Letture difficili e letture leggere. Scriviamo e leggiamo, ci documentiamo, condividiamo, ci sfoghiamo...
Il
mio blog reca il sottotitolo di " Letture e parole". Leggo molto, mi
piace utilizzare in un certo modo le parole e fruire di chi sa farle
danzare. Parole: quotidiani strumenti; veicolo e forma di contenuti,
dove l'uno concorre con l'altro nella generazione del senso. Quel
termine, quello spazio, quel segno di interpunzione...
A
seconda di come parlo, io esisto - dicevano alcuni. A seconda di come
condivido l'esperienza che ho raccolto, io espongo la mia modalita' di
esistenza. Comunicando, accado. Accado con gli altri, in relazione alla
mia storicita'.
U. Eco, dando nome ad un famoso e fortunato romanzo, ha riportato a suo modo un detto medioevale :
Stat rosa pristina nomine, nomina nuda tenemus.
Ossia: la rosa primordiale esiste solo nel nome, abbiamo soltanto nudi nomi.
L'allusione
é alla finitezza dell'individulita' storica, al fatto che l'ingenua
pretesa di conoscere la vita si esaurisca per noi in mere inutili
definizioni. E non ci accorgiamo dell'impotenza delle nostre strategie a
causa di una presuntuosa arroganza cognitiva.
Non sappiamo di non sapere, e ci sentiamo padroni del mondo...
Gli
antichi egizi usavano scrivere il nome delle persone dentro un
cartiglio: il nome della persona, cio' che la connotava, doveva essere
tutelato, inserito in un luogo protetto e ben definito, una sorta di
bolla sacra. Perché il nome (la forma) contribuiva a costituire
l'essenza.
Eccolo, il famoso principio della consustanzialita'.
Un
trainer sportivo mi ha spinto, un giorno, ad allenarmi eseguendo
esercizi mentre pensavo al mio nome. Diceva che il nostro nome e' legato
alla sua storia, alla storia del suo legame con il nostro vissuto.
Secondo questo istruttore, quindi, concentrare la propria attenzione sul
vissuto personale condizionerebbe in meglio la performance in corso.
Incapace
di trattenermi, ho fatto le domande piú ovvie (almeno per me): vuoi che
mi concentri sul vissuto personale o su cio' che credo di ricordare di
esso? ... Non e' che senza saperlo o volerlo, attivo delle brutte
emozioni? E se poi sto male, che giovamento darebbe questa mia attivita'
all'intera persona? Che noia, i filosofi!
Un nome racchiude una storia, dei nessi, un senso... Ma quanto sappiamo di essi? Quanti modi di dire, quanti luoghi comuni assumiamo per certi senza averli davvero indagati?
In che modo siamo in grado di usare il linguaggio? Quante volte ne siamo invece giocati?
Racchiudo
il significato che il mondo ha per me dentro alcune parole, nomi,
lettere, numeri... Adopero codici condivisi e acquisiti.
G.
Wilhelm von Leibnitz e' morto inseguendo un progetto utopistico: creare
un linguaggio universale perche' l'uomo potesse davvero capire se
stesso insieme con l'altro.
"Quando gli uomini arriveranno
finalmente a sedersi attorno ad un tavolo e inizieranno a contare,
allora finalmente riusciremo a capirci!"
Era un po' questo
il messaggio che di lui ci e' stato trasmesso. Leibnitz riteneva che la
matematica, con i suoi simboli univoci, fosse lo strumento universale
di comunicazione, l'eccellenza.
L'eminente filosofo mirava a costruire un codice di comunicazione universale, che rendesse possibile la condivisone di idee chiare e distinte.
Gli
studi ai quali mi dedico da un poco di tempo certificano (non si
limitano a teorizzarlo!) che ne esiste gia' uno, da sempre: un
linguaggio universale connaturato in ogni individuo.
Civilta'
diverse, distanti nello spazio e nel tempo, si incontrano nella
comunanza di un fenomeno che ognuno di noi sperimenta anche oggi: si
tratta del SOGNO.
Aristotele stesso, a sostegno di tale
assunzione, piu' di qualche secolo fa chiedeva: se il sonno servisse
SOLO a recuperare le forze, per quale motivo l'umanita' sognerebbe?
Tutto in noi manifesta una funzione vitale, e dunque...
Il sogno: una sequenza di immagini, una storia, emozioni... Riflessione della nostra vita che accade. Il suo backstage.
Ai
tempi del liceo ho avuto a che fare con il greco antico. Traducevo le
testimonianze di autori piu' e meno importanti. Per farlo sfogliavo
fino alla noia un pesante e ingombrante strumento: il dizionario
greco-italiano, l'ammiratissimo e odiatissimo "Rocci".
Una
miriade di fogli sottili che, per ogni termine indicato in grassetto,
ostentava impietoso colonne e colonne di informazioni diverse. Un'impresa verace, quella di mettere insieme in modo sensato le note.
E
siccome agli inizi non ero proprio sagace, finii per raccontare, tra le
risate di molti, - si trattava di un disastroso compito in classe - ,
che il brano che avevo tradotto parlava di un cammello che prendeva il
largo, verso il mare aperto. Ma poi, con toni alterati, il docente
spiegò che il senso cui alludeva quel termine ("camel", appunto)
rimandava al concetto di nave.
Cambiando il contesto (il
mare), cambiava il riferimento (la nave), e con esso, il senso del
discorso: quel nome restituiva così una sostanza diversa da quella
su-esposta.
Il racconto (la parola) si svolge sul piano dell'analogia, evocando immagini che portano senso. Non conta l'oggetto evocato (nomina nuda), ma cio' cui esso rimanda (pristina rosa). E assume valore preciso per me che lo incontro, e che ne accolgo l'appello per come son fatto.
É
quindi nel dialogo con chi la riceve che la plurima voce dell'immagine
evocata si incanala nella corretta espressione leggibile. Il sogno é
la voce multimediale di chi lo produce e di chi, la stessa persona, é
destinato a fruirne.
Letture e parole: visione e racconto di storie infinite...Le nostre.
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