Una persona interessante mi ha
inviato un input interessante e quindi, ritendendo il tema di pubblico
interesse, ho deciso di interessarne questa sezione.
Calembour a parte, è con piacere che apro una parentesi su un
piccolo libro che circola gratuitamente in rete, redatto da un’architetta
sensibile all’ambiente, sensibile soprattutto a ciò che è connesso alla educazione
in relazione con il suo mondo professionale - che è quello, appunto,
dell’architettura e della progettazione degli ambienti.
LA SCUOLA È IN CORTILE è un breve testo corredato di immagini e progetti – risultanti anche dall’impegno
di Anna Piazza, in occasione della redazione della propria tesi di laurea (Dessì
è professore associato al Politecnico di Milano) – che pone l’indice
sull’importanza della valorizzazione degli ambienti esterni nelle scuole,
soprattutto in quelle destinate a bimbi in più tenera età.
Bella scoperta, direte voi, già da un paio di
secoli i pedagogisti – solo alcuni, in realtà - alzavano le mani al cielo
inneggiando al valore della natura come contesto pedagogico!
Nel 1900 si diffuse infatti il
filone delle cosiddette “scuole attive”, in risposta agli educatori de “le
scuole nuove” europee e americane di fine 800, che guardavano agli istituti
come luoghi di formazione della personalità autonoma dell’allievo in vista
della formazione della futura classe dirigente. Questo nuovo approccio (nuovo
rispetto ad un orizzonte culturale precedente che individuava negli istituti
educativi meri ambienti igienico-sanitari)
si poneva in contrasto con la tradizionale idea della scuola come luogo di
trasmissione oggettiva del sapere dall’insegnante al discente. Il mondo stava
cambiando, come ben si evince dalla posizione di avanguardia dell’Inghilterra,
parecchio avanti nella corsa allo sviluppo economico e sociale, e quindi più
attenta al rapporto educazione-sviluppo (economico) sociale.
Nel 900 quindi, personaggi ben
noti come Montessori, Agassi, Bruner, Mead etc.
andarono oltre, verso la persona, sviluppando metodologie di formazione
rivolte a provocare lo sviluppo dell’individuo creativo e autonomo, consapevole
dell’ambiente in cui vive e capace di utilizzarlo nel rispetto di sé e della
società in cui vivere.
A Reggio Emilia, negli anni 60,
grazie ai fondi ricavati dalla vendita di carri armati, camion e cavalli
abbandonati dai tedeschi in fuga, sorsero i primi asili nido comunali, e
vennero diretti per oltre 10 anni dal maestro Loris Malaguzzi, il fondatore di
quel metodo oggi noto come il Reggio-Approach.
Qui si postulava il valore dell’interazione del bambino con l’ambiente
circostante verso la trasformazione attiva degli eventi attraverso processi di auto e co-apprendimento con i coetanei.
In queste scuole il bambino assurse finalmente al protagonismo nel proprio
agire attraverso ambienti-laboratori esperienziali aperti alla natura,
all’esterno e al sociale (i cosiddetti atelier)
in cui sperimentare linguaggi di espressione diversi per imparare sé e sé nel
mondo.
Ancora, le sorelle Agazzi,
Carolina e Rosa, fondarono scuole nelle quali i bambini venivano spronati ad
esplorare l’ambiente, a raccogliere elementi sparsi da conservare (il
cosiddetto “museo naturale”) per esercitarsi ad un uso proprio – o improprio –
degli stessi, in contesto altro. La centralità del tema ambientale, del
rapporto armonico del bambino con esso, e la stimolazione dell’azione creativa,
segnano un passo ulteriore nella riscoperta ecologica di un processo educativo
che non si vuole più mera istruzione (conoscenza tecnico-tematica) ma
educazione formativa mirata allo sviluppo della persona.
Purtroppo, a volte accade che
importanti conquiste dell’umanità finiscono in ombra per una serie di ragioni
legate alla burocrazia, alla ignoranza degli operatori, alla mancanza di
responsabilità da parte di decisori, alla sgradita inefficienza… e questo è
quanto è accaduto anche nell’orizzonte italiano della scuola.
Dessì, nel suo pamphlet, riprende
questi temi dando loro una voce attiva attraverso la progettazione ambientale:
un dono alla comunità per riflettere su un sistema di educazione che ha fatto
epoca e che ha ancora molto da dare. L’autrice va anche oltre: lo spazio
educativo diviene lo spazio urbano, espandendosi in esso fino ad
identificarsene, aprendo occasioni di rete di incontri e di cittadinanza attiva.
Nelle grandi città le scuole si sono ritirate dallo spazio esterno e hanno limitato i loro cortili – ove presenti – ad un utilizzo minimo, a spazio ricreativo e al doposcuola.
Questo limite deve essere superato: le scuole dovrebbero aprirsi alla città e al sociale, rendendo possibile gli incontri, le interazioni e lo sguardo reciproco.
Il cortile dovrebbe essere luogo educativo sociale, in cui sperimentare il mondo nelle sue espressioni, apprendere i cicli naturali, mettere in atto un’economia circolare volta alla riutilizzazione di materiali di scarto in direzione di una utilità impensata.
Attraverso la riorganizzazione del cortile Dessì apre un nuovo spazio materiale (fisico) e immateriale (educativo e sociale) che si fa occasione di scambio, di azione creativa e di ripensamento dell’ambiente urbanistico. Attraverso di esso - appositamente ripensato e strutturato – l’ambiente si fa “terzo educatore”, come si esprimeva Malaguzzi, rovesciando una visione della scuola che aveva puntato esclusivamente sulla figura degli alunni, degli insegnanti e delle parole.
Nasce adesso la ricerca dello spazio per la realizzazione di luoghi di lettura, di osservazione e scoperta, di sperimentazione e, soprattutto, di incontro. Di incontro con ciò che è sempre rimasto oltre il cancello della scuola, e che invece deve farne inevitabilmente parte.
L’esterno e l’interno non sono più
dunque separati, ma parti diverse di uno stesso luogo, in cui maestri e allievi
si sforzano attivamente di dare a se stessi e agli altri quella ricchezza che è
nel potenziale di tutti, e insieme si aiutano reciprocamente a nutrirlo e
distribuirlo.