Il Mio Blog non vuole essere un monologo, ma un invito all'incontro: pertanto sono graditi i commenti e il succedersi degli scambi che ne conseguono.
Buona lettura!

venerdì 9 settembre 2016

La varietà


Accade che mi reco al mulino del paese, una piccola struttura che poco ha a che vedere con gli storici mulini scenografici dell'immaginario comune. È una grossa sala che ospita enormi macchinari che, rumorosamente,  macinano i grani e ne separano le parti, che vengono poi riversate a fiumi in appositi canali. 
Intorno, numerosi sacchi di prodotto e mucchi di crusca.

Il mugnaio non è  l'ometto barbuto tutto infarinato delle favole, ma un signore di una certa età che fa il commerciante, e in quella stanza preme bottoni, dispone i sacchi di varia misura, e soddisfa gli ordini dei clienti. Le sue origini sono pugliesi, lo si coglie dalla parlata stretta, e il suo sguardo è  vispo.

Ha lavorato la terra per anni, e ogni volta che lo incontro mi regala aneddoti del suo passato, ed elargisce suggerimenti su come riconoscere la bontà dei prodotti che acquisto. Mi racconta che "l'olio buono" in inverno, con il freddo,solidifica nella bottiglia - cosa che non avviene con i prodotti commerciali, la cui qualità è  scarsa come il prezzo che ne identifica il valore.
 Lo stesso per il miele, che cristallizza con il tempo, diventando un unico blocco duro. Da lui trovo miele prodotto in zone selvatiche di montagna, dove prevalgono erbe e piante da nomi irricordabili che, però, determinano aromi memorabilissimi.
E poi i legumi e i semi. 

In disparte, nel negozio, in una zona in penombra, ci sono vari sacchi di tela grezza, ognuno col suo cucchiaio: sono pieni di fagioli, lenticchie, fave, farro, piselli... Piccoli oggetti dalle sagome stondate e multicolori. Devono stare al buio e lontani dal rumore, mi dice, devono riposare tranquilli. Mi racconta che i legumi preincartati, quelli in vendita nel supermercato, sono spesso molto vecchi e di seconda scelta. Questi, lo ammetto, hanno davvero un aspetto migliore, e si possono trovare solo nella stagione corrispondente. 
Per il farro dovrò aspettare ottobre...

Così, con una manciata di euro e con il sorriso nel cuore mi porto a casa un po' di scorte, e tanti bei sacchetti di farina: quella di farro, quella di mais, la farina integrale e un po' di grano tenero, che mi serve per tagliarle: ogni farina ha infatti i suoi capricci e una propria sensibilità, e va gestita con cura. 

La farina di mais è  ruvida, sono microcristalli variegati che poco si aggregano tra loro. Il colore giallo del suo oro nasconde la freddezza di struttura, poco incline all'integrazione e alla sua trasformazione. Nonostante il supporto dei lieviti, appositamente miscelati per aiutarla a superare la timidezza iniziale, questa aumenta poco di volume. Rimane lì, sul fondo della ciotola che la ospita, pesante e scura.
Va allora accompagnata con la farina bianca, dal carattere docile e collaborativo che, pazientemente, contribuisce all'evoluzione del processo. 
Tocca poi maneggiarla più volte  per garantire che la promiscuità divenga effettiva collaborazione.
Quello che ne deriva, infine, è un impasto gonfio e morbido, dal colore e dal profumo accattivante.
Ma da sola, niente: non si smuove.

Il farro ha invece carattere opposto: si aggrappa a tutto, appiccicoso come è, e richiede grandi attenzioni. È  leggero e inconsistente, bisognoso di supporto. Anche qui la pallida collega, dolcemente, lo accoglie tra le sue polveri e lo stabilizza. E più si dà e più è richiesta; sembra non bastare mai. Le mani, mentre impastano, vengono trattenute quasi a forza da quel corpo molle e un po' bruno, assetato di tutto: acqua e farina, e ancora farina e massaggi...

Poi c'è  la farina integrale, quella vera, originaria ed autentica. Il suo colore e' un po' grigio, picchiettato qua e là da punti scuri. Ma l'esposizione al calore del forno, a processo ultimato, ne evidenzierà poi un aspetto accattivante e brunito.
L'impasto relativo è di una stabilità interessante, ben fermo e compatto, rustico, ma fragrante e profumato. Niente a che vedere con quei prodotti miseramente cartonati che si possono acquistare a buon prezzo un po' dovunque, etichettati con il termine "integrale".

Acqua, un po' di zucchero, e lievito: aggiungo solo questo alla farina prescelta, ospitandola  in una terrina affinché gli elementi convenuti, sapientemente smaneggiati, interagiscano in maniera efficace.

Un impasto equilibrato e correttamente cresciuto costituisce la base perfetta su cui lavorare. Da qui, dall'omogeneo prodotto di elementi scelti, la creatività operativa di chi vuole e sa fare può  sbizzarrirsi in mutevoli e gradevoli prodotti: pagnotte e grissini, focacce e e saccottini, snack dolci e salati...


Ora, c'e' da dire che anche gli esseri umani presentano una varietà di caratteri...






2 commenti:

  1. E poi, quando è la stagione puoi trovare pure il farricello (farro tritato grosso) con cui fai delle zuppette dove ci ficchi tutte le meglio leccornie marine insieme con verdurine fresche fresche e fagioli appena sgranati.
    Se ti piace la ciccia cuoci il farricello direttamente nel sughetto allungato con un po' di Montepulciano d'Abruzzo, fino a che mr.Farricello se lo beve tutto.
    Se avanza ci fai, l'indomani, degli ottimi supplì farciti con scagliette di parmigiano.
    Se hai il raffreddore o un'influenzetta: brodino di cipolle, aglio, aromi pizzicosi, pomodorini, una patata e...Farricello.

    Farricello è bello...? No, è buono.

    E poi c'è chi crede che il ciclo biologico della vita non sia creativo.
    Ma per piacere!

    RispondiElimina
  2. Che fame che mi fate venire... ho appena fatto il pane nero, che c'è di meglio?!

    RispondiElimina

I commenti sono soggetti a moderazione.