E così sono dovuta partire, lasciando quel mare azzurro e quella incredibile quantità di luce.
I saluti all'aeroporto, la stringente morsa allo stomaco, e il freddo corridoio per l'imbarco.
Veloce, silenzioso, solitario.
Qua e là ampi spazi, terrazzamenti sporgenti, e complicati corridoi d'entrata alle onde che, gonfie, salgono rapide e avvolgono tutto, scivolando poi via in un baleno.
Danno corpo a un fragore che, solo, riesce ad amare il mio cuore. E quella veste di schiuma va via, allegra e brillante, lavando via tutto.
Saltano intanto piccoli pesci, prigionieri di breve durata nelle crepe terrene, colme di acqua fresca e di vita.
Fino alla prossima ondata.
Per chi lo attraversa e per chi lo incontra di tanto in tanto, come me.
Sembrano in pace, indifferenti alle brutture del mondo al quale mi tocca tornare.
Ampi spazi desolati, raramente percorsi da umani con sacchi ricolmi di merce poggiati sul capo, il passo allenato: gente che si orienta attraverso percorsi mai neppure segnati.
La mattina e la notte.
La lua, dicono loro.
Una semplicità vivace che fa sana allegria.
Verso la mezza, con il sole che brucia le spalle, le barche rientrano in porto, tra le grida delle donne che attendono di riempire le ceste per gli acquirenti in arrivo: rumori e colori, una sinfonia scomposta di azioni e di sguardi.
Ma la prima cosa che vedo ripensando a quel posto è l'immensa distesa di acqua blu, orientata e spinta da masse d'aria potenti, che si srotola verso la costa in mille direzioni diverse.
Il suo respiro mi parla dei viventi che incontra, sotto, sopra e d'intorno, omaggiati dalla luce abbagliante del giorno e dal lussuoso velo di stelle, numerose e brillanti. Tra loro c'é Marte, il puntino color del rame che arriva subito all'occhio.
Uno spettacolo che va solo vissuto.
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