Sabato mattina,
ore 10,30: digito sullo schermo del cellulare e in un attimo sono vis a vis con la prof.ssa Valentina
Dessì e la dott.ssa Anna Piazza, specializzazione in progettazione d’ambiente.
Oggetto dell’incontro: La scuola è incortile, un testo da loro redatto ad uso
gratuito che circola in rete a fini divulgativi, che ha restituito già molto
interesse e feedback positivi.
Il momento è stato di aiuto, ci dicono le
autrici: stiamo vivendo un periodo storico in cui molte scuole si trovano ad
adottare forme di didattica all’aperto, e la sperimentazione – per molte scuole
lo è – di questo sistema ha portato in evidenza la necessità di riflettere
sulla configurazione dello spazio per la didattica all’esterno.
Nel fare,
moltissimi insegnanti concordano nel riconoscere l’esigenza, rivelatasi
fondamentale, di colmare una carenza strutturale: la scoperta dell’esterno ai
fini dell’apprendimento pone in risalto la mancanza di strutture e
strumentazioni adeguate. Lo spazio va ripensato e riorganizzato in un nuova
prospettiva.
Dessì ci racconta con entusiasmo della recente
convenzione stipulata con una rete nazionale di scuole all’aperto, su Bologna, orientata proprio su questi temi. L’architettura
e la progettazione d’ambiente entrano finalmente nelle scuole perché la
configurazione dello spazio vede riconosciuta la sua funzione strategica.
Oggi,
sull’esempio di quanto accade più a nord, diverse scuole italiane si aprono a
questi modi, sia pure senza pensarli fino in fondo, sia pure frenate da timori
legati alla tradizione, alla burocrazia e a temi legati alla scurezza.
Un processo di riscoperta certamente agevolato
dalla situazione di emergenza igienico-sanitaria che stiamo vivendo oggi, in
cui la diffusione del virus covid-19 spinge a rifuggire la permanenza prorogata
in ambienti chiusi e ad attuare dinamiche di distanziamento sociale - che ben
si sposano con le attività negli spazi aperti, soprattutto legate alla
didattica.
Un processo comunque già avviato nel nostro paese, non solo nelle
cosiddette scuole di metodo, ma anche
in piccole realtà in cui prevale, diciamolo, l’iniziativa personale del corpo
insegnante. Dessì ci racconta come sia difficile a volte far decollare questi progetti
a causa dei timori dovuti al retaggio culturale delle famiglie e dei dirigenti
scolastici, spesso frenati dall’incapacità o volontà di assumere determinate
responsabilità – per nulla scontate – o dalla mancanza di strumentazione
appropriata.
Vero è che, ad
oggi, sono sempre più evidenti fenomeni di apertura, sia pure parziale, ad un
avvicinamento a metodiche di apprendimento all’aperto, ove possibile, con la
realizzazione e gestione di orti nei cortili delle scuole; un segnale
importante del cambiamento dei tempi e della crescente sensibilizzazione verso
due questioni importanti: la consapevolezza acquisita che all’esterno tutto è
apprendimento, dove aumentano il numero e la qualità degli stimoli per i discenti
come anche per i docenti, che si sentono spronati ad attingere a forme diverse
di didattica e a scoprirne i vantaggi; e all’importanza di diffondere tra i
giovani una coscienza sui temi dello sviluppo sostenibile attraverso
l’osservazione esperienziale diretta.
La comprensione della diversità che
esiste tra i nostri e i ritmi della natura si fa condizione sostanziale perché
ne nasca un rispetto fondato.
Se è vero dunque
che lo stato siddetto pandemico che stiamo vivendo ha spalancato le porte della
riflessione in questa direzione, sappiamo bene che in America e nel nord
dell’Europa, molte scuole svolgono normalmente giornate di aula all’aperto, nei
boschi e a contatto con la natura; in Svezia sono addirittura attivi corsi
universitari e dottorati di ricerca sui temi della didattica all’aperto… Situazioni
che fungono da exempla anche per la
nostra nazione, un po’ lenta nella ricezione, ma impossibilitata ad ignorane i
vantaggi.
Molti studi scientifici attestano e certificano il guadagno in
termini di apprendimento e di acquisizione di capacità da parte dei discenti e
dello stesso corpo insegnante, spinto ad una operatività esperienziale, alle
prese con quantità e qualità di strumenti che favoriscono la scoperta di
modalità di gestione a volte più efficaci di quelle tradizionalmente adottate in
situazioni e problematiche complesse.
Da dove partire,
quindi, nella progettazione degli spazi finalizzati alla realizzazione di una
scuola all’aperto?
La risposta, stranamente, non sorprende e conforta:
dall’osservazione e dall’ascolto, soprattutto dalla conoscenza di un potenziale
da riconoscere e valorizzare. Come in ogni processo di risoluzione di problemi
– o di attivazione di strategie – la parola magica riconduce all’espressione Ascolto Attivo: “noi siamo entrate nella
scuola e abbiamo registrato le esigenze dei fruitori attraverso la
somministrazione di questionari, di interviste, e l’osservazione di
comportamenti. Abbiamo parlato con gli insegnanti e con i bambini afferenti a
diverse fasce di età, e le risposte sono state sorprendenti!”.
Uno sguardo
attento alla realtà dell’ambiente scolastico corredato da un orecchio attivo ha
evidenziato esigenze, timori, desideri e diposizioni da parte di chi,
coinvolto, si è mostrato proattivo ed entusiasticamente disponibile alla
collaborazione, attori fondamentali per l’attuazione di quel processo di
svelamento del potenziale e delle risorse che un progettista è chiamato a
mettere in azione.
Svelamento della forza di un luogo, rispettoso
riconoscimento del preesistente in direzione della sua valorizzazione: un
processo complesso che richiede attenzione massima su tanti livelli, da quello
strutturale a quello psicologico. L’obbiettivo principe è quello di creare le
condizioni di confort che consentano al fruitore dello spazio di identificarsi
con esso, di amarlo e di sentirlo proprio. Ne deriverà l’esigenza di
proteggerlo e di contribuire a curarlo e migliorarlo, vivendolo e
con-vivendolo.
La scuola all’aperto,
e in particolare l’aula all’aperto, sposa la bioclimatica, ossia la
progettazione che considera flussi immateriali di energia come elementi
fondanti, ma considera anche i flussi materiali, in un’ottica di gestione,
recupero e riutilizzo delle risorse, per migliorare la resilienza ambientale.
Oggi, sempre più
spesso, viviamo fenomeni atmosferici preoccupanti dovuti al tanto discusso
cambiamento climatico in atto: le cosiddette bombe d’acqua, ad esempio,
fenomeni di pioggia intensa concentrati in tempi brevi, possono provocare danni
enormi, ma possono costituire anche importante fonte di risorse se gestite
attraverso strategie funzionali.
La città di Amsterdam, in maniera esemplare, ha adottato provvedimenti atti al recupero delle acque
piovane ai fini del loro riutilizzo urbano. Anche in Italia iniziano ad
apparire fenomeni come i rain-garden per le strade, aree verdi in grado di assorbire buona parte dell’acqua
piovana e di rilasciarla gradualmente nel terreno.
L’atto di
costruzione, insomma, deve impattare il territorio in maniera funzionale ed
utile, secondo un approccio rigenerativo che si fa scuola, attraverso la sua
epifania. L’aula trasmigra dunque all’esterno, in uno spazio finalmente unico
che è lo spazio urbano, l’area di quartiere, in cui tutti i cittadini - individui
specifici con specifiche esigenze e propensioni- apportano valore e
significato, contribuendo dunque a rafforzare un processo d’identificazione e
riconoscimento della cosiddetta identità urbana.
E se tante volte
è stato detto che un sistema lo si può comprendere e modificare solo tramite l’osservazione
esterna, lo stesso mondo scolastico può conseguire vantaggio da una
estroflessione istituzionalizzata.
Lo sanno bene le
amministrazioni di Torino e Bolzano, che attraverso la stipula di accordi e
convenzioni con enti, hanno portato la società nelle scuole, aprendo i cancelli
delle stesse ad un certo punto della giornata, garantendo ordine e pulizia, e
favorendo lo scambio, l’incontro, e la possibilità di vivere la città in maniera
flessibile e trasversale.
Ecco che la scuola espande il proprio ruolo,
insegnando ai cittadini tutti la vivibilità all’interno del quartiere.
Questo tipo di
esperienze, incoraggiate dai molti accordi e progetti finanziati dall’Unione
Europea, agevolano quel processo di cambiamento che poggia sulla
sensibilizzazione verso una modalità di esistenza che include l’ambiente,
riconoscendolo parte costitutiva del sé.
I dati son certi: oggi le città più
funzionali sono quelle con spazi pubblici curati, che invitano le persone ad
uscire di casa e vivervi il proprio tempo: con-vivere lo spazio urbano
garantisce una socialità funzionale che si fa collaborazione e diviene
facilmente cittadinanza attiva.
Le scuole, principalmente le scuole primarie
che si prendono cura della formazione dei piccolissimi, hanno un ruolo
importante in tal senso, una responsabilità alla quale deve essere loro
impossibile sottrarsi. Per far questo è necessario il coinvolgimento delle
famiglie, degli insegnanti, e dei dirigenti scolastici.
E’ necessario che la
comprensione della sostenibilità ambientale arrivi ai piccoli attraverso i
grandi, e che questi si facciano volano perché il messaggio passi attraverso le
istituzioni.
La scuola è in cortile
è scaricabile ai seguenti link:
https://urbannarraction.net/
https://www.ambientescuola.polimi.it/