto spesso ci fa tornare piccini.

Ma il gatto é un animale con caratteristiche proprie: è indipendente, si fa gli affari suoi approfittando della disponibilità di chi lo accudisce, che ne risulta, quindi - sia pure inconsapevolmente - asservito. Bulgakov, nel suo capolavoro "Il Maestro e Margherita" lo ha rappresentato come individuo furbo, presuntuoso e parecchio viscido: un lacché tutto orientato ai suoi scopi.

Non me ne vogliano gli amanti dei gatti, ma se applichiamo la riflessione pragmatica, tocca convenirne: questi animali ti si strusciando addosso per un pò di coccole o per chiedere cibo, ti si appiccicano per scaldarsi quando é freddo... E tutto solo in cambio di qualche ronzio fusaiolo?!?

Quindi, "un gatto gigante" un pò si, dovrebbe spaventarmi.

Quanto al "mammone".... Si tratta di un'espressione che la dice lunga in merito alla possibilità di crescita, di conquista dell'indipendenza, e dell'evoluzione personale.

Quindi, signori miei, se nei vostri sogni doveste incontrare uno o piú gatti, girate loro alla larga, perché c'è una fregatura in arrivo.

Se invece vi imbattete in un gatto mammone, allora svegliatevi subito, perché é tempo di crescere!















venerdì 7 luglio 2017

OGGI AL PONTAO

Un manto compatto di acqua blu, onde possenti che si srotolano fino a svanire, sferzate dal vento, tra nubi scure ed il sole accecante. Una piccola isola galleggia con la sua terra e le polveri rosse in questa onda di vita: sono di nuovo alla ilha do Sal, avvolta dai colori e dalla luce pungente, tra suoni stranieri cui ormai ho fatto l'orecchio. 

Porto con me la nomea del turista, lo so e me ne dolgo, ma non posso evitarlo: sono chiara di pelle, ho capelli sottili, indosso vestiti ordinati e puliti, e mi sorprendo davanti a situazioni che, in questo ambiente, sono normali e fin troppo scontate. 

Me lo dicono i loro volti, ed il modo in cui si guardano a vicenda mentre sorrido stupita. 

Oggi ho trascorso del tempo al pontao, il molo di S.Maria, quello da cui muove la gran parte dei pescatori. Le barche sono ormeggiate a varie distanze, sospese su un velo d'acqua celeste; qui c'è l'unica spiaggia, é lunga e dorata, la principale attrazione per i turisti. In molti vengono a fare il bagno, lunghe e piacevoli camminate, fanno giocare in sicurezza i bambini... 


E nonostante il via vai dei motori, l'acqua é sempre cristallina e invitante.

Molti ragazzi si tuffano urlando direttamente dal molo, a sorpresa, anche vestiti. E quando risalgono scrollano quelle teste scure,  piene di ricci arruffati, secondo il modo che usano qui, ed è sorprendente vedere i folti capelli che rimangono asciutti, come se l'acqua non potesse arrivare a toccarli.

I pescatori salpano presto al mattino, e per la mezza inizia il graduale rientro: il sole sul dorso e le barche piene di pesce.
 L'attracco é da artisti: si avvicinano al molo uno alla volta, la ciurma tiene la barca vicino alla stretta scalinata di ferro, e rapidamente libera il carico: un veloce passaggio di attrezzi, di secchi, zaini e buste con le esche rimaste.

 Poi tocca al pescato. In questi giorni arrivano tonni, grossi e sodi, sembrano lí lí per scoppiare, tutti tirati in quella pelle dura. Dalla barca li sollevano e via, li lanciano uno per uno sul molo, oltre le scale, in alto. Ad accoglierli, lo stupore e il compiacimento di molti, nel brulichio di persone: gli amici, i turisti, i curiosi, e chi é lí per affari.

Non c'é il porto qui, e non intendono farlo: questa spiaggia chiama i turisti!

A quel punto tutto corre veloce: si stringono le persone verso il pescato, mentre la ciurma lo sposta sul lato piú sgombro, vicino al bordo, e con secchiate d'acqua marina lo lava e lo rinfresca, intanto che inizia a pulirlo. 

Via le interiora, in un secchio; le pinne e la testa sono messe da parte, destinate a chi vuol farne la zuppa. Una bella incisione con la lama affilata ferisce la coda, per consentirne la pesa con il corpo all'in giú. 

Il cerchio di persone intorno si stringe: tra gli stranieri che scattano foto e i sorrisi di chi osserva la scena, ci sono  coloro che valutano l'acquisto da fare. C'è chi lavora nei ristoranti, le grosse donne dai colori sgargianti che si fanno avanti con le ciotole larghe su cui esporranno il pesce da vedere agli altri, e timidi o furbi acquirenti in attesa.

Ci sono anch'io, in questo vortice umano, frastornata dai suoni e dai colori accesi delle vesti di queste badere, che stringono lunghi affilati coltelli come fossero oggetti qualsiasi, e stanno lí tra la gente, urlandosi una con l'altra, nel loro stridulo idioma, frasi spezzate, combinate a risate o ad espressioni di rabbia. 

Tutto è deciso: mani passano soldi, mani ne prendono; carte piegate di vari colori danno valore alla fatica del giorno; vanno e vengono, per svanire nelle tasche di pantaloni strappati e consunti, o negli ampi grembiuli di quelle donne cosí tanto agguerrite. 

Ho visto una banconota volare per aria, sospinta dal vento impietoso, rotolare in terra tra le travi di legno consunte, tra i sandali e i piedi di tante persone, fino a bloccarsi sotto il piede di chi l'aveva inseguita annaspando. 
Finalmente l'uomo rideva, e con lui gli sbalorditi individui d'intorno.

Duemila scudi: l'equivalente di venti euro. Il prezzo di un tonno da dieci kg.

Il prezzo riconosciuto alla fatica e alla sapienza di chi vive sul mare, muovendo con barche di legno di media e piccola taglia. Il prezzo riconosciuto ad un antico vivente, sottratto al suo mondo di acqua perché la sopravvivenza lo impone.

La scena era ferma, i sorrisi, i volti tirati... Allora mi sono chinata e ho raccolto quel pezzo di carta, e sono stata felice di consegnarlo a colui che lo aveva quasi perduto.

Come le onde oceaniche, la vita sul pontao prende forza, si accalca e si scioglie, spingendo con forte tenacia chiunque sia lí. Una forte corrente di gesti, di suoni e di odori muove scomposta sotto il dominio infuocato del sole, a tratti placato dal vento che, fresco, soffia sempre sul mare.

Io ora mi trovo qui, nella semplicità quotidiana della faticosa esistenza dell'uomo.