Ho
selezionato un numero telefonico, ho preso un appuntamento e mi sono poi recata
all'indirizzo convenuto per farmi sistemare la capigliatura.
Fin qui
tutto nella norma: le presentazioni, tolgo la giacca, una breve attesa su
un comodo sedile, e poi è arrivato il momento.
Mi raggiunge
un ragazzo, sottile come un fuscello, un pò curvo sul suo scheletro, lo stesso
che avevo osservato, allegro, in giro per il negozio, ad elargire brevi
consigli e pacche sulle spalle. Ha lo
sguardo dolce e i modi gentili.
Siedo e lui mi fa una domanda: "dimmi,
perché sei qui?". Rispondo sorpresa che sono lì per tagliare i capelli, e
quindi lui riformula: "ok, allora dimmi cosa ti ha spinto a venire qui,
cosa non ti piace, cosa ti infastidisce di quello che vedi su di te, e cosa
vorresti vedere. Io poi, attraverso le mie conoscenze tecniche, ti dirò cosa
possiamo fare e come."
Questa
situazione mi ha colpita per la sua serietà. Io lavoro in un contesto
molto articolato, in continua interazione con uffici diversi, con i quali
effettuo scambi costanti di richieste e risposte - in base alle esigenze e
secondo le competenze.
Forse è
proprio l'inganno della quotidianità, quello che ti spinge a presupporre le
informazioni che non chiedi o che non dai: in effetti avviene spesso che più
siamo in confidenza con i nostri interlocutori e meno ci ascoltiamo.
In un certo
senso, volenti o no, ci rispettiamo poco.
Bussa un
estraneo alla tua porta: gli chiedi chi è, cosa vuole, e come pensa che tu
possa essergli utile.
Osservi un
annuncio di lavoro, e ti confronti con le tue competenze per vedere se sono
quelle necessarie.
Ma quando
subentrano la confidenza e l'abitudine, cala un certo velo di nebbia e,
con esso cala anche l'attenzione necessaria.
Leggevo da
qualche parte che noi tutti siamo disposti più a parlare che ad ascoltare. Ci
piace raccontare di noi, esporre il nostro pensiero e trovare nell'altro la
conferma della nostra esistenza. Secondo un esperto di coaching aziendale,
tale Robert James, il confronto interessa davvero a pochi, e questo
perchè il dialogo, se ben strutturato, può rivelarsi uno strumento in grado
di porre in discussione i nostri principi, e quindi di
destabilizzare delle convinzioni. Ecco perchè, in sintesi, il mondo del
marketing si è trasformato in un grande enorme orecchio in ascolto, intanto che
innumerevoli stimoli, bene o male mimetizzati, punzecchiano le nostre
reazioni.
Il
parrucchiere: una professione, la richiesta e l'offerta di un servizio.
Rifletto:
quante volte mi sono trovata in un'analoga situazione?
C'è stato un
periodo, nel corso della mia formazione, in cui svolgevo uno stage presso una
società di selezione e formazione del personale: mi occupavo dei colloqui
per società committenti, valutando le caratteristiche dei candidati che
intervistavo. Il modo in cui lavoravo piaceva, e così il capo decise di
portarmi con sé, e di inserirmi in una fase più avanzata: l'analisi dei
fabbisogni formativi. Non dovevo più solo individuare certe caratteristiche, ma
cogliere tra le presenti quelle più utili allo scopo. Si trattava di
intervistare il committente per capire cosa proponeva alla sua clientela, cosa
realmente riusciva a realizzare, e cosa facevano le sue risorse per raggiungere
quell'obbiettivo. Questo lavoro costituiva le basi del
lavoro suddetto di selezione.
In sostanza,
rispondevo all'estraneo che aveva bussato alla mia porta e gli chiedevo chi
era, cosa voleva, e cosa si aspettava che potessi fare per lui.
La mia
naturale curiosità è stata di grande aiuto: ho imparato a stare in platea ad
osservare. Con le orecchie, con gli occhi e con il naso. Tutti i nostri sensi
convergono nel confermare o disconfermare l'autenticità dell'informazione che ci
è pervenuta verbalmente.
Per dirla
tutta, stavo formando già la mia persona in tal senso, attraverso gli studi che
portavo avanti con ingordo interesse in ambito psicologico, e il duro lento
percorso di consulenza personale... Motivo per cui questo stage fu una grande
opportunità di apprendimento, e una fantastica esperienza lavorativa - sia pure
non retribuita. Imparavo e facevo: a me stava bene così.
Molto spesso
le persone si parlano addosso, una sull'altra anziché una con
l'altra. Non ci si ascolta.
In un post
precedente ho scritto del suono, della musica che può uscire da ogni vivente, e
di come a volte basta poco per farlo uscire laddove non sembra proprio esserci
nulla: come uno strumento musicale realizzato da un fusto secco di cactus
(il bastone della pioggia).
Ma l'arguto
commento di uno spietato lettore mi ha obbligato a guardare più in là.
Un oggetto
ormai privo di vita, se sapientemente organizzato e manipolato può mutare il
proprio silenzio in un suono: una voce che sa evocare esperienze vitali. Ma
quel suono, quel richiamo...E' reale?
Ossia: il
bastone della pioggia emette una sonorità acquacea perchè ha acqua dentro di
se'? No: ci sono oggetti, cose che scorrono scontrandosi al suo interno.
Perché
l'acqua scorra davvero tocca recarsi lungo un fiume, e questo è bene tenerlo a
mente!
La
manipolazione delle informazioni e dei dati arriva a confondere i nostri sensi,
coinvolgendoli, ammiccando e facendoseli amici, secondo una modalità furfante che
ha tutto il sapore amaro del tradimento. Come l'amico che ti fa fare da
prestanome nei suoi affari per poi lasciarti nei guai alla resa dei conti.
E quindi ci
tocca tornare al vecchio Parmenide: ci siamo! E quindi dobbiamo riprendere il
passo a partire proprio da noi, dell'interno di ciò che ci permette di
esistere.
Possiamo
infrangere le insidiose illusioni solo ponendo attenzione a quanto ci accade,
ascoltando: ossia prestando l'ascolto dovuto al modo in cui il nostro corpo
reagisce all'informazione arrivata.
Che sia una
fitta alla schiena, come una coltellata inattesa; un torpore alle gambe
come se non dovessi procedere oltre in quel luogo o in quel modo; un occhio che
"balla", come fossi un cecchino che prende la mira; una spalla
dolente perchè incapace di sopportare quel peso... Basta un odore che mi
colpisce lo stomaco come si fosse trattato di una concreta aggressione... Basta
una immagine, che sinteticamente mi espone la situazione che sto vivendo!
..Viviamo in
un sogno, o è il sogno che sogna di noi? Chuang Tzu se lo chiedeva 2400
anni fa:
"questa notte ho sognato che ero una farfalla:
ora io non so se ero allora un uomo che sognava d'essere farfalla, o
se io sono ora una farfalla, che sogna di essere uomo".
La risposta
dipende da quanto siamo disposti ad ascoltare...