Di recente m’interesso
di ciò che passa sotto il nome di "marketing non convenzionale":
modalità pubblicitarie sviluppate dopo gli anni 70, che agiscono sulle persone
a livello profondo, attraverso tecniche manipolatorie discretamente invadenti.
La pubblicità oggi non
presenta più "il prodotto", non ne espone le caratteristiche allo
scopo di incuriosire, informare, far apprezzare e indirizzare alla scelta - e
quindi all'acquisto.
Oggi ci vengono presentate
emozioni che potrebbero essere connesse a quel prodotto o servizio.
Emozioni sapientemente
ricercate e affiancate a certi nomi, a profumi e oggetti ... Proprio perché
estrapolate dalle reazioni che ci provocano determinati stimoli.
Ormai le
grandi marche si affidano a consulenti evoluti, che si servono di
informazioni ricavate dalle neuroscienze, supportati da sofisticati
strumenti medici come la risonanza magnetica, la tac, la scansione cerebrale.
Vengono condotti
esperimenti complessi che mettono persone comuni nella condizione di
attraversare percorsi sensoriali: vengono allestiti set di studio con aree
appositamente attrezzate per poter osservare - anche chimicamente - come le
nostre cellule e il nostro cervello reagiscono a certi imput. Così vengono
propinati odori, indotte fantasie, suggeriti nomi, sollecitati ricordi....
Cavie e laboratori.
Dietro gli spot -
belli, patinati, simpatici o inquietanti - c'è questo: cavie e laboratori.
Strumenti di indagine, analisti, e "creativi": equipe di persone
collazionano diligentemente dati in modo da raggiungere obbiettivi
definiti.
Non si tratta più di
vendere un prodotto, ma di creare un innamoramento verso la tale
marca, di accendere e mantenere vivo un senso di appartenenza e fedeltà così
radicale da rendere il destinatario a sua volta un informatore, anzi, un
promotore: un canale vivo, esistente, di pubblicità.
Il passaparola è un
canale potente, tra i più utili ai fini della persuasione, perché arriva
attraverso le labbra di una persona amica, che conosciamo, di cui ci fidiamo.
L'amico è garante di onestà,
di correttezza, è colui che pone il sigillo sulla dichiarazione di buona e
onesta reputazione.
I pubblicitari questo lo
sanno bene.
Ecco quindi che il mondo
degli sponsor finisce nei social in modo capillare e infido, distribuendo le sue spore attraverso la viralità.
M. Lindstrom, uno dei più
famosi brand producer a livello mondiale, racconta in prima persona un
esperimento da lui messo in atto: in un suo interessantissimo libro scrive di aver assoldato una famiglia di attori e di averli
mandati a vivere per un po’ in un quartiere americano, con l'obbiettivo finale
di spingere vicini e amici ad appassionarsi e ad acquistare i prodotti di
alcuni marchi.
L'esperimento è super
riuscito, tanto che le vittime inconsapevoli, finalmente informate dei
fatti, non si sono affatto infastidite: per loro andava bene così perché di
quelle persone si fidavano.
Ma un altro potente mezzo
persuasivo - ce lo confessa sempre Lindstrom, e lo dimostra con
chiarissimi e comunissimi esempi presi dalla vita quotidiana (anche la nostra)
- é quello di far leva su emozioni terribili come quelle della paura e
del senso di colpa, fino ad utilizzare la vergogna che da esse
consegue.
La paura inibisce la lucidità
di pensiero, portando gli attori ad accettare suggerimenti che vengono
dall'esterno; la vergogna e il senso di colpa orientano i comportamenti
con un senso di urgenza imprescindibile: comportamenti che non risultano da
reali e naturali istanze personali, ma che rispondono a dettami esterni,
imposti (dalle leggi morali, dell'educazione, dalla religione..): nel buio
della notte è piuttosto facile scambiare una lucciola per lanterna!
E così spot, manifesti e jingle
sfruttano la nostra paura di non essere all'altezza, di rimanere soli, di non
essere abbastanza belli, o sani, di non saper essere abbastanza protettivi con
i nostri figli... E ci spingono all'azione... A quella specifica azione che
ci stanno subdolamente imponendo (compra quel prodotto, utilizza quel
servizio...)
Lo scarso esercizio della capacità
critica porta a subire quella che Heidegger definiva "la dittatura della
pubblicità": il "si dice", "si fa"... E se lo fanno
tutti lo faccio anch'io, sennò poi resto fuori e sono solo".
Legiones: anonimo sì, ma (falsamente)
rassicurante.
Questo però non é tutto:
gli scaltrissimi sirenici canti indirizzano verso un comune sentire proprio
attraverso lo studio della umana distinta particolarità.
I dati evinti dalle
profilazioni digitali vengono ormai integrati con le indagini eseguite sul
campo: i "creativi" vivono per lunghi periodi con le persone che
devono indurre ad una certa abitudine, le osservano, vi interagiscono.
Ne sanno
di più, e possono finalmente costruire il sogno giusto, quello adatto alla
tipologia di persone in esame - di consumatore, anzi, di
consumatore-futuropromotore.
Il film che viene da qui
propinato, quello che la vittima inconsapevole si trova ad interpretare, non
rappresenta né suggerisce reali istanze o suggerimenti utili di azione, quanto
piuttosto una realtà virtuale (nel senso di falsa) verso cui tendere, in grado
di soddisfare realmente solo l'esigenza di spendibilità dei marchi in
questione.
Ne conseguono azioni illusorie, deviate, spesso non utili.
Viviamo in un mondo
costruito, vediamo scenari molto spesso alterati, siamo parte spesso
inconsapevole di pieces di successo, i cui incassi girano molto
lontano dalle nostre tasche.
Attori inconsapevoli sotto
la direzione di registi invisibili.
Allora sforziamoci di
ricordare che le rappresentazioni ci spingono a fare, e che
dietro quelle immagini (lo
spot, il cartellone, il filmato) operano strategie ben studiate per orientare
le azioni di chi le subisce.
Le rappresentazioni sono
sogni: dinamiche filmiche che espongono situazioni, emozioni, cambiamenti,
aspirazioni, pericoli... Che suggeriscono soluzioni.
Esistono sogni indotti e
trasmessi attraverso canali esterni - come il marketing di ultima generazione -
e sogni personali che nascono da noi, frutto di coordinate, problematiche e
situazioni personali (rappresentazioni oniriche, flash, lapsus ecc).
Dietro quelle immagini - e
le sensazioni che suscitano in noi - si cela un algoritmo, una strategia
di azione finalizzata al conseguimento degli obiettivi del regista: che sia
esterno (il brand) o interno (noi stessi).
Dobbiamo solo scegliere se
realizzare, a loro vantaggio, gli scopi di altri, o se dedicarci a noi stessi,
osservando e rendendo concreto nel fare il nostro modo di essere.
NB:
Esempi pratici a questo link