Il Mio Blog non vuole essere un monologo, ma un invito all'incontro: pertanto sono graditi i commenti e il succedersi degli scambi che ne conseguono.
Buona lettura!

lunedì 5 dicembre 2016

In forma

Mi occupo di formazione. 

Ma cos'è questa formazione? Che significa?
Lo sguardo confuso di chi cerca chiarimenti davanti ad una espressione tanto oscura!
Tanta perplessità può venir dissipata solo facendo luce sul pressapochismo che pervade, ahinoi, buona parte della cultura in cui viviamo. 

La legge dello stato prevede che gli uomini acquisiscano - almeno nella fase iniziale della propria vita - alcune nozioni e competenze di base, ritenute essenziali per arrivare a condividere una esistenza nella comunità che li circonda.

I bambini quindi vanno a scuola, e farlo, per loro, è al tempo stesso un diritto ed un obbligo.
Il primo, il diritto, vale nel rispetto di una prospettiva soggettiva e individuale, e poggia sull'assunto che individua nell'istruzione uno  strumento essenziale per la realizzazione  personale: attraverso di essa chi ne fruisce acquisisce importanti strumenti per camminare ben eretto tra gli arzigogoli delle complesse dinamiche sociali.

Quanto all'obbligo, è un aspetto che emerge da una riflessione comunitaria ed estroflessa, orientata in  senso etico verso la dimensione  sociale.
Ossia: se vivo ed esisto insieme con altri, bisogna che ne condivido regole  e principi, al  fine di garantire una interazione  possibilmente rispettosa, pacifica e funzionale.

Il limite dettato dal summenzionato pressapochismo, però, consente agli individui una  percezione del tutto ridotta del senso della "formazione", tant'è che utilizziamo generalmente l'espressione "scuola dell'obbligo" per indicare proprio l'esordio di tale percorso che gli uomini affrontano in giovane età.

Così alla concezione della formazione ci abituiamo ad affiancare  il pesante concetto della obbligatorietà, un coperchio rigido e pesante che aggrava e intorpidisce la mente, condizionando la possibile futura capacità di comprensione della reale sostanza del fenomeno.

Le parole che noi  utilizziamo per indicare eventi e attività sono di fondamentale importanza. Definendo, noi connotiamo emotivamente, moralmente, eticamente. Nel dire noi esprimiamo giudizi, e nel ripetere li diffondiamo radicandoli. Ed è proprio questo ciò che facciamo attraverso l'esercizio quotidiano della lingua: costruiamo mondi di significato, disegnando relazioni di senso.

Ecco il modo in cui gli uomini, dall'interno, facendone uso, fanno la lingua e determinano i costumi. Banalmente e ironicamente potremmo dire che l'evoluzione in tal senso è  solo l'effetto  di concatenazioni di fraintendimenti, per quanto tale
dichiarazione possa suonare paradossale. 

Fraintendimenti, deviazioni, slittamenti: microvariazioni dovute a piccoli spostamenti di senso, a decentramento di sfumature, a prevaricazione di percezioni, a dinamiche emotivamente connotate.
Anna Harendt, nel "la banalità del male", mostra con pacata e sobria eleganza la portata di questa dinamica laddove riporta le dichiarazioni esposte in tribunale da Otto A. Heichman, ritenuto il principale responsabile delle deportazioni degli ebrei durante il periodo nazista.

L’autrice evidenzia il fatto che quegli individui - i nazisti - resero più sopportabile alla parte umana di se stessi quel che facevano sotto la guida del regime attraverso l'utilizzo di un linguaggio "più opportuno": gli operatori non parlavano mai di assassini, uccisioni, eliminazioni... Ma dissertavano di "questioni mediche"; l'espressione deportazione era sostituita da "trasferimenti"; le vittime non erano cacciate dalle loro case, ma aiutate a trovare un posto migliore in cui vivere; i loro averi non erano rubati, ma parzialmente utilizzati per aiutarne i  possessori a portarli altrove...
E quelle modalità espressive appartenevano al mondo di chi le utilizzava in modo così radicato che durante la deposizione stessa l'interrogato si sorprendeva delle puntualizzazioni della controparte che rimarcavano la meta' nera della mezza luna appena descritta.

Il linguaggio, insomma, descrive il modo  in cui percepiamo ciò che viviamo, e nel farlo, contribuisce a condizionare la nostra percezione.

La formazione - per tornare al discorso iniziale - viene oggi generalmente compresa come una prassi informativa temporalmente scandita e definita: un percorso che ha un inizio ed una fine, la cui resa è  documentabile attraverso il diploma rilasciato a fine corsa.

E questa idea è talmente diffusa che si è arrivati al punto di dover definire il concetto di "formazione continua", attraverso la messa in atto di simposi, pubblicazioni e documenti istituzionali. Si è ritenuto cioè necessario asserire - con tanto di toni ufficiali, citando bandi, provvedimenti e pubblicazioni di autorevoli personaggi - che sarebbe opportuno che l'individuo, membro di una comunità, per il bene proprio e della società che condivide, fruisca di un percorso che garantisca la formazione continua: la vita scorre e cambiano le dinamiche sociali, quindi ognuno deve esser in grado di muovervisi dentro con dignità. Ognuno deve cioè sapersi adattare ai mutamenti che intervengono nelle situazioni in itinere.

Illuminazione culturale: e che, c'era bisogno di dirlo??
..."La banalità della cultura" - per dirlo con Harendt!

La lingua tedesca usa il termine " Bildung" per indicare la formazione: un termine che rimanda al concetto di costruzione graduale e a quello di strutturazione. Qualcosa che implica una progettualità, una composizione integrata di esperienze che modificano, costruendola, la personalità di chi le vive.

Qualcosa di molto diverso, dunque, dalla passiva acquisizione di determinati contenuti in un periodo cronologico predefinito.

La formazione è un processo interminabile, attiene alla sfera del conoscere, del comprendere e quindi del fare se stessi. E questo movimento accretivo è  in funzione sempre, e vale in ricezione come anche in emissione: nel momento in cui io faccio per me, le risultanze del mio fare si riflettono su chi mi sta intorno; nel momento in cui io cambio la mia prospettiva ho modo di vedere e trasmettere sfumature e immagini di altro tipo. 

La dimensione individuale è intrinsecamente connessa a quella sociale, in uno scambio infinito di reciproci rimandi e provocazioni verso risposte che si modificano - guai se così non fosse - ad ogni ulteriore paesaggio reso visibile.

L'ontologia è immersa nell'etica, la rende possibile e ne è costituita. Etica ed ontologia sono interdipendenti: per come sei tu fai, e il come fai ti rende quello che sei.

Il cerchio però non è chiuso - e questa è la bella notizia - perché la vita è movimento, è dinamica, è espressione di essere e fare, e rimanda al sapere performante, il quale non può avere un inizio e una fine.

La formazione è permanente - che ce ne rendiamo conto oppure no - e nella sua costanza implicita può essere funzionale, evolutiva o regressiva, utile o limitante. 

 Ora, è solo a partire da questo modo di concepire la formazione, che si può estendere il discorso agli interventi formativi specifici, orientati all'acquisizione o affinamento di talenti particolari che, a loro volta, contribuiscono a orientare, provocandone ulteriormente lo sviluppo, il lungo percorso formativo di ciascuno. 

Io mi occupo di formazione, e per me 
formare significa nutrire, alimentare, affinare e stimolare le attitudini di chi si
sottopone al processo in questione. 

Mi piace credere che un individuo, correttamente stimolato, si faccia artefice cooperante di una società responsabile, rispettosa e in evoluzione continua. Un individuo capace di lasciare impronte utili al suo passaggio.

La realizzazione di una società sana e funzionale è resa possibile solo a partire da individui sani e funzionali, che si confrontano con opzioni possibili nello sviluppo costante del proprio potenziale.
È  quindi  di primaria importanza  sapere da quali immagini i loro modi siano condotti...














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